La verità sono io

Libertà di stampa a rischio


Dopo 15 anni di guerra civile,
dal 2005 il potere è in mano a una fazione di ex guerriglieri hutu. E da subito
si nota una tendenza alla deriva autoritaria. Ma è nel 2010 che le cose si
complicano. Il partito del presidente Nkurunziza occupa quasi totalmente il
potere. E tende a restringere ogni spazio di espressione.

Il Burundi, piccolo paese
dell’Africa centrale, schiacciato tra i due giganti Congo (Rd) a Est e Tanzania
a Ovest, e il fratello-gemello scomodo a Nord, il Rwanda, che da sempre ne
influenza la storia. Con una superficie pari a quella della Sicilia e 10
milioni di abitanti soffre di sovrappopolamento e, di conseguenza, di una
progressiva mancanza di terra per sfamare i suoi abitanti.

«Le
sue colline verdi, il clima ideale. Il Burundi è sempre un paese molto bello,
soprattutto adesso che non c’è più la guerra» ricorda una volontaria di vecchia
data. Vero, la guerra non c’è più. Si può dire che sia finita con gli ultimi
accordi di pace, quelli tra Cndd-Fdd (Consiglio nazionale per la difesa della
democrazia – Forze per la difesa della democrazia) e Fnl (Fronte nazionale di
liberazione). L’Fnl è stato l’ultimo gruppo armato a deporre le armi nel 2008
(si veda MC maggio 2011). Da alcuni anni però, la situazione dei diritti
umani nel paese è in rapido peggioramento.

Giro di vite sulla stampa

Il 3 aprile scorso è stata approvata dall’Assemblea Nazionale
(camera bassa del parlamento) la nuova legge sulla stampa che sostituirà, una
volta passata al Senato, quella del 2003. Una legge che Reporter senza
frontiere
, organizzazione per la difesa dei giornalisti, definisce «liberticida»
lanciando un appello: «Chiediamo al Senato di non votare questo testo, che
porta il marchio della frangia più dura del partito al potere e riduce molto il
margine di manovra dei giornalisti e dei media» dichiara. «Minacciata da questo
testo (…) la stampa burundese rischia di non poter giocare il suo ruolo nel
dibattito democratico».

Anche l’Unione burundese dei giornalisti (Ubj), per nome del
presidente Alexandre Niyungeko, denuncia una «volontà di chiudere i media
indipendenti».

La nuova legge pone restrizioni all’accesso alla professione
(occorrerà avere una laurea); obbliga il professionista a rivelare le fonti
d’informazione nei casi di «sicurezza dello Stato e difesa» e limita la
diffusione di informazioni o documenti sugli stessi temi e sulla moneta o il
sistema del credito pubblico. Aumenta, inoltre, il valore delle multe fino a
3.000 euro per diffamazione (un giornalista in Burundi ne guadagna da 80 a 150
al mese). E potenzia le prerogative del Consiglio nazionale delle comunicazioni
(Cnc) – il nemico numero uno dei giornalisti – che può rilasciare o ritirare
(temporaneamente o definitivamente) la tessera stampa ai professionisti anche
in casi di «ingiuria e diffamazione».

Ma questo è solo l’ultimo duro scontro tra il regime al potere in
Burundi e i media del paese.

Un conflitto lungo 15 anni

L’inizio della guerra civile in Burundi si
può datare con l’ottobre 1993, quando il neo eletto presidente Melchior
Ndadaye, di etnia hutu, voluto dalla maggioranza della popolazione, viene
assassinato. All’epoca le leve del potere, e soprattutto l’esercito, sono
saldamente in mano ai tutsi. Gli accordi di Arusha (2000) e di Pretoria (2003)
portano, non senza difficoltà, alla pace e a una nuova Costituzione. Le
elezioni generali con «il nuovo corso» si tengono nel 2005, quando l’Fnl tende
ancora imboscate e uccide all’interno del paese. Il Cndd-Fdd (movimento ribelle
hutu) vince e Pierre Nkurunziza, diventa presidente della Repubblica. Ma i veri
problemi sorgono alle elezioni del 2010. Dopo la prima tornata di maggio
(amministrative), i partiti di opposizione accusano brogli e si ritirano dalla
competizione. Intanto la tensione aumenta. Il Cndd vince in solitaria e
ottiene, questa volta, un controllo quasi totale di parlamento, governo e
presidenza della repubblica. La deriva autoritaria è garantita.

