Esperienze 3/ La «Chabrochanto» in Val Maira
Dalla città alla montagna. Reinventandosi una vita che
pareva decisa. Da subito il superfluo non trova posto. E un quotidiano in
decrescita si realizza prima di ogni teoria. Lei, lui e cinque figli sulle
montagne della Val Maira. Una storia che ha molto da insegnare. Siamo andati a
trovarli.
della Decrescita di Cuneo veniamo a conoscenza di una famiglia che vive in
termini «decrescenti». Si tratta di Marta e Giorgio, un medico e un traduttore
torinesi che dal 1992 abitano in Val Maira. Contrariamente alla tendenza
anagrafica la coppia ha ben 5 figli, la più piccola di 7 anni. Marta e Giorgio,
entrambi 49enni, sono i proprietari dell’azienda agricola Lo Puy che produce
formaggi di capra a latte crudo e si trova in borgata Podio a due chilometri
dal comune di San Damiano Macra.
La «Chabrochanto» è il loro locale di degustazione e
agriturismo, un luogo non solo gastronomico ma di incontro ed esperienze.
Arriviamo in borgata nel pomeriggio sotto un tiepido
sole e troviamo Marta intenta a dialogare con i suoi figli e con i loro amici.
Marta è una signora interessante, ha mantenuto le caratteristiche cittadine ma
ha assunto la tempra e l’aria sana della vita all’aria aperta.
«Quando siamo venuti a vivere qui era il 1992» racconta
Marta: «Avevamo un sogno nel cassetto, in condivisione con il nostro gruppo di
amici torinesi: riabitare una borgata. Era un’idea di stampo antropologico e
sociale, dove aveva la prevalenza un
discorso di buon vicinato con spazi culturali in comune e unità abitative
individuali. L’idea di un trasferimento di gruppo non è mai decollata e alla
fine Giorgio e io abbiamo deciso di tentare il salto da soli. I nostri amici
non ci hanno mai abbandonato idealmente e, anzi, ultimamente hanno comprato
alcune case in borgata nell’ottica di una promozione turistica del territorio».
Da Torino alla Val Maira, dalla città alla comunità
montana. Marta ci racconta del loro amore per la montagna, per la natura e gli
spazi aperti, della fatica del vivere metropolitano. Non ne parla con
aberrazione, ma osservandola in questo contesto si intuisce quanto potesse
sembrargli limitato l’ambiente cittadino. «Appena arrivati qui vivevamo a San
Damiano Macra. Io continuavo a fare il medico negli ambulatori locali e Giorgio
seguiva ancora qualche consulenza come traduttore. Poi, sono arrivati i primi
due bambini e Giorgio è diventato sempre più il punto di riferimento per la
famiglia. Si occupava volentieri di tutto il menage familiare, dell’orto che stavamo iniziando a coltivare e di
proseguire con i suoi studi di arricchimento personale (lo studio dell’arabo,
del cinese e dell’antropologia). Erano anni duri ma pieni, iniziavamo a
delineare in modo più chiaro quello che sarebbe stato il nostro futuro. Nel 1996
abbiamo trovato questa casa in borgata e il progetto di riabitare una comunità
montana ha preso corpo».
Mentre Marta racconta, ci tornano alla mente le immagini
di un film di qualche anno fa «Il vento fa il suo giro» dell’italiano Giorgio
Diritti girato in Val Maira. La storia sembra clonare le esistenze di Giorgio e
Marta: una famiglia con tre figli si trasferisce in una comunità montana per
vivere secondo natura, occupandosi di pastorizia, ma la diffidenza nei
confronti dello straniero non tarda a farsi sentire da parte dei locali. A
questa citazione Marta sorride e commenta: «Volete sapere una curiosità? Le
capre del film sono le nostre. Il film è molto genuino e gli attori non
professionisti rendono l’affresco. Per quel che ci riguarda, però, la comunità
locale non ha mostrato nessuna chiusura nei nostri confronti. Il fatto che io
facessi il medico e lavorassi molto sull’aspetto umano del paziente, ha
favorito una rete di contatti sociali propositivi che ci ha sicuramente
incoraggiati nell’iniziativa».
Medico, madre e costruttrice di una nuova esistenza
improntata sulla socialità, la spinta antropologica e il rispetto ambientale.
