Cari Missionari
Correzione: Le cornordinate giuste di Sererit in Kenya (vedi
MC 5/2013, p 21) sono 1°40’47.08” N e 37°10’37.31” E e non quelle indicate che
si riferiscono invece alla chiesa di San Bartolomeo a Serle, Brescia. Scusate
lo svarione. Inoltre Sererit significa «acqua che scorre» e non «acqua scarsa»
(Sereolipi).
RITORNO IN ETIOPIA
Egregio
direttore,
amare e vivere la vita è donarsi agli altri. Il tempo corre veloce e il «mal
d’Africa» aumenta sempre di più. Da poco sono ritornato dal quinto viaggio
nella mia amata Etiopia. Altre emozioni, altre esperienze e altri orizzonti e
realtà vissute. Pensavo di conoscere già la gente dei villaggi di Weragu e
Minne, il loro modo di vivere, di comportarsi ma ho costatato che ho molto
ancora da apprendere. Nei villaggi sono ormai di casa, sono uno di loro fra
loro. I bambini, le donne e i giovani mi vogliono bene. Ho potuto fotografarli
anche all’interno delle loro capanne. Sono stato accolto con amicizia da una
famiglia cattolica, una musulmana e una ortodossa. Le suore della clinica ogni
due-tre sabati al mese si recano in un villaggio vicino, distante due ore di cammino,
per insegnare a leggere e scrivere agli adulti, e le norme igieniche e
comportamentali. Ho portato a p. Angheben Paolo la somma raccolta in Borgo e
valle, frutto della generosità dei benefattori che hanno donato con amore. Dal
profondo del cuore un grazie sentito, sincero, affettuoso con l’augurio di ogni
bene. La somma è servita per pagare lo stipendio per quaranta maestri che
insegnano a 1.200 bambini nella scuola primaria e secondaria dei due villaggi.
Lo studio è una tappa fondamentale per lo sviluppo di quel paese. Lo stato non
dà nulla ma pretende il rendiconto dei soldi ricevuti: ora anche le bambine,
anche quelle musulmane, vanno a scuola come i coetanei maschi. Nella biblioteca
di Debre Selam (rifugio di pace), ora funzionante, circa 5.000 studenti possono
studiare, scambiarsi libri e imparare a usare il computer e l’internet. P.
Paolo è ritornato a Modjo: la missione stava morendo ed ha portato una ventata
di fede, di entusiasmo e di speranza. Ora il bellissimo centro di animazione
missionaria e vocazionale è funzionante. I nuovi progetti di p. Paolo sono: la
costruzione di una sala mensa per 180 bambini della locale scuola matea
(costo circa 20.000 euro) e una chiesetta chiesta da un collega missionario
senza mezzi, in un villaggio vicino (costo circa 7.000).
La
fede profonda del padre, la solidarietà vera dei benefattori e l’onestà della
ditta del geometra Caevale faranno un altro prodigio.
A
p. Paolo, uomo di preghiera, di azione, di poche parole, schivo ma grande
psicologo e apostolo di anime, vada il mio grazie infinito. A tutti i
missionari, suore e fratelli della Madonna Consolata di Torino, sparsi sui
cinque continenti, testimoni di Cristo e della Vergine Maria, di cuore un
grazie sincero con affetto filiale e spirituale. Siete luce di verità, di amore
e di altruismo per tanta gente povera, abbandonata, oppressa e dimenticata dai
popoli ricchi. Attraverso p. Oscar, superiore dei missionari in Etiopia, un
grazie a tutti i missionari per l’ospitalità ad Addis Abeba (nuovo fiore) e nelle
altre missioni.
Con
affetto e un forte abbraccio di amicizia e cordialità.
Giovanni
De Marchi
via email, 2/5/2013
PADRE GIANNI, UNO CHE C’ERA
Oggi
siamo qui. Sono passati trent’anni eppure è come ieri. Noi abbiamo capelli più
o meno bianchi, rughe più o meno marcate eppure siamo noi. È passata una vita,
la nostra vita, abbiamo fatto lavori diversi, scelte diverse, percorso strade
diverse eppure siamo noi. Ci siamo ritrovati, un po’ storditi e commossi,
quando abbiamo saputo della sua morte, inattesa anche se conoscevamo le sue
condizioni di salute. Ci siamo ritrovati dove eravamo sempre stati con lui,
nella parrocchia Maria Regina delle Missioni, per ricordarlo nella preghiera,
con i suoi confratelli.
Ben
poco oggi ci unisce ancora, se non l’amore che abbiamo ricevuto da lui. Due
amori anzi: la sua amicizia, umana, tenera e profonda, e l’Amore, con la «a»
maiuscola, quello di Dio, che proprio lui ci ha fatto incontrare e sperimentare
negli anni dei gruppi giovanili. Trenta anni fa, quando noi eravamo i «suoi»
ragazzi.
