Tra i vari richiami di papa Benedetto XVI in riferimento
all’attuale situazione, ricordo quanto disse ai vescovi italiani: «In vaste
zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non
trova più alimento. Siamo davanti a una profonda crisi di fede, a una perdita
del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi.
Il rinnovamento della fede deve quindi essere la priorità dell’impegno della Chiesa
intera ai nostri giorni».
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Fede non limitata all’aspetto dottrinale, ma fede come
vita, preghiera, celebrazione, trasmissione ad altre persone. Chi incontra
veramente il Signore sente il bisogno di comunicarlo ad altri. I primi
annunciatori sono coloro che hanno avuto gli occhi e il cuore pieni della
visione del Cristo Risorto, come i discepoli di Emmaus, che possono
considerarsi i cristiani di oggi: dubitano, sono delusi, ascoltano magari
distratti, camminano con lui, mangiano insieme, lo riconoscono, ne restano
abbagliati e corrono a dirlo agli altri discepoli. Così Matteo, la Samaritana,
la Maddalena e le donne che corrono al sepolcro. Tutti dicono: «Abbiamo visto
il Signore». È così sempre, fino a oggi.
Il racconto del cieco Bartimeo indica un
cammino di fede: non si accontenta di correre da Gesù per essere risanato dalla
sua cecità, ma rimane con lui, cammina sulla sua strada, lo segue, percorre il
suo stesso cammino: «Getta via il mantello e balza in piedi» (Mc 10, 46-52).
Il problema grave del nostro tempo è che chi è
stato avviato alla fede a volte si ferma, rimane a una fede bambina, del tempo
del catechismo. O, peggio ancora, ritorna indietro, i suoi genitori non l’hanno
fatto battezzare, rinviando tutto al solito ritornello che cioè toccherà a lui
decidere quando sarà adulto, senza nessuna educazione religiosa (eppure è
sempre prevista una educazione civile e umana). Magari sta alla porta della
Chiesa, ma non vi entra, come dissero qualche anno fa i nostri vescovi, che
sono ben consapevoli di questo fatto. Tuttavia, come scriveva Giovanni Paolo II
all’inizio del nuovo millennio, anche le persone «del nostro tempo, magari non
sempre consapevolmente, chiedono ai cristiani non solo di parlare a loro di
Cristo, ma in certo senso di farlo vedere» (Novo millennio ineunte, 16).
Ci è di esempio e ci incoraggia in modo molto
umano e sorridente la testimonianza di papa Francesco, la quale è chiaramente
fondata sulla riscoperta dei contenuti veri della fede, perché diventi sempre
più viva, solida e in crescita, essere «testimoni credibili e giorniosi del
Signore risorto, capaci di indicare alle tante persone in ricerca la porta
della fede» (Nota Pastorale per l’Anno della Fede). Senza gioia non si
comunica nulla, non si dona nulla, ma si rifiuta qualsiasi dono, anche il più
bello e il più costoso.
Impegno nuovo
È questo, per molti aspetti, un impegno nuovo
chiesto ai cristiani di oggi. Perché? Cosa c’è di tanto nuovo nel nostro mondo
da costringerci a cercare una nuova via di comunicazione della fede? In che
senso è così diverso il mondo di oggi da quello di ieri, di non tanto tempo fa?
La prima novità è la cosiddetta
globalizzazione. Messaggi di posta elettronica entrano a fiotti ormai nelle
nostre case, e il mondo giovanile ne è affascinato. La crisi economica, e
soprattutto culturale e religiosa, circola ovunque. Non abbiamo più nessuna
identità, se non quella che ci offrono i massmedia, che danno di tutto ma un
po’ di tutto, soprattutto una certa mentalità circa la politica, la famiglia,
il mondo e le sue pazzie (che ci rendono sempre meno ottimisti e più depressi e
ci mandano in tilt).
Viviamo in un villaggio globale, dove si
parla di tutto nel bene e nel male. Praticamente nessun luogo dista più di un
giorno di viaggio. Forse il frutto peculiare della globalizzazione è nel non
sapere dove noi e il mondo stiamo andando. In quale direzione vada la nostra
storia e la nostra società. Oggi si parla di un «mondo che cambia» (A.
