Cari Missionari
Cari
Missionari,
mi unisco a quanti hanno manifestato riconoscenza ed entusiasmo per il favoloso
lavoro di esegesi biblica svolto in questi anni da don Paolo Farinella sulla
parabola del figliol prodigo e sul racconto del miracolo di Cana.
Anche
la nuova avventura è iniziata alla grande e un risultato importante don Paolo
l’ha ottenuto già con la scelta del titolo. Infatti la famosa frase di Gesù a
torto continua a essere tradotta con «date a Cesare quel che è di Cesare»,
mentre la traduzione corretta è «restituite (o, appunto, «rendete») a Cesare
quel che è di Cesare».
Troppe
volte l’errata traduzione ha spianato la strada a spiacevolissimi equivoci,
tipo «l’ha detto anche Gesù che bisogna pagare le tasse anche se sono ingiuste»
o «lo dicono anche le Sacre Scritture che le tasse vanno pagate sempre anche se
chi le esige è un mascalzone» (erano questi i termini in cui nell’estate del
2007 si esprimevano l’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi e alcuni dei
suoi ministri).
Quando
raccomanda di non rubare, di non frodare, di non ingannare il prossimo e di
onorare quelli che oggi chiamiamo «obblighi fiscali» e qualche volta
addirittura «fedeltà fiscale», Gesù usa verbi (apodecatoo, didomi, ballo)
diversi da quello che usa nel momento in cui risponde ai farisei e agli erodiani
sulla questione del tributo a Cesare.
Sia
in Matteo, sia in Marco, sia in Luca il verbo usato da Gesù è apodidomi
che anche don Paolo ha ritenuto di dover tradurre con «rendete» non con «date».
Questo stesso verbo, apodidomi, è il verbo che ritroviamo in bocca
all’esattore Zaccheo (cfr. Luca 19,8) quando, divenuto consapevole degli abusi
compiuti ai danni dei contribuenti e desideroso di iniziare un cammino di
conversione, si impegna davanti a Gesù a «restituire» quanto ingiustamente
prelevato alla collettività. Un capovolgimento di prospettiva che don Paolo non
mancherà di approfondire con quei meravigliosi itinerari ai quali ormai ci ha
abituato. Grazie
per l’attenzione.
Francesco Rondina, Fano
23/03/2013
Spett.le
redazione,
seguo già da tempo il vostro sito, in particolare la rubrica «Così sta scritto»
di don Paolo Farinella, le cui esegesi uso per il corso di cresima agli adulti
e per le giornate di ritiro spirituale che svolgiamo con il nostro gruppo
(R.n.S.). Sono felice che don Paolo continuerà la sua attività e, in modo
particolare, della scuola di Sacra Scrittura che inizierà nei prossimi mesi (la
aspetto come la «cerva che anela ai corsi d’acqua»). Volevo semplicemente
ringraziarvi per quello che fate. Cordiali
saluti,
Salvatore Di Peri
14/03/2013
Leggendo
le parole dell’editoriale di marzo, mi sono identificato nello «spirito» dello
stesso. Trovandomi da anni coinvolto in esperienze missionarie in Kenya e
Tanzania, ho organizzato incontri ove esponevo e condividevo ad amici, colleghi
ed estranei la mia, anzi la nostra (da quando ho conosciuto, in Kenya, mia
moglie) esperienza tra i missionari, non solo della Consolata ma anche di altri
ordini, e con la gente locale.
Quello
che vivi, provi, senti e ti entra dentro il cuore in Africa non puoi tenertelo
dentro e pertanto è di fondamentale importanza condividerlo, cercando di far
capire che non esiste solo il nostro «ego» ma esistono anche bambini e adulti
che, senza colpe, sopravvivono giorno dopo giorno, vedendo calpestata la propria
dignità di esseri umani. È difficile indovinare a fondo quanto prova la gente
di fronte alle immagini, ai filmati e ai racconti, ma si percepisce comunque un
certo distacco, una lontananza ancorata al proprio quieto vivere, seppur con il
sincero intento di voler fare qualcosa per aiutare. Solamente se stimolata ogni
volta la gente s’interessa nuovamente a queste problematiche, mentre pochi,
direi rari, si sentono così colpiti da fare proprio, dal profondo del cuore, il
concetto di carità efficacemente espresso nell’editoriale. La carità non è un
fare ma un modo di vivere e di condividere tra esseri umani, tra tutti.
Troppa
gente, come padre Gigi sottolinea, è superficiale ed emotiva di fronte alla
carità, agendo quasi per pagare dazio e lavarsi le mani, facendo i «buoni»
senza però essere «buoni» fino in fondo, senza cioè fare propria la profondità
della carità-amore. Una virtù che dovrebbe essere radicata nei credenti, nei
religiosi, negli uomini di buona volontà ma che purtroppo è spesso soffocata da
ben altre amenità ed è rispolverato a comando solo in talune occasioni.
La
carità non è un concetto astratto, semmai è di difficile attuazione, perché si
pensa che non sia possibile donare al povero se prima non si ha una propria
sicurezza; prima bisogna pensare a se stessi e poi agli altri, agli estranei,
seppur fratelli. Si rischia di passare per «folli» se si dona un paio di scarpe
nuove tenendo per sé quelle bucate. Figuriamoci poi se si arriverà a
condividere la povertà, calzando le malandate scarpe del povero stesso.
Padre
Bergoglio, alias papa Francesco, in poco tempo ha offerto al genere
umano delle occasioni di riflessione e, possiamo dirlo, condivisione. Speriamo
con questo che la sensibilità e attenzione verso taluni concetti come la povertà
e soprattutto la carità possano diventare patrimonio comune, educandoci dal
profondo del nostro cuore e spirito. Asante sana (tante grazie),
Vincenzo e famiglia
Email, 26/03/2013
a cura del Direttore