Rispondere ai delitti senza commettee altri.
Introduzione:
Quando al centro c’è la persona.
Venti pagine di dossier per
parlare poco di carceri (nonostante nel mondo siano ben 10,1 milioni le persone
detenute1) e molto di giustizia e dignità. In cerca di risposte alla
domanda che da millenni assilla l’uomo: «Come rispondere a un delitto senza
commettere un altro delitto?».
Normalmente, quando si
parla di giustizia, la prima immagine che viene in mente è quella del carcere.
I mass media in genere affrontano il tema «giustizia» contando gli anni «dati»
al colpevole di tuo.
Negli ultimi mesi si è parlato molto di carceri: a
maggio 2014 l’Italia verrà sanzionata dall’Europa se nel frattempo non rimedierà
alle condizioni disumane in cui vivono quasi 65mila persone, stipate in centri
detentivi che possono ospitae 47mila. Il nostro paese è stato condannato
dalla Corte di Strasburgo (quella che nel Consiglio d’Europa vigila sui diritti
umani) per violazione grave e sistematica del divieto di trattamenti inumani e
degradanti, divieto legato direttamente al diritto alla vita. Per scuotere il
Parlamento dall’inerzia, il presidente Napolitano, per la prima volta in 7
anni, l’8 ottobre scorso, ha inviato alle Camere un messaggio nel quale uno dei
passaggi più importanti era l’invito a «ricorrere il più possibile alle misure
alternative alla detenzione e a riorientare la politica penale verso il minimo
ricorso alla carcerazione». Purtroppo in quei giorni si è parlato quasi
esclusivamente, e in forma spesso oppositiva e strumentale, delle «misure
d’emergenza» (indulto e amnistia), e non del fatto che gran parte del problema
del sovraffollamento delle carceri dipende dalle scriteriate politiche
iper-carcerarie degli ultimi anni che, ancora oggi, fanno andare in galera
molte persone non pericolose.
In questo dossier parleremo di giustizia senza mettere
il fuoco dell’attenzione sul tema delle carceri, nonostante la sua grande
importanza e la sua urgenza. Riteniamo infatti fondamentale una riflessione più
ampia, che non dia per scontato che la parte più importante del «fare giustizia»
sia la punizione, che provi a mettere in dubbio l’idea di poter «educare al
bene attraverso il male» (rieducare, risocializzare un «delinquente» attraverso
la sofferenza dell’esclusione, della carcerazione).
Abbiamo ascoltato alcune voci di esperti che ci hanno
messo in questione: qual è la nostra idea di persona? È la persona al servizio
della legge, dell’ordine? Oppure è l’ordine al servizio della persona? Domanda
che assomiglia a quella evangelica: l’uomo è stato fatto per il sabato, o il
sabato per l’uomo (cf. Mc 2, 27)? La persona ha un suo valore, una sua dignità
in sé, oppure solo in relazione a ciò che fa (bene o male)?
Negli ultimi decenni una nuova idea e pratica di
giustizia ha iniziato a diffondersi nel mondo: la giustizia riparativa, o
restaurativa. Essa risponde alle domande poste sopra affermando che la persona
ha valore in sé, che non può essere lo strumento, ma il fine, come dicono la
Costituzione italiana e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Essa
esclude che il compito principale della giustizia sia quello di punire, e
afferma, al contrario, che debba restaurare la persona, vittima e colpevole,
insieme alla comunità, alla società (attraverso l’ascolto, l’inclusione, la
responsabilizzazione).
Tra «gli esperti» interpellati, oltre all’ex magistrato
Gherardo Colombo e alla docente della Cattolica professoressa Claudia
Mazzucato, c’è anche padre Gianfranco Testa, missionario della Consolata, alle
cui parole affidiamo le ultime righe di questa introduzione: «“Il Signore
impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse”. La pagina
splendida della Genesi al capitolo 4, in una quindicina di righe ci offre
l’affresco più coinvolgente della storia dell’umanità. Non c’è campo per la
vendetta. Il Dio della vita si fà garante dell’assassino, ma non dimentica la
vittima, e ci dice, allora come oggi, che i fratelli sono due e di tutti e due
ci dobbiamo fare carico.