Quando è nata l’idea di una proposta anche commerciale? «Dopo i primi tempi in
borgata, anche Giorgio ha iniziato a vedere con più chiarezza quello che
potevamo ideare a livello professionale. Si è specializzato nella pastorizia ed
è andato in Francia per imparare a fare il formaggio. Nel 1999 abbiamo aperto
il caseificio con solo 20 capre. Il lavoro si è fatto sempre più intenso e
quando è arrivata Lara, prima come dipendente e poi come socia, mi sono
permessa una sosta dal lavoro di medico per dedicarmi esclusivamente alla
famiglia e all’attività».
Oggi, 2013, qual è la realtà di borgata Podio e
dell’azienda agricola Lo Puy? «Ad oggi la borgata è abitata dalla nostra
famiglia e da quella di Lara con le sue due bambine. Dal 2011 sono tornata a
lavorare come direttore sanitario in una struttura per anziani, tre giorni alla
settimana. Non ho studiato medicina per caso, era la mia passione pur
dissociandomi dagli aspetti del marketing sanitario. Il mio lavoro contribuisce
alle spese poiché la produzione del nostro formaggio è solo stagionale: da
marzo a novembre. Gli altri quattro mesi sono senza introiti. Anche il nostro
locale «Chabrochanto» contribuisce a rafforzare la nostra idea di rispetto a
360 gradi per la natura».
Marta ci chiarisce che non ama il termine «agriturismo»
in quanto ormai troppo inflazionato e, in troppe situazioni, poco veritiero: «Al
caseificio abbiamo abbinato l’attività della locanda di degustazione.
Proponiamo solo ed esclusivamente i nostri prodotti: formaggi, carne e
capretto, salumi di capra e maiali. Non avendo verdura a sufficienza, ci
foiamo dai produttori locali perché è insito nella nostra filosofia servirsi
a km zero. Non ci sono cartelli che rimandano alla Chaborchanto ma un ottimo
passaparola di clienti fidelizzati ci permette di sopravvivere. Il tutto è
nell’onda della purezza e genuinità».
Mentre deliziamo il palato con la marmellata di lamponi
e il pane fatto in casa da Marta, non possiamo non domandarci in che misura
rientra la decrescita in questo microcosmo. «Ci ritroviamo nel pensiero della
decrescita da prima che il termine venisse troppo abusato: ridurre il consumo e
il superfluo è la nostra linea quotidiana. Tutto quello che riusciamo a
guadagnare lo reinvestiamo nel nostro territorio, per la nostra famiglia e le
generazioni future che vorranno venire a vivere qui. Trovo personalmente
fallimentari le comunità che vivono nell’eremitaggio, appartandosi dal mondo.
Le scelte troppo radicali non mi appartengono. Cambiare è un progetto graduale
perché penso che, in un modo o nell’altro occorra fare patti con la società in
cui si vive. Non ci sentiamo ad esempio di privare i nostri figli da eventuali
attività sportive o musicali ma cerchiamo di organizzare la logistica in modo
da non creare troppo impatto sull’ambiente».
Sensibilizzare al decrescere. Vi
sentite in parte operatori di questa ideologia? «A questo riguardo il nostro
locale, la Chabrochanto, vuole essere un punto di incontro e confronto di idee
ed esperienze tra persone. Dal 2010, infatti, promuoviamo i «Conviti di
agricoltura»: libere condivisioni di idee sull’agricoltura odiea,
sull’alimentazione, sul mondo contadino e sulla decrescita in generale. Le
tematiche attuali vengono poste come interrogativi su cui riflettere: si può
fare a meno della connessione a Inteet, dei centri commerciali e della
macchina? A questo scambio dialogico si associano piatti sfiziosi».
Non sono solo gli stili di vita e le proposte al
pubblico che indicano uno stile «decrescente». Marta ci racconta che spesso a
Lo Puy si propone uno scambio del tempo. Vitto e alloggio assicurato, in cambio
di un paio di ore nell’orto o di una consulenza professionale in qualche
ambito. Rete e collaborazione sono le parole d’ordine ma anche ambiente. Grazie
alla collaborazione con una Onlus di Racconigi, l’azienda Lo Puy si è potuta
permettere i pannelli fotovoltaici. Questo ha favorito, oltre alla tutela
ambientale, un ottimo rapporto tra produttori e clienti. Il tutto fa parte di
un quadro che fa rima con impegno e anche con sobrietà.
Lasciando Borgata Podio l’impressione è che qui si
respiri un’aria di crescita, non quella del consumo ma quella dell’uomo, al
centro della sua vita in un paradigma «consapevole».
Gabriella Mancini