Giddens), di «modeità liquida» (Zygmunt Bauman) nel senso che tutto è relativo,
che tutto è accettabile; che come l’acqua ci infiliamo dappertutto senza meta
fino a impantanarci. Il guru di Tony Blair, Antony Giddens, lo chiama «mondo
inafferrabile». La storia sembra ormai al di fuori del nostro controllo. La
nostra mente non è più in grado di cogliere tutto, di capire tutto quanto
avviene attorno a noi (pensate al telefonino, a Google, a Facebook, a Twitter,
a Youtube, e ai milioni e milioni che li usano), come avveniva un tempo non
molto lontano nel nostro villaggio, in cui in fondo si condivideva la direzione
verso la quale si andava. I socialnetwork rendono davvero globale
l’accesso alla cultura, che diventa comunicazione di massa, su vasta scala, che
da one to many (da uno a molti) diventa una comunicazione da many to
many (da molti a molti).
Nel mondo passato i rischi del vivere erano
certo molti: epidemie, cattivi raccolti, tempeste, siccità, invasioni di popoli
stranieri. Tuttavia erano rischi in gran parte estei a noi, fuori controllo.
Oggi abbiamo inventato nuovi rischi, quelli derivati dalla nostra civiltà:
surriscaldamento globale, sovrappopolamento, inquinamento, instabilità dei
mercati finanziari (contro cui papa Francesco si è pronunciato come causa della
crisi e dell’aumento della forbice della povertà mondiale, invitando il 16
maggio 2013 gli Ambasciatori non residenti presso la Santa Sede a farsi
governare non dall’idolatria del denaro, ma dall’etica e dalla solidarietà per
non ridurre l’uomo a mero bene di consumo).
Sapienza e ottimismo
Di fronte a questo mondo in fuga, quello che
i cristiani possono offrire non è conoscenza, ma sapienza e ottimismo, la
sapienza della destinazione ultima dell’umanità, la meta del Regno di Dio per
noi indicato da Gesù. Senza meta non si va avanti. E il mondo globalizzato, pur
ricco di conoscenza e informazione, è scarso di sapienza, quella dell’ultimo
destino e del valore della vita. La sapienza del fine e della fine cui siamo
chiamati ci libera dall’ansietà e dalla paura. Il fine è il regno di Dio, Gesù
Cristo è stato colui che ce ne ha parlato. Importante in questo frangente
mettere al centro Gesù Cristo, il suo messaggio, la sua parola, le sue scelte,
più che le istituzioni che ne sono derivate, sempre fallibili, perché umane (Ecclesia
semper reformanda est, la Chiesa è sempre da riformare).
Nella lettera agli Efesini Paolo parla e
invita a «ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della
terra» (Ef 1, 9-10). I cristiani sono un segno del Regno; per esserlo vale non
ciò che si fa o si possiede, ma ciò che si è, ciò che sono io per me e per gli
altri. Nell’essere non solo per me, ma anche per altre persone, io scopro una
nuova identità. Non è facile, richiede fedeltà.
Dialogo e rispetto
Il mondo che cambia porta con sé anche molti
cambiamenti nella vita religiosa, e per conseguenza nel nostro cristianesimo.
Per prima cosa è inevitabile il confronto con altre religioni: scontro o
dialogo? I cristiani sono invitati a scegliere il dialogo, pensando alla storia
religiosa dell’Europa e del mondo intero che ha interpretato e vissuto questo
incontro come lotta e guerra di religione, per far prevalere il proprio Dio,
che è poi il Dio di tutti. È comunque inevitabile il confronto con una, due,
tre e tante altre religioni o pseudo-religioni, presenti nel nostro mondo.
Questo spiega i diversi cambiamenti di fede e religione che si verificano anche
in Italia e l’innalzamento di templi di religioni diverse da quella che
riteniamo la «nostra», come quelli dell’Islam (le moschee).
Il relativismo di cui parlava Benedetto XVI
contagia ormai non poche coscienze, sempre più spaesate nell’attuale clima
d’incertezza morale, economica e culturale. Il rischio è che questo clima porti
a ritenere che non ci sia più nulla di valido nella nostra esistenza umana e
religiosa, o, all’opposto, a guardare alla dimensione religiosa come a un
rifugio con la conseguenza di una vita spirituale intimistica, al limite
dell’integralismo. Ci rifugiamo in chiesa di fronte a questo nostro mondo che
non capiamo più, che ci travolge e ci spaventa.
Domande nuove
Si aprono domande nuove che nessuno può
ignorare, domande esistenziali, che nascono dall’esperienza dell’uomo e che
reclamano risposte. Come per esempio quella della evoluzione umana, della sua
complessità e del suo rapporto con la creazione biblica. L’uomo, «una scimmia
nuda», l’uomo, «una scimmia intelligente». Definizioni come queste lasciano
spazio a tutto quanto si vuole nel campo della vita e del suo valore, della
biologia e della scienza: vecchiaia, clonazione, eutanasia, donazioni di organi...
