Giustizia riparativa 4 – Si tratta di liberare l’uomo
Padre Gianfranco Testa.
Se il mondo missionario s’interessa della persona, il tema
della giustizia riparativa è importante. Si tratta di liberare l’uomo. Parola
di padre Gianfranco Testa, missionario della Consolata che da decenni si occupa
di perdono e riconciliazione.
ordinato nel ’67 a Torino, a 30 anni è partito per l’Argentina. Al tempo dei
generali ha fatto 4 anni di prigione. A 40 anni è andato in Nicaragua, tentando
l’avventura in un paese che in quel momento era per lui molto interessante per
la rivoluzione sandinista, «una rivoluzione cristiano marxista, chiamiamola così,
tanto per spaventare qualcuno», ci ha detto. E poi a 50 anni è partito per la
Colombia. «Adesso, a 70, vado di qua e di là. Sono stato in Albania, in
Palestina. Muovo i miei ultimi passi sempre cercando di riflettere». Di
recente, a Torino, è nata, grazie a lui, l’università del perdono:
www.universitadelperdono.org.
Che senso ha, secondo te, parlare
di giustizia riparativa su una rivista missionaria?
«Se una rivista missionaria s’interessa dell’uomo, della
persona, certamente il tema della giustizia riparativa è importante. Purtroppo
ancora poco dibattuto. Si tratta di liberare l’uomo. Nella giustizia riparativa
il centro di tutto è la persona umana. E mettere l’uomo al centro vuol dire
fare un buon servizio missionario».
Come si sposa la missione della
Chiesa con il tema della giustizia riparativa?
«Io preferisco la parola “restaurativa”. Perché
“riparare” vuol dire mettere le cose a posto, invece qui si tratta di
restaurare la persona, ridarle dignità. Credo che questo discorso sia una sfida
fondamentale per la Chiesa oggi. Un discorso che i politici non sanno fare o non
vogliono fare. È quello per cui l’uomo, nonostante i suoi errori, e anche
l’uomo vittima, viene riconosciuto come persona degna di rispetto, degna di
amore. Oggi, nel sistema di giustizia la vittima scompare, non è importante. La
giustizia cammina da sola senza ascoltare il dolore di chi ha sofferto. Allo
stesso tempo, il colpevole non viene ristabilito come persona. Io penso che la
funzione della giustizia non sia di castigare, ma neppure di essere
indifferente. La funzione della giustizia è di restaurare: la vittima, il
colpevole, la società. Certo, ci sono delle condizioni: se il colpevole non
riconosce quello che ha fatto, allora deve intervenire una giustizia che
diventa “retributiva”. Ma se il colpevole è capace di assumersi la
responsabilità di quello che ha fatto, allora si entra in un dialogo di umanità.
Non di castighi, di leggi, ma di umanità, dove le persone acquistano un rilievo
fondamentale, e ognuno assume le proprie responsabilità, trovando anche le
strade di riparazione».
La Chiesa si è mai espressa in
maniera ufficiale ed esplicita sul tema della giustizia restaurativa?
«No. Finora no. Sarebbe una bella sfida. Penso che
sarebbe bello se ci si sedesse un po’ di teologi, di filosofi, qualche giurista
a pensare, riflettere insieme. L’importante cos’è? È la persona umana! Sempre.
Il cuore della nostra fede non è Dio, di cui possiamo parlare molto poco, ma
siamo noi. Noi che entriamo in noi stessi in profondità, e poi nello spirito,
nella verità, riscopriamo Dio. E siamo capaci anche di perdonare, di restaurare
e di lasciarci restaurare.
Questo mi sembra che sarebbe per la Chiesa un “buon
campo di battaglia”. Aiutare la società ad affrontare la domanda che da 2.800
anni ci si pone: “Come castigare un crimine senza commettee un altro?”. Noi
normalmente perseguiamo i crimini facendo altri crimini. Basti pensare a come
sono gestite le prigioni. Basti guardare la carica di odio, di rancore che si
accumula con la nostra giustizia. Ma che giustizia stiamo facendo? Noi abbiamo,
come Chiesa, un’esperienza di fede, di vita, di sensibilità che è insuperabile.
Forse non abbiamo riflettuto ancora abbastanza su questo tema. Sarebbe un
annunciare un’umanità nuova. La famosa civiltà dell’amore, del rispetto per la
persona, anche per il colpevole, ancora di più per la vittima.