Diritti umani, no grazie

Nel 2010 si registra una «forte riduzione
dello spazio democratico» denuncia l’associazione statunitense Human Rights
Watch
(Hrw), che osserva il forte aumento di violenza politica tra fine
2010 e il 2011, con decine di assassini politici, impunità quasi totale dei
responsabili, atti di intimidazione e molestie verso militanti della società
civile e giornalisti. Il sistema giudiziario resta molto debole.

Già in campagna elettorale aumentano arresti
arbitrari e torture. Il partito Fnl si spacca, e il presidente Agathon Rwasa
fugge all’estero. Molte personalità politiche e giornalisti scelgono la stessa
via dell’esilio.

«Lo stato non riesce a proteggere i propri
cittadini e non reprime violazioni e crimini» incalza Hrw e si assiste a un «impasse
politico tra partito al potere e partiti di opposizione».

È di questo periodo la comparsa di nuovi
gruppi armati: alcuni membri del Fnl riprendono le armi e iniziano a fare
attacchi contro i membri del partito al potere e autorità locali. Il timore del
ritorno alla guerra civile è palpabile. Nel 2011 si assiste a un picco di
assassini. Molti sono gli scontri tra Cndd-Fdd e gruppi sedicenti alleati del
Fnl. Il potere utilizza a questo scopo polizia, servizi segreti e anche la sua
lega dei giovani, gli Imbonerakure.

Il 18 settembre 2011, domenica sera come tutte le altre. Un gruppo
di armati scatena l’inferno nel piccolo bar a Gatumba, località nei pressi
della frontiera con il Congo. È un massacro: 39 morti e 40 feriti. I colpevoli
restano sconosciuti. Fnl e servizi di sicurezza si accusano a vicenda. Il
governo applica una pressione mai vista affinché i media non parlino
dell’accaduto e nessuna inchiesta sia svolta. Hrw riporta che nel 2012 il
numero di assassini politici è sceso.

Media sotto tiro

Il «nuovo potere» in Burundi (Cndd-Fdd)
eredita dai precedenti regimi il cattivo rapporto con la stampa privata.

La radio è il principale mezzo
d’informazione per un paese in cui l’analfabetismo è ancora molto diffuso. Dal
1992 con la liberazione della stampa, si moltiplicano le radio private a fianco
di quella pubblica già esistente da tempo. Per i politici diventano il mezzo
per raggiungere le masse, fare propaganda, distruggere (verbalmente) i propri
nemici. «Ma è anche una tribuna di rivendicazione della società civile, in
particolare delle associazioni di difesa dei diritti umani, dell’opposizione e
della popolazione confrontata quotidianamente con problemi di ingiustizia»
scrive Gabriel Nikundana, giornalista radio e direttore del Centre de
formation des média
di Bujumbura. «Da qui il tentativo del potere attuale
d’imporre il silenzio a tutte le radio private che denunciano corruzione e
assassini selettivi. (…) Da quando i principali partiti di opposizione hanno
boicottato le elezioni nel 2010, il partito presidenziale ha occupato tutti gli
spazi di espressione. Le radio sono rimaste l’unica voce critica».

Il giornalista burundese, lui stesso
arrestato diverse volte e sottoposto a campagne denigratorie in passato per
aver dato voce a personaggi «scomodi» come i leader di diverse fazioni ribelli,
ha realizzato uno studio: «La repressione dei media in Burundi: deriva
professionale o deriva del potere attraverso il Cnc?». Nel lavoro Nikundana
analizza la repressione di radio e giornalisti negli ultimi anni ma cerca di
stabilire la correttezza deontologica di testate e giornalisti.

In Burundi la Radio Nazionale (Rtnb) è veicolo di propaganda
governativa. Nel variegato panorama delle radio private nascono tra fine anni
’90 e inizio 2000 tre importanti emittenti, che contendono alla Rtnb il livello
di ascolto: Radio Isanganiro, Radio Pubblica Africana (Rpa) e Radio Bonesha Fm.
Secondo Nikundana queste tre costituiscono un vero «contro potere», ed è per
questo che si innesca quella che lui chiama «la guerra dello stato ai media».