Se pensiamo solo al carcerato e ci interessiamo solo di
lui, potremmo fare la fine del medico che spera non finiscano mai gli ammalati
per non rimanere senza nulla da fare. Il primo compito di un vero operatore
sanitario è di prevenire la malattia. Così il compito principale della
giustizia è di prevenire la devianza. Per fare questo, tra le altre cose, si può
vedere se ci sono delle alternative al carcere.
Quando qualcuno commette un delitto, egli va
innanzitutto contro una persona, non contro una legge. E la riparazione avviene
quando le due persone tornano a incontrarsi in modo positivo.
Questo è impossibile? È un’utopia?
La persona, qualsiasi cosa faccia, anche azioni
distruttive, deve stare al centro del nostro interesse. E la persona ha due
volti: della vittima e del colpevole.
Lo scopo della società è quello di recuperare le persone
in quanto vittime ferite da una azione ingiusta, aiutandole a superare la
“schiavitù” del rancore e del desiderio di vendetta. Allo stesso tempo è quello
di fare in modo che la persona colpevole che ha provocato dei danni senta di
essere capace anche di azioni positive.
Allora la giustizia non serve per “salvare” la legge, ma
per ricostruire la persona. Di qui la giustizia restaurativa, che non è semplicemente
un’alternativa alla giustizia retributiva o rieducativa, ma una modalità di
intervento sulla conflittualità sociale».
1 – Dato del maggio 2011 ricavato dalla nona
edizione della World Prison Population List dell’Inteational Centre
for Prison Studies.
– C. Mazzucato, Appunti per una teoria ‘dignitosa’ del diritto penale a
partire dalla restorative
justice, in Dignità
e diritto. Prospettive interdisciplinari, Libellula edizioni, Tricase (Le) 2010;
– D. Garland, La
cultura del controllo (2001), Il Saggiatore,
Milano 2004;
– E. Wiesnet, Pena
e retribuzione: la riconciliazione tradita
(1960), Giuffrè, Milano 1987;
– M. Foucault, Sorvegliare
e punire (1975), Einaudi, Torino
1993;
– I. Marchetti e C. Mazzucato, La
pena in «castigo». Un’analisi critica su regole e sanzioni, Vita e Pensiero, Milano 2006;
– G. Mannozzi, La
giustizia senza spada, Giuffrè, Milano 2004;
– P. Massaro, Dalla
punizione alla riparazione, Franco Angeli, Milano
2012;
– Pena, riparazione e riconciliazione, Atti del convegno di studi. Como 2005, Insubria
University Press, Varese 2007;
– Howard Zehr, Changing
Lenses. A New Focus for Crime and Justice,
Herald Press, Scottsdale, 1990;
– Film: One Day After Peace, di Erez Laufer e Miri Laufer, Israele-Sudafrica
2012.
Annalisa Zamburlini
Dottoranda in Sociologia e
metodologia della ricerca sociale presso l’Università Cattolica di Milano. Nel
2010 si è laureata con una tesi dal titolo «Il Parents
Circle – Families Forum israelo palestinese,
un’esperienza di giustizia riparativa?».
Carolina Bedoya
Maya
Dottoressa in Scienze politiche e
relazioni inteazionali e in Scienze per il lavoro sociale e per le politiche
di welfare con una tesi dal titolo «Colombia: tentativi di porre fine al
conflitto tra Transitional
Justice e Restorative justice».
Gherardo
Colombo
Pubblico ministero presso la Procura
di Milano dal 1989 al 2005, poi giudice di Cassazione, ha lasciato la
magistratura nel 2007. È oggi presidente della casa editrice Garzanti.
Claudia
Mazzucato
Docente di Diritto penale e
penale minorile all’Università Cattolica. È stata co-fondatrice dell’Ufficio
per la Mediazione penale di Milano. Dal 2002 partecipa a vari progetti di
ricerca e programmi di formazione nazionali e inteazionali sulla giustizia
riparativa.
Gianfranco
Testa
Missionario della Consolata, ha
prestato il suo servizio missionario in diversi contesti dell’America Latina.
Attualmente è impegnato in Italia.
Luca
Lorusso, redattore di MC.
Luca Lorusso e altri