Giustizia riparativa 6 – Riconoscere le vittime

Nella Colombia del conflitto permanente


Nel paese del narcotraffico e della guerra civile più
duratura dell’America Latina, alcune idee e pratiche di giustizia riparativa si
fanno strada. Anche come strumenti di un’auspicata chiusura del conflitto. E
alcune politiche (troppo ambiziose?) puntano a reintegrare i paramilitari, a
far emergere le verità delle tante violenze, a riconoscere le vittime, alla
restituzione delle terre, a consolidare la memoria.

La
Colombia vanta il caffè migliore del mondo, così come gli smeraldi; è chiamato
il «paese-continente» per il mosaico di climi presenti nel suo territorio;
detiene il primato per la biodiversità per metro quadro. Nonostante questi e
altri elementi, per i quali dovrebbe essere una delle mete più ambite del
turismo mondiale, la Colombia è universalmente nota come il «paese della
cocaina» nel quale si combatte uno dei conflitti armati interni tra guerriglia
e paramilitari/esercito più lunghi della storia dell’America Latina, con
effetti devastanti sulla popolazione civile. Quattro milioni di sfollati
interni, sei milioni di ettari di terra usurpati, 15mila persone torturate,
50mila scomparse, 80mila esecuzioni extragiudiziarie, 1.282 massacri, 11mila
bambini soldato.

La legge di giustizia e pace e la domanda di verità

È interessante allora, e anche sorprendente, notare come
in un paese così scosso dalla violenza si stiano diffondendo iniziative
governative e della società civile improntate ai principi della giustizia
riparativa. Due esempi emblematici sono la Ley de justicia y paz e la Ley
de víctimas y restitución de tierras
. La prima, voluta dal presidente Álvaro
Uribe Vélez nel 2005, che aveva come finalità quella di offrire una fuoriuscita
rapida e indolore ai paramilitari, basandosi sui principi della giustizia
riparativa (pace e riconciliazione), è stata però profondamente innovata dalla
Corte costituzionale sulla base dell’evoluzione del diritto penale
internazionale (non applicazione di indulto e amnistia ai crimini
inteazionali) e della giustizia di transizione, ovvero dei diritti delle
vittime (diritto alla verità, giustizia, riparazione, garanzia di non
ripetizione dei crimini). Tale legge ha permesso a 50mila paramilitari di
smobilitarsi e reintegrarsi nella vita sociale attraverso programmi appositi. A
coloro che invece avevano commesso crimini di guerra e contro l’umanità (4mila
persone) ha dato accesso a un sistema penale ad hoc: al posto di una
pena carceraria di almeno 30 anni, una pena detentiva ridotta a 5-8 anni, alla
condizione di raccontare tutta la verità sui delitti commessi. La principale
particolarità di questo procedimento è che durante le udienze in cui il reo
racconta la verità, le vittime sono presenti in un’altra stanza, hanno la
possibilità di ascoltare in diretta quanto viene confessato, e possono porre
domande ai carnefici in merito alla sorte dei propri cari. Sovente accade che i
rei chiedano perdono per i crimini commessi e che le vittime trovino pace
sentendosi riconosciute, oltreché per essere finalmente divenute consapevoli di
quanto è successo.

Si tratta dunque di un sistema penale alternativo che
affianca alla pena detentiva la ricerca di una risposta alla domanda di verità
delle vittime. In più intende favorire la risocializzazione del reo
permettendogli di riconoscere le sue responsabilità e accompagnandolo nel
percorso di reinserimento nella società.

Vittime e restituzione della terra

La seconda legge, la Ley de víctimas y restitución de
tierras
, entrata in vigore il 1 gennaio 2012, ancor prima di dare
soddisfazione ai diritti delle vittime, dà compimento a quello che è uno degli
obiettivi primari della giustizia riparativa, ovvero il riconoscimento della
voce delle vittime. Per la prima volta in 60 anni il governo ha riconosciuto
l’esistenza di un conflitto armato interno, e dunque l’esistenza di milioni di
vittime di soprusi da parte delle varie fazioni.

Il governo ha capito che la fuoriuscita dal conflitto
non si ottiene solo con lo smantellamento dei gruppi armati, ma anche e
soprattutto attraverso l’attenzione dedicata alle loro vittime.

La Ley de víctimas y restitución
de tierras
, dunque, si pone come finalità principale la ricostruzione del
tessuto sociale e della fiducia reciproca, e quindi la riconciliazione
nazionale. Prevede la creazione di un programma che punti alla riparazione
integrale delle violazioni subite dalle vittime, inglobando anche le iniziative
già presenti: la restituzione, l’indennizzo, la riabilitazione. A livello
collettivo la riparazione avverrà tramite il riconoscimento pubblico delle
responsabilità dello stato, atti commemorativi e iniziative simboliche rivolte
alla comunità. Mentre l’intento di restituire 4 milioni di ettari di terra
illegalmente usurpati, e di avviare programmi che agevolino il ritorno alle
terre in totale sicurezza è a dir poco ambizioso. Così come l’intento di
aiutare le vittime a costruirsi un’alternativa di vita attuando programmi per
la creazione di posti di lavoro, sia in ambiente rurale che urbano, e avviando
le vittime senza titoli di studio a corsi di formazione per imparare un
mestiere.

Preservare la memoria

Interessanti, in ottica di giustizia riparativa, sono
infine le iniziative della società civile nazionale e internazionale: il
sostegno alle vittime e alle loro voci, l’impegno a mantenere viva la memoria
del conflitto perché non venga dispersa, le campagne di sensibilizzazione.
Numerosi sono infatti i reports scritti al fine di ricostruire e
preservare la memoria storica del conflitto, perché il popolo colombiano
conosca quanto è successo per più di mezzo secolo nel suo paese e si impegni
per la pace.

In questo filone possono rientrare le molte iniziative
che nascono dal basso: dalle piccole comunità in cui le vittime si riuniscono e
si danno forza a vicenda in gruppi di auto mutuo aiuto, alla costruzione di
musei della memoria. O, ancora, piantare un albero in ricordo dei cari uccisi
dal conflitto, partecipare a laboratori in cui rielaborare il lutto o
semplicemente ricominciare a pensarsi come persone utili.

Carolina
Bedoya Maya

Carolina Bedoya Maya

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