La giustizia restaurativa è, alla fine dei conti, una
prassi quotidiana. Faccio un esempio: in Colombia seguivo dei ragazzi che un
giorno sono entrati in una casa a rubare. Una volta scoperti abbiamo applicato,
in modo informale, tra noi, la giustizia restaurativa: ho proposto loro due
tipi di castighi, oppure di scegliere loro. Il mio castigo sarebbe stato di
farli tornare a casa e di non accettarli più, oppure di non dare loro la prima
comunione alla quale si stavano preparando. E loro, chiamati a partecipare alla
decisione, hanno scelto di lavorare per un certo tempo per la persona che
avevano derubato, di restituire quello che avevano preso. Non è stato un
castigo: quei ragazzi si sono restaurati, hanno assunto le loro responsabilità.
In più abbiamo guadagnato nella vittima un amico, che ha detto: “Questi ragazzi
sono dei disgraziati, dei delinquenti, però sono anche capaci di fare del bene.
Sono capaci di riconoscere il male che fanno”. I ragazzi lavoravano talmente
tanto per “la loro vittima” che doveva fermarli lui stesso. Così si sono
restaurati la vittima, i colpevoli e la comunità.
Ho raccontato questo aneddoto per dire che anche in casa
si può usare la giustizia riparativa. Anche a scuola. Questo è il punto di
arrivo: la giustizia restaurativa non è solo per i palazzi di giustizia, ma
anche per la vita quotidiana. Evitare di castigare. Allo stesso tempo non
lasciare passare mai niente di sbagliato: ogni errore deve essere corretto».
Nella tua vita missionaria sei
stato e vai in diversi paesi del mondo affrontando il tema del perdono e della
riconciliazione. Ci puoi raccontare qualcosa di queste tue esperienze?
«Ieri sono stato in un campo Rom a Collegno (To).
Sappiamo che gli immigrati sono mal visti, ma i Rom sono rifiutati. Certamente
hanno i loro limiti, però mi sono trovato benissimo. Sono stato in Albania a
incontrare cattolici e musulmani sul tema della violenza tradizionale. Tengo
dei corsi sul perdono. Sono dei semi gettati. Non è che si risolvano i
problemi. Ma cerco, insieme ad altri che collaborano con me, una pedagogia del
perdono. Il papa Giovanni Paolo II, per la Giornata mondiale della Pace del
2002, alla fine del suo messaggio chiedeva che si costruisse una pedagogia del
perdono. Noi parliamo sempre del perdono, ma non insegniamo come si fa. Ecco. È
importante tentare di balbettare qualcosa su questa pedagogia del perdono».
GIUSTIZIA RETRIBUTIVA
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GIUSTIZIA RESTAURATIVA
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VALORI
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Interesse dello STATO al primo posto
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Interesse delle PERSONE COINVOLTE e della COMUNITÀ al primo posto
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Fuoco sulla PUNIZIONE – prigionia o pene
alternative inefficaci (carità a terzi)
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Fuoco sulla RESPONSABILITÀ e sulle
NECESSITÀ delle parti e della comunità
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COLPEVOLEZZA |
CORRESPONSABILITÀ COLLETTIVA
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Uso |
Uso |
PROCEDURA
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FORMALE, ritualistico / scenario di POTERE
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INFORMALE, semplificato / scenario
extragiudiziale o COMUNITARIO
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Linguaggio |
Linguaggio COMUNE e regole FLESSIBILI
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Processo decisorio delle AUTORITÀ / operatori giuridici
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Processo decisorio CONDIVISO con i coinvolti e la comunità
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IMPATTO ED EFFETTI PER LA VITTIMA
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MINIMA |
VOCE e RUOLO ESSENZIALI nel processo
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MINIMA assistenza PSICOSOCIALE e GIURIDICA
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Risposta effettiva alle necessità PSICOSOCIALI e GIURIDICHE
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INSODDISFAZIONE e FRUSTRAZIONE con il Sistema
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SODDISFAZIONE e CONTROLLO sulla situazione, ricupero dell’autostima
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IMPATTO ED EFFETTI PER L’ACCUSATO
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ALIENATO dal processo, comunicazione tramite l’avvocato
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PARTECIPAZIONE |
Necessità |
Necessità |
INNACCESSIBILE |
ACCESSIBILE, interagisce con la vittima e la comunità
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IMPATTO ED EFFETTI PER LA COMUNITÀ
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Restaurazione del tessuto sociale
Reintegrazione dell’accusato e della vittima
Efficacia di un sistema multiporte
Potenziale di riduzione della reincidenza
Pace Sociale con dignità e senza tensioni
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* Basato in comparativo schematico di
Renato Sócrates Gomes Pinto, presidente dell’Istituto di Diritto Comparato ed
Internazionale di Brasilia e pensionato dopo una carriera di avvocato,
difensore d’ufficio, promotore e procuratore di giustizia.
Luca Lorusso