Non
si dava delle arie p. Gianni, non conosceva la dinamica di gruppo, allora tanto
di moda, la psicologia, la sociologia…
Lui
semplicemente «c’era». Era lì, sempre a nostra disposizione, quando casualmente
«passavamo» vicino alla parrocchia. Era lì, spesso a fare i lavori più
semplici, raddrizzava un cartello, spostava un vaso di fiori, metteva in fila
le sedie…
Era
lì e ci accoglieva sorridendo. Con una battuta, una frase scherzosa.
Sembrava
svagato, ed invece era sempre tutto per noi, ci vedeva «dentro», come eravamo
davvero oltre l’esteriorità. Di ciascuno di noi ricordava tutto: vicende,
aspirazioni, problemi, ma anche la data del compleanno, le ricorrenze che si
sono via via aggiunte con il passare del tempo. Anche da lontano, negli anni in
cui è stato in Brasile, nel giorno giusto, dall’altra parte del mondo, arrivava
immancabilmente un suo biglietto, un sms, un saluto, un ricordo, una preghiera.
E non parole generiche, ma personali, sentite, profonde…
P.
Gianni c’era, ma era ugualmente pronto a «sparire», a tirarsi indietro, a farsi
da parte tanto era umile e schivo. Un merito, un successo non se lo prendeva
mai, ma lo attribuiva agli altri, sempre pronto invece a chiedere scusa, a
camminare in punta di piedi per non disturbare…
Non
so cosa abbia rappresentato per le persone che ha incontrato nei molti anni di
missione, posso immaginarlo a partire dalla nostra esperienza. Ma so che,
quando ci parlava di loro, emergeva un insieme di persone vive, concrete, alle
quali p. Gianni aveva voluto bene nello stesso modo in cui aveva amato noi:
singolarmente, ad uno ad uno come persone, ciascuna importantissima ai suoi
occhi e nel suo cuore. E sono convinta di una cosa: è stato proprio questo suo
modo di volerci bene che ha fatto «sperimentare» a tutti e a ciascuno la
profondità e la concretezza dell’Amore di Dio su di noi.
Claudia
Carpegna
(giovani di Maria Regina delle Missioni, anni 70-80), 15/5/2013
P. Gianni Basso, nato a
Quinto di Treviso nel 1949, ordinato sacerdote nel 1973, ha esercitato il suo
ministero sacerdotale dapprima in Italia e poi per molti anni in Brasile.
Rientrato per ragioni di salute, è stato alcuni anni a Vittorio Veneto,
ultimamente aveva iniziato il suo servizio missionario a Olbia, in Sardegna. Là
la morte lo ha colto all’improvviso il 17 aprile scorso come conseguenza di un
ictus. Sepolto al suo paese di origine, a Torino è stato ricordato con molto
affetto dai «suoi ragazzi» nella parrocchia Maria Regina delle Missioni.
AL DIO DELLE SAVANE
Caro
direttore,
ti allego la mia poesia “Al Dio delle Savane” segnalata al Concorso S. Sabino”
di Torreglia (Padova) lo scorso 5 maggio:
«O Dio di queste bellezze selvagge
che susciti canti da gole riarse
e accogli preghiere
impastate di terra e sudore.
Dio che ti fai dono
invisibile
sotto tettornie
di lamiera ardente,
che scendi e ti adagi
là dove si annida
la fame
e morde e grida forte
la sua esigenza
impellente.
Dio che ti fai insolito pane
di anime senza attese,
cibo di una fame
diversa
che non chiede
latte o sangue
ma sorsate d’amore,
di speranza,
di condivisione.
Dio, lampada di una notte
senza luna né stelle,
notte di angosce
e di dolori,
di mute invocazioni.
Busso forte
alla tua porta o Dio,
ti tempesto
di richieste.
Dio che mai spegni
il sorriso
sul volto di questi bambini,
dona pioggia e
ristoro,
pace e riconciliazione,
pazienza e saggezza.
Conserva il sacro senso della vita
da rispettare e trasmettere
con umiltà e fiducia
qui, dove il tempo è così lento
e l’attesa infinita
ma mai priva di
speranza.
A te affido Dio
la gente di questa
savana».
Giulia
Borroni
Wamba – Kenya, marzo 2011
Molte sono le novità apportate da Francesco «vescovo» di
Roma, positive, condivisibili, accattivanti. E tuttavia mi pare che il
rinnovamento della Chiesa, per la fedeltà al Vangelo meriti un approfondimento.
Egli ha subito invitato i fedeli a chiedere la
misericordia di Dio, senza stancarsi, perché essa è infinita. Dunque un
rapporto verticale tra l’uomo e la divinità, proprio comunque di ogni
religione. Ma Cristo introduce anche un altro rapporto, correlato al primo,
essenziale, cui dedica tutti i suoi insegnamenti: quello orizzontale tra l’uomo
singolo e gli altri uomini. Quest’ultimo condiziona lo stesso rapporto con Dio,
perché non è concesso ottenere da lui misericordia, se poi la si nega agli
altri e privi di compassione si calpestano i loro diritti fondamentali. Una
parabola del Vangelo è eloquente: quella in cui si parla d’un debitore che
chiede e ottiene la remissione del debito ma poi strozza, senza pietà, chi a
lui deve qualcosa. L’importanza del rapporto con gli altri uomini viene poi
sottolineata dal passo in cui Gesù afferma: «Se stai per deporre l’offerta
sull’altare e là ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la
tua offerta vai prima a riconciliarti con lui». E soprattutto là dove vengono
enunciati i criteri secondo cui saremo giudicati: avevo fame, sete, ero ignudo,
prigioniero.