Nel 2012 in Belgio ci sono stati 1492 casi di
eutanasia. La tendenza a livellare l’uomo al piano animale o a elevare la
scimmia a quello umano è ricorrente, e secondo alcuni troverebbe supporto nella
teoria dell’evoluzione. Certo, la religiosità e la spiritualità dell’uomo non
sono misurabili con metodi empirici o scientifici.
Inoltre la cultura assume una grande
importanza nel rapporto dell’uomo con l’ambiente. Mediante la cultura l’uomo è
in grado di modificarlo, di trasformarlo per renderlo adatto alle sue necessità,
ma anche per distruggerlo. Non mancano scienziati che ritengono il pensiero un
puro prodotto dell’attività cerebrale. Un pensiero e la coscienza si possono
misurare e come?
Anche il rito viene ritenuto il lato debole
della fede. Per questo il rito, la messa domenicale, può essere tranquillamente
tralasciato come un involucro ingombrante. Non si riconosce più nel rito un
momento incisivo della propria fede. Svincolato dal fondamento della fede, il
rito è al massimo un fattore oamentale e non offre i veri contenuti della
fede, come è per esempio la celebrazione della messa domenicale. La
celebrazione domenicale e l’esperienza viva della fede ci permettono di
iniziare a credere e vivere e crescere in una dimensione autentica di fede insieme
a tutti i credenti. Non si è muti ed estranei spettatori, ma la liturgia chiede
sempre una partecipazione attiva. La liturgia attualizza qui, oggi per noi, il
mistero di Cristo fatto uomo. In essa Dio parla da uomo, parla la lingua
dell’uomo, e a sua volta l’uomo parla a Dio nella sua lingua insieme a tutta la
comunità cristiana.
Stereotipi
Scattano così le accuse contro la Chiesa:
inquisizione, nemica della scienza, maschilista, vuole solo la sofferenza, i
protestanti sono più modei, è contro il sesso. Sono questi alcuni stereotipi
molto diffusi. Ad essi si devono aggiungere numerosi libri polemici contro il
Vaticano: I segreti del Vaticano di Corrado Augias (Mondadori), o,
l’ultimo, Vaticano massone di Giacomo Galeazzi e Ferruccio Finotti
(Piemme). Ma è anche uscito ultimamente un libro dal titolo La grande
meretrice a cura di Lucetta Scaraffìa, che chiarisce dal punto di vista
storico alcuni di questi stereotipi (edito dalla Libreria Editrice Vaticana).
Sono tanto diffusi e indiscussi, questi stereotipi, che chi li legge non tenta
neppure un minimo controllo: «Sanno tutti che è così» e basta, senza
discussione.
Quale risposta?
Come inserirsi da cristiani in questo mondo
che cambia? Limitarsi ad aggiungere il volto di Cristo alla folla di volti che
bombardano il nostro mondo, la nostra televisione e la nostra stampa, non è
sufficiente. Potrebbe magari essere cosa buona, ma certo non sufficiente, se la
Walt Disney trasformasse in cartoni animati i Vangeli. Molte chiese fanno
pubblicità all’esterno dei loro edifici, con cartelli che recano espressioni
evangeliche, in concorrenza con gli annunci pubblicitari. Può essere cosa
ammirevole, ma imbarazzante vedere la propria fede messa all’asta.
La sfida è come possiamo comunicare la fede
ai non credenti, a coloro che dubitano o sono scandalizzati da quanto accade
nella Chiesa: pedofilia (perfino di un cardinale), la banca vaticana, lo sfarzo
dei cardinali, la mediocrità di certi parroci, la predicazione che fa pena, il
modo poco umano e poco cristiano di trattare chi è separato e risposato, e così
via. Come però possiamo comunicare loro la bellezza della nostra fede? Come
possiamo mostrare loro il volto di Dio, quello vero, quello dei Vangeli, quello
di Gesù?
La bellezza del volto di Dio
Intanto, invece di maledire il buio è meglio accendere una
candela. Il Vangelo colloca la bellezza del volto di Dio nell’amore e non
altrove (per esempio nelle tante devozioni spesso devianti).
