Il lago che dà vita
risorsa per decine di migliaia di persone. Ma negli ultimi anni i pesci sono
diminuiti, mentre i pescatori sono aumentati a dismisura. Occorre puntare su attività
alternative, come la piscicoltura. Mentre la Cina sta invadendo il mercato di
pesce surgelato.
Mweru significa «lago» in alcune lingue Bantu, per
questo, spesso, quando la gente del posto si riferisce al lago Mweru, lo chiama
semplicemente Mwelu (la pronuncia locale sostituisce la r con la l). Da sempre
le acque del lago, che fanno parte del bacino del fiume Congo, secondo per
portata d’acqua solo al Rio delle Amazzoni, hanno costituito un’immensa fonte
di ricchezza per gli abitanti dei due paesi confinanti: lo Zambia, sull’argine
meridionale e la Repubblica Democratica del Congo al Nord.
Nonostante la passata gloriosa ricchezza delle acque,
oggi pescatori, commercianti e contadini fanno tutti la stessa constatazione: «Nel
lago Mweru non ci sono più pesci».
La pesca dagli anni Settanta è diventata in queste zone
un’attività sempre più attrattiva. Essendo libera, perché non è richiesta
alcuna licenza, e priva di regolamentazione, il numero di pescatori è cresciuto
immensamente e nel 2011 sul lago se ne contavano oltre 22.000. Per contrastare
l’impoverimento delle acque dal 1986 lo Zambia ha attivato un periodo annuale
di divieto di pesca, che va dal primo dicembre al primo marzo, per permettere
ai pesci di riprodursi. Nel 2011 è stata anche promulgata una legge che
istituisce il reato della pesca illegale: chi durante il periodo di divieto
viene sorpreso a pescare o in possesso di pesce è sanzionabile con multe e con
la reclusione. Tuttavia, le autorità responsabili non hanno mezzi sufficienti
per garantire l’applicazione del divieto. Eest Ngula, del Dipartimento della
Pesca nel municipio di Nchelenge, lo dice chiaramente: «Le barche che abbiamo
per il pattugliamento sono vecchie, non abbiamo sufficiente benzina e non
sempre siamo scortati dagli agenti della polizia».
Come ci spiega Joyce Nsamba, la
rappresentante per il ministero dell’Agricoltura e Allevamento dello Zambia
(che si occupa anche di pesca) nella provincia di Luapula, nel Nord del paese,
il fiume Luapula, che traccia il confine tra Zambia e Rd del Congo prima di
gettarsi nel lago Mweru, non è una vera frontiera. I pescatori di entrambi i
paesi ne traggono la loro unica fonte di sostentamento e lo attraversano
quotidianamente.
Sono numerosi i congolesi che vivono sul
versante dello Zambia. Pochi sono registrati ufficialmente, ma preferiscono
questo lato perché i servizi e le infrastrutture, malgrado siano scarse, sono
migliori che sull’altro versante. In generale non ci sono problemi di
convivenza, ma non ci sono neanche politiche di gestione comune, né un sistema
condiviso per raccogliere informazioni sullo stato delle risorse ittiche.
Lo stesso vale per il lago Mweru. Anzi, gli
approcci utilizzati sono molto distinti. Lo Zambia ha optato per una
co-gestione della pesca, ovvero un sistema dove vengono coinvolti in comitati
locali i pescatori, le autorità tradizionali e i funzionari del ministero, per
promuovere una gestione sostenibile delle risorse anche attraverso la
sensibilizzazione e la diversificazione delle fonti di reddito. In Congo,
invece, il sistema di controllo è gestito dall’esercito, spesso corrotto.
A inizio giugno, un pescatore dello Zambia è
stato ucciso dai militari perché trovato in acque congolesi mentre praticava la
pesca illegale. In passato, si sono spesso verificati casi di arresti e
detenzione, ma la morte del pescatore ha suscitato scalpore. Il presidente del
distretto di Nchelenge, Mudenda, spiega che adesso anche dal lato dello Zambia
arriveranno alcuni contingenti dell’esercito per aiutare nel controllo del lago
e per ridurre la pesca illegale. Malgrado sia necessaria una gestione più
uniforme ed efficace del lago, il rischio in questo modo è di promuovere una
militarizzazione delle acque.
I pescatori sono persone semplici e a basso
reddito, spesso la pesca è la loro unica fonte di sostentamento e con l’attuale
stato delle risorse ittiche, usare metodi illegali è diventato per loro il solo
modo per riuscire a sopravvivere. I metodi più diffusi sono l’utilizzo di reti
molto fini, come le zanzariere, per riuscire a catturare i pesci anche di
piccola taglia, ma si ricorre anche a esplosivi rudimentali e al veleno
chiamato localmente ububa. Di notte nel lago si possono vedere delle
tenui luci galleggianti: sono i pescatori che cercano di scappare ai controlli.
Il dottor Abila, esperto di risorse ittiche
che lavora nella Provincia di Luapula per fornire assistenza tecnica al
ministero dell’Agricoltura e Allevamento, è convinto che occorra insistere sul
principio di co-gestione della pesca e promuovere attività alternative per i
pescatori, in particolare l’acquacoltura: «Il pesce fa parte della dieta
locale, la domanda di questo prodotto è superiore all’offerta disponibile, e
per questo la pesca di allevamento ha potenziali enormi. Però occorre appoggio
tecnico, e un credito iniziale per avviare l’attività. Ci sono già oltre 2.000
vasche di allevamento nella regione, ma la produttività è bassa e poco
redditizia, specie per il costo degli alimenti da dare ai pesci. Stiamo
portando avanti il principio di allevamento integrato, ovvero associare
all’acquacoltura, la produzione agricola e l’allevamento di polli, galline e
maiali, perché gli scarti animali e vegetali sono un ottimo alimento per i
pesci. Ma ci va del tempo per avere risultati, e i cinesi sono già dietro
l’angolo con i loro pesci surgelati, pronti a invadere il mercato».
