Nell’editoriale dello scorso mese esprimevo l’aspettativa
che lo Spirito Santo ci sorprendesse con un papa inedito, secondo il cuore di
Cristo. Lo Spirito ci ha ascoltati. Anzi, ha aggiunto sorpresa a sorpresa: ci
ha dato il papa della tenerezza. E questo è davvero una specie di nemesi
storica. Papa Francesco viene da un continente dove il Vangelo, soprattutto nei
primi secoli, è stato imposto più con la forza delle armi che con la
testimonianza dell’amore e ora, proprio quel continente dona alla Chiesa
universale un testimone della tenerezza di Dio. Mi sembra bellissimo.
Voglia di tenerezza. Era il titolo di un film del 1983 di J. L. Brooks.
Abbiamo tutti bisogno di tenerezza e misericordia. Questo papa ci sta facendo
capire la bellezza e la forza della tenerezza di Dio: un padre che sente
come una madre (vedi la parabola del «padre misericordioso» in Luca). E questo
mi riporta alla mente ricordi lontani. Forse maggio 1955. Ho appena quattro
anni. Mio padre è in ospedale da mesi. Una sera ritorno a casa dall’asilo. La
strada in salita è inondata dal sole al tramonto. All’improvviso dal grande
portone della cascina mezzadrile esce un uomo, nera siluette nel sole
accecante. è lui! Corro,
lasciando indietro i cuginetti. «Ubà!» (babbo). E sono nelle sue braccia. Gioia
indicibile. Il ricordo di una tenerezza che non mi lascia più. Spalle forti da
contadino, braccia muscolose come un pugile, mani callose che potevano
immobilizzare un toro per le coa ma si rifiutavano di dare una pur dovuta
sculacciata per timore di far troppo male. La forza e la tenerezza di un padre.
Papa Francesco con le
sue parole e la sua gestualità riporta la tenerezza nel cuore della missione
della Chiesa. La gioia raggiante sul volto di un ragazzo disabile offerto
all’abbraccio del papa in Piazza san Pietro parla della tenerezza di Dio mille
volte di più di tanti dotti documenti o liturgie sontuose. E davvero il mondo
di oggi ha tanta «voglia di tenerezza», tenerezza che è mettere al centro la
persona, è offrire attenzione all’altro, aiuto al povero, accoglienza allo
straniero, servizio all’ammalato, accompagnamento nel recupero al carcerato,
compagnia e aiuto all’anziano, protezione al bambino e molto altro, senza
limiti alla fantasia e alla creatività.
Papa Francesco sta aiutando tutta la Chiesa a ricuperare
questa dimensione divina dell’amore, infangata dalle tristi storie di pedofilia
che hanno offuscato quelle di dedizione e servizio di milioni di cristiani e
tantissimi sacerdoti, religiosi e missionari. La tenerezza di Madre Teresa, di
Giovanni XXIII, di Padre Pio, di Annalena Tonelli e di tantissimi altri, donne
e uomini, che hanno anche pagato con la vita il loro amore per gli altri, ha
aiutato un gran numero di persone a scoprire il vero amore di Dio, tenero e
forte, misericordioso ed esigente.
In questi anni si è prodotto
molto nel nostro mondo cristiano: documenti profondi, catechismi rinnovati,
traduzioni nuovissime della Bibbia, splendide riviste, pagine web, produzioni
cinematografiche e televisive; tutto materiale di altissima qualità. Con un
difetto forse: si è puntato troppo alla mente e poco al cuore. La gestualità
inedita e informale di papa Francesco riporta al centro il cuore e la persona.
La Chiesa missionaria sa bene quanto questo sia importante. è la testimonianza dell’amore vissuto
che conquista i cuori. Predicazione, catechesi e liturgia vengono dopo. Questo è
vero negli angoli più remoti del mondo come nelle parrocchie della nostra
Italia, dove la carenza cronica di preti rischia di ridurre gli stessi a
diventare funzionari del sacro e non a essere pastori che abbiano addosso
l’odore delle pecore.
Negli anni Sessanta
alcune delle mie sorelle lavoravano come «serve» in città. Toando a casa per
le feste o le ferie, si lamentavano con nostro padre perché puzzava di stalla,
dove conosceva ogni mucca per nome e loro conoscevano lui, anche da distante,
tanto che bastava il suono dei suoi passi per farle quietare. Oggi, invece,
nelle stalle ci sono troppe mucche, ognuna è un numero controllato a distanza,
schedato in un computer, e il «pastore» fa la doccia e non puzza più di vacca.
Almeno, così è nel nostro mondo. Ma là, alla «fine del mondo», da dove viene
papa Francesco, non è così. Il «pastore» conosce ancora le sue mucche/pecore
per nome, ne condivide l’odore, ne conosce i bisogni, le guida ancora nella ricerca
di pascoli erbosi e di acque fresche.
Grazie papa Francesco
per aver riportato la tenerezza di Dio al centro della vita e della missione
della Chiesa.
Gigi Anataloni