L’anno di tutte le
persecuzioni

Durante tutto l’arco del 2011 la Rpa, Isanganiro e Radio Bonesha
sono particolarmente colpite dalla Cnc e dai ministeri dell’Inteo e della
Comunicazione che sanzionano ripetutamente le tre radio. Molteplici i casi di
giornalisti e direttori convocati per spiegazioni, sia sui contenuti delle
trasmissioni, sia di carattere amministrativo. Molti reporter sono costretti a
mesi di reclusione senza processo nelle famigerate carceri burundesi.

Emblematico è il caso di Hassan Ruvakuki di Bonesha FM. Il
giornalista, anche corrispondente di Radio France Inteational, viene
arrestato il 28 novembre 2011. Dapprima accusato di «collaborazione con i
ribelli» durante il processo l’accusa diventa «partecipazione ad atti di
terrorismo». È quindi condannato all’ergastolo il 20 giugno 2012. Avrebbe
partecipato in Tanzania a riunioni di un nuovo movimento ribelle. In appello
gli viene ridotta la pena a tre anni di prigione (8 gennaio 2013). Ma il 6
aprile, pochi giorni prima della visita di Nkurunziza in Francia, Ruvakuki
viene improvvisamente scarcerato. Rsf, che ha condotto una campagna per la sua
liberazione, parla di «liberazione precaria, ufficialmente per “ragioni di
salute”». Mentre l’inquietudine resta perché: «Il giornalista è tutt’oggi
condannato a tre anni di prigione. Può essere ripreso in qualsiasi momento».

La Rpa resta la radio che ha avuto più problemi con il governo.

Molto gravi sono le accuse del ministro dell’Inteo, Eduard
Nduwimana in una lettera del 14 novembre 2011: «Lungi da essere uno strumento
di coesione sociale come dite, la vostra associazione utilizza la radio per discreditare
le istituzioni, delegittimare il potere giudiziario, condannare gratuitamente
gli individui, incitare la popolazione all’odio e alla disobbedienza, favorire
il culto della menzogna». Accuse non circostanziate, non viene segnalata la
trasmissione incriminata né le violazioni della legge. Il ministro chiede una
serie di controlli amministrativi, ma, di fatto, non da seguito alla vicenda.

Errori professionali?

«Molto spesso – ricorda Gabriel Nikundana – i richiami del Cnc o
dei ministeri sono imprecisi e non identificano chiaramente i passaggi o le
trasmissioni e impongono sanzioni non conformi alla legge». Inoltre: «Le
convocazioni a raffica di direttori e giornalisti hanno creato una forte
tensione nelle redazioni. Questo ha portato a considerare il governo come un
nemico. Ogni pretesto per discreditarlo era diventato valido, mentre
l’accuratezza nel verificare le informazioni è stata meno rigorosa. Così è
successo che l’informazione diventasse tendenziosa». I tre direttori,
intervistati da Nikundana, si difendono: sono consci di qualche bavure e
di mancanze al codice deontologico, ma dichiarano di aver punito loro stessi i
propri giornalisti.

«Abbiamo verificato alcuni errori professionali non sanzionati –
conclude Nikundana -. Questo a nostro parere dimostra che le intimidazioni
delle autorità pubbliche spingono i media all’errore. Il Cnc inoltre non è
neutro, in quanto i suoi membri sono nominati per decreto ministeriale. I
giornalisti spesso commettono degli errori, o non distinguono la militanza
politica dal giornalismo. Ma proprio questi sbagli non sono sempre identificati
dal Cnc che si concentra là dove vede un’opposizione politica al regime.

Marco Bello
___________________
 
MC ha trattato la libertà di stampa in Burundi nei servizi:
Va in onda la speranza, Marco Bello, maggio 1999;
Un mondo a misura di radio, dossier, Aa.Vv., settembre 2009;
Radio Incontro
, Marco
Bello, maggio 2011.


Marco Bello

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