Attualmente infatti si calcola che l’80% del
pesce consumato in Zambia sia importato da Cina e Zimbabwe. In Cina la pesca
d’allevamento è sussidiata e i prezzi sono più competitivi, mentre in Zambia
l’acquacultura è ancora molto disorganizzata, non beneficia di economie di
scala e non riceve sufficiente supporto dalle politiche governative.
L’agricoltura è sempre stata sussidiata dallo stato, attraverso la
distribuzione di fertilizzanti e l’acquisto del mais a un prezzo sovvenzionato,
invece la pesca e l’allevamento non hanno beneficiato di analoghi incentivi.
Se la pesca sul lago Mweru è attività
principalmente maschile, la commercializzazione dei pesci è riservata alle
donne. Si riuniscono all’alba sulle rive del lago e aspettano, armate di
bacinelle, l’arrivo delle piccole barche sgangherate dei pescatori, che sono
letteralmente prese d’assalto ancora prima di toccare terra. «Siamo troppe
commercianti, ormai è diventato durissimo ottenere il pesce da vendere. È una
vera lotta, ogni mattina. Non c’è abbastanza pesce per tutte» spiega Janet, del
quartiere di Queens, municipio di Nchelenge. Lei, insieme ad altre donne, fa
parte dell’Associazione della Pesca di Luapula. Hanno uno spazio dove fare il
mercato, i prezzi sono prestabiliti e la qualità è garantita.
Il principale prodotto del lago è la tilapia,
la comprano a unità, sei pezzi costano 50 kwacha (la valuta locale,
circa sei euro), e li rivendono a 60 kwacha. In media vendono circa
sessanta pesci a giornata, per un ricavo totale di 60 kwacha. I prezzi
variano in base alla stagione, ma il ricavato è abbastanza costante.
Poi c’è il periodo del divieto della pesca,
dove è proibito commercializzare il pesce fresco. Resta il pesce sotto sale e
affumicato che si conserva a lungo. Disposti sui banchi, infatti, si vedono
anche ordinati i pesciolini dorati e bianchi, conservati con delle tecniche
tradizionali tipiche degli isolani.
«I pesci secchi li preparano gli indigeni
delle isole, è da loro che li compriamo» ricorda Janet. Nel lago Mweru ci sono
varie isole flottanti, e sul versante dello Zambia due sono le più estese e
abitate da oltre 28.000 persone. Sulle due isole però non c’è alcun tipo di
servizio: né scuole, né ospedali, né elettricità. In queste comunità, la piaga
dell’Hiv è ancora preoccupante: l’alta mobilità dei pescatori, le relazioni di
potere con le commercianti, i flussi transfrontalieri e lo scarso accesso a
strutture sanitarie ne favoriscono la diffusione, malgrado si possa constatare
una generale consapevolezza e informazione sulla malattia.
Lungo la strada che costeggia il fiume Luapula
si vedono ragazzini con pesci in mano che cercano di vendere alle rare macchine
che passano. Chisela ha un sorriso fulminante mentre mostra la sua «preda»: è
un pesce gatto di oltre quattro chili. Il dottor Abila spiega che i pesci nella
stagione della pioggia, tra maggio e ottobre, risalgono dal lago il corso del
fiume dove si riproducono. «Vedendo pesci di questa taglia è difficile
affermare che ci sia un sovra-sfruttamento biologico delle risorse ittiche; è
invece più corretto parlare di sovra-sfruttamento economico delle acque dovuto
a una crescita sproporzionata del numero di pescatori, barche e reti. Oggi, per
darvi un dato chiaro, la resa della pesca annuale di un pescatore è di circa la
metà di quindici anni fa: si è passati da 1,3 tonnellate a 0,6».
Morgan, cornordinatore del comitato per la
gestione della pesca del villaggio di Chitondo lo dice chiaramente: «Mwelu non è
più quella miniera d’oro che era in passato; dobbiamo prendee atto, e
comportarci di conseguenza».
Ermina
Martini
Insieme per il lago
Nella regione di Luapula il ministero dell’Agricoltura e
l’Allevamento, supportato dai programmi di cooperazione promossi da Finlandia e Giappone, ha
istituito 136 comitati di villaggio per la gestione della pesca. Sono gruppi di
volontari, in media otto per ogni comitato, eletti a livello di villaggio, che
hanno ricevuto formazioni specifiche e assumono la responsabilità di promuovere
il rispetto delle norme della pesca attraverso la sensibilizzazione e il
controllo.
Fare parte del comitato è vissuto come un onore, ma non
mancano le frustrazioni. Spesso i membri dicono di non avere nessuno strumento
per operare, e usare il controllo sociale e dare il buon esempio non sono
sufficienti.
Bisogna promuovere attività alternative per i pescatori, come
l’agricoltura e l’allevamento, ma il ministero manca dei mezzi. Nelle
sensibilizzazioni si parla anche dell’aspetto ambientale per prendere coscienza
di come il lago stia cambiando e del problema dell’Hiv.
Ermina Martini