Il Medioevo è passato, ora la gente è più istruita e crede nella
scienza e nella medicina più che nei miti del passato. Specialmente i giovani
sono permeati da questo nuovo orientamento, ma come scriveva già Marco Fabio
Quintiliano (35-95 d.C.): «I giovani non sono vasi da riempire, ma fiaccole da
accendere».
Ma non basta! Che cosa vuol dire la dimostrazione dell’amore di
Dio per noi e tutta l’umanità? Dio si svela sulla croce come amore totale e
unico, in un uomo morente e abbandonato! È una idea tanto scandalosa al punto
da essere già messa in evidenza da Paolo con particolare vigore: «Noi
predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani,
ma per coloro che sono chiamati predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di
Dio» (1Cor 1, 23-24; Gal 5, 11). L’assoluta bellezza irresistibile di Dio
splende nella sua povertà, nel suo abbassamento, nel suo essere servo per noi,
nella lavanda dei piedi (ricordiamo papa Francesco nella Pasqua 2013). Dicono
che a inventare il presepe sia stato Francesco d’Assisi, segno di Dio che per
amore abbraccia la nostra povertà. Questa è la sfida nel villaggio globale, che
è il nostro mondo: mostrare la bellezza di Dio povero e impotente.
Segni di risurrezione
Come mostrarla? Attraverso i nostri atti di
trasformazione interiore, di cambiamento del cuore, come intendeva fare Gesù:
cambiare il cuore dell’uomo in profondità. Lo dice ancora Paolo nella lettera
ai Galati: «Siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga
un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio
gli uni degli altri». Li aiuta in questo lo Spirito del Signore. «Il frutto
dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà,
mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è legge» (Gal 5, 13-23). In
tal modo il cristiano raggiunge la vera libertà e di conseguenza la totale
liberazione dal dominio della legge e del proprio egoismo. Sono questi i segni
della Risurrezione che irrompe in noi e nel mondo globalizzato con gesti di
liberazione e trasformazione.
Ildegarda di Bingen (1098-1179), una mistica
tedesca del secolo XII, proclamata da Benedetto XVI Dottore della Chiesa (7
ottobre 2012), preferiva parlare non di croce ma di Risurrezione del Signore,
come scoperta, come primavera, come nuova nascita, luce, risveglio,
liberazione, come amore, speranza, riconciliazione, dono, fede (vedi pag. 79).
Voglia di tenerezza
Infine, il nostro cristianesimo è sovente
accusato o almeno sospettato d’indottrinamento e di arroganza. In ogni caso la
nostra società è profondamente scettica verso ogni certezza di verità. Succede
anzi che la verità oggi è quello che ci fanno apparire sullo schermo.
L’enciclica Fides et ratio del 1998 di Giovanni Paolo II afferma che «Si
può definire l’essere umano… come colui che cerca la verità» (n. 28). L’oggetto
della nostra verità, ossia della nostra fede, non sono le nostre parole o le
nostre verità, ma è amare e conoscere Dio, o come diceva Galileo: la scienza
insegna come vada il cielo non come si vada in cielo. Noi non possediamo la
verità, né la padroneggiamo.
Di fronte alla scienza, alla ricerca, ma
anche di fronte alla fede e alle affermazioni di altre religioni, dobbiamo
mantenere una profonda umiltà. Proclamiamo un mistero, il mistero di Dio fatto
uomo e non è facile spiegarlo nella sua realtà. Ognuno di noi non possiede tutta
la verità; anch’io ho bisogno della verità degli altri. Sono un mendicante
della verità, come tutti gli uomini di questo mondo. Dobbiamo perciò stare
attenti al nostro facile chiacchiericcio sul Vangelo e sulla fede. Solo così
possiamo distruggere le false immagini di Dio che potremmo essere tentati di
adorare, e liberarci dalle trappole dell’ideologia e dell’arroganza circa la
verità e la nostra fede, altrimenti anche noi rischiamo di cadere nel
fondamentalismo religioso.
È la testimonianza dell’amore vissuto che
conquista i cuori e la mente. Tu non credi; non preoccuparti, è Dio che crede
in te. Non importa quante cose fai, ma quanto amore metti in ogni cosa che fai.
«Non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili»
(Rosario Levantino). Predicazione, catechesi, liturgie vengono dopo. Lo
sottolinea papa Francesco: «Non siamo funzionari. Abbiamo tutti bisogno di
tenerezza». Voglia di tenerezza è il titolo di un film del 1983 di T. L.
Brooks.
Giampietro
Casiraghi
Giampietro Casiraghi