È dunque chiaro che per Dio i rapporti con gli altri
uomini sono essenziali, primari; non ci può essere amore per lui se non nel suo
spirito, che dobbiamo attuare nel mondo in cui viviamo. Gesù viene in terra per
rivolgersi a tutti gli uomini, ma nello stesso tempo, pone una linea netta di
demarcazione: chi vuole seguirmi, deve conformarsi ai miei comandamenti, al mio
spirito. C’è un dovere di giustizia innanzitutto ed è chiarito dalla parabola
di Lazzaro e il ricco epulone. Il negare agli altri i propri diritti – e dunque
dare la preferenza al proprio egoismo anziché all’amore e al rispetto – pone
l’uomo al di fuori del rapporto con Dio, tra gli ingiusti, e Gesù verso
Epulone, non dimostra alcuna pietà, non gli dà alcuna chance.
Le ingiustizie, l’appropriarsi dei beni, lasciando
l’altro nella miseria, non si attuano tanto principalmente nel rapporto tra
uomo e uomo, ma soprattutto attraverso regole ingiuste imposte mediante
l’organizzazione sociale.
Don Camara affermava la necessità di chiedersi: come mai
tanti poveri? Nella situazione
attuale, occorre aver ben presente gli strumenti mediante cui le nostre società,
che riteniamo e si dicono cristiane, realizzano l’ingiusta ripartizione dei
beni e il dominio sulla terra. Al di là delle leggi di mercato, che penalizza e
riduce alla fame chi potere contrattuale non ne ha, nonché tutti gli altri
strumenti economici che conseguono lo stesso fine, v’è qualcosa di più
terribile, immorale e devastante. La guerra in primis, attuata in forza
della propria superiorità tecnologica, usando ogni tipo di armi, le più
micidiali: gli embarghi, le destabilizzazioni, il terrorismo.
La Chiesa dovrebbe farsi una domanda: quale educazione ha
fornito ai suoi fedeli e quale contributo ha dato alle strutture che hanno
formato e formano le nostre società? Com’è possibile una devianza così
macroscopica dai comportamenti che dovrebbero discendere dal Vangelo?
Lo scandalo delle ingenti somme destinate alle armi,
quando una moltitudine di persone nel mondo sono prive di cibo e medicine.
Gesù pone altresì un’altra barriera, invalicabile: tra
Dio e «mammona». Mammona è la logica e la pratica del mondo per ottenere
successo, onori, prestigio, danaro, potere, senza alcun riguardo e a danno
delle altre persone. Opposte sono le strade volute da Dio e le logiche cui
conformarsi. La Chiesa attuale, che mette al primo posto la propria immagine,
la sostiene usando mezzi non dissimili da quelli del mondo, evitando di
guardare le sue pecche e di prendere atto dei gravissimi danni provocati, ad
esempio, col proporre «l’ingerenza umanitaria», non è in linea col Vangelo;
semmai la sua immagine deve generarsi, spontaneamente, dai comportamenti fedeli
al Vangelo e dai cambiamenti che essa riesce a realizzare nei rapporti tra gli
uomini indirizzandoli alla giustizia e all’amore.
Se la Chiesa avesse il coraggio di guardare alla sua
storia, di ricercare il perché di tanti e gravissimi peccati di cui ha chiesto
perdono, vedrebbe come questi siano stati generati dal connubio con i poteri
temporali, dalla pretesa d’usarli come braccio secolare, dal pensare che sia
compito degli stati formare dei buoni cristiani (e dunque d’esercitare delle
pressioni in tal senso ed addivenire a dei compromessi) quando tale compito è
invece della Chiesa soltanto. Non solo le politiche che attualmente gli stati
cattolici o cristiani perseguono, del tutto immorali, escludono ciò, ma nella
differenza sostanziale tra i fini e i mezzi proposti da Cristo (la libera
scelta del suo messaggio, che si pone agli antipodi del pensare del mondo), e
quelli naturali degli stati (di cui è propria la coercizione e il cui fine, nel
migliore dei casi, è quello di organizzare una buona convivenza), sta la
necessità che ciascuno dei due poteri non interferisca con l’altro.
Questo non significa che il singolo cattolico non ispiri
il suo agire in politica, l’essere cittadino, alla luce del Vangelo o che la
Chiesa non possa insegnarlo, ma senza pretendere d’imporlo a chi in essa non si
riconosce.
Giuseppe Torre
Arenano 08/04/2013
a cura del Direttore