L’intervista / Roberto Moncalvo, Coldiretti
Gli agri-asili, le agri-tate,
l’inserimento lavorativo di giovani. In un mondo dove le zone periferiche sono
sempre più sprovviste di servizi, le aziende agricole hanno qualcosa da dire.
L’agricoltura sociale diventa un risparmio per la collettività. Ma sono necessari competenza e
rigore. Parola di Coldiretti.
Roberto Moncalvo, 32 anni, è il
giovane presidente di Coldiretti Piemonte e di Coldiretti Torino. L’agricoltura
sociale è per lui, oltre che un compito istituzionale, una vocazione personale.
Insieme alla sorella Daniela, Roberto è titolare dell’azienda Settimo Miglio
(situata a Settimo Torinese), che in questi anni ha assunto nel proprio
organico un ragazzo psichiatrico, un disabile e un rifugiato politico della
Somalia.
Com’è nata nella Coldiretti l’idea
di aprirsi all’agricoltura sociale?
«In Piemonte nel 2002 abbiamo
iniziato a interrogarci sulla qualità della vita dei nostri associati, e su
come arginare l’abbandono delle terre da parte dei giovani. Attraverso una
mappatura della provincia di Torino ci siamo resi conto della carenza di
servizi sociali, ad esempio gli asili. In molte aree rurali o peri-urbane,
soprattutto a bassa densità di popolazione, c’è carenza di interventi del
pubblico ma a volte anche del terzo settore. Costruire un’impresa nuova
richiede investimenti e, con un numero basso di utenti, non c’è garanzia di
sostenibilità economica. Le imprese agricole invece sono già presenti e quindi
mettono a disposizione una parte dei loro spazi. Così, grazie anche
all’approvazione della legge di Orientamento, i nostri soci si sono attrezzati
per offrire nuovi servizi, dagli agriturismi alle fattorie didattiche. In
questi anni si sono moltiplicate le aziende del territorio che, con altri
attori locali, hanno realizzato diverse sperimentazioni nel campo
dell’agricoltura sociale».
«Sì, per esempio La Piemontesina di
Chivasso (To), il primo agri-nido d’Europa. Si tratta di un asilo situato
all’interno di un’azienda agricola, gestito dall’imprenditrice insieme ad alcuni
educatori. Il progetto formativo è legato ai cicli naturali e alla vita
campestre, i giochi sono costruiti con materiali disponibili in loco. I bambini
possono sperimentare spazi e tempi di vita meno frenetici, più naturali.
Imparano anche a mangiare sano, solo prodotti di stagione, e maturano un
atteggiamento di rispetto verso l’ambiente.
Un’altra esperienza innovativa, nel
cuneese e in tutto il territorio piemontese, è quella delle «agri-tate»,
progetto di Coldiretti Piemonte che vede il coinvolgimento di tre assessorati
regionali: si tratta di imprenditrici, coadiuvanti o anche solo appartenenti a
una famiglia agricola, che dopo un corso di 400 ore (organizzato da Coldiretti)
possono offrire un servizio di cura per bambini fino a 3 anni all’interno dell’impresa
agricola, sperimentando un progetto educativo basato sulla pedagogia della
domesticità.
Così si creano posti di lavoro e si
offre ai bambini un ambiente protetto che ne favorisce la socializzazione. Ci
sono poi aziende che foiscono servizi di Estate ragazzi, andando a colmare il
vuoto dovuto al calo di preti e suore nelle parrocchie. Altre ancora, durante
le vacanze, accolgono i “nonni” che non se la sentono di andare in ferie con i
figli».
Che vantaggi trae da queste pratiche
l’impresa agricola?
«L’azienda ricava maggiore
visibilità e può aumentare il giro di vendite. L’agricoltura sociale funziona
secondo il modello win-win (vincente-vincente, ndr), cioè tutti
ci guadagnano. Prendiamo il caso di chi fa riabilitazione e inserimento dei
ragazzi psichiatrici: l’azienda migliora la sua produttività, i consumatori
mangiano cibi puliti e sani, i ragazzi vedono accrescere il proprio benessere,
le famiglie sono contente… e le Asl risparmiano. Perché se il ragazzo sta
meglio si riducono i costi per i ricoveri, per gli psicofarmaci, ecc.
L’agricoltura sociale è un risparmio per tutta la collettività».
Quali sono i punti di forza delle
aziende agricole?
«Una componente è senz’altro la
dimensione familiare: qui il luogo di lavoro coincide con la casa, con la
famiglia, il che favorisce l’instaurarsi di legami forti tra i residenti e i
ragazzi coinvolti nei progetti di reinserimento. Ma non basta la buona volontà,
servono anche competenza e rigore. Per questo Coldiretti Piemonte ha pubblicato
di recente un manuale di “Agricoltura sociale innovativa”, a cura di Francesco
Di Iacovo, che fornisce gli strumenti scientifici per una corretta valutazione
delle “buone pratiche” di agricoltura sociale».
Bibliografia
e sitografia
– Agricoltura
sociale innovativa, Francesco Di Iacovo (Coldiretti 2012)
– La cooperazione
sociale agricola in Italia, Aa.Vv. (Euricse-Inea 2012)
– I buoni frutti:
viaggio nell’Italia della nuova agricoltura civica, etica e responsabile,
Aa.Vv. (Agra Editrice 2011)
– Farm City,
l’educazione di una contadina urbana, Novella Carpenter (Slow Food 2011)
– Mondi agricoli e
rurali. Proposte di riflessione sui cambiamenti sociali e culturali, Aa.Vv.
(Inea 2010)
– I nuovi
contadini, Jan Douwe van der Ploeg (Donzelli 2009)
– Linee guida per
progettare iniziative di agricoltura sociale, Alfonso Pascale (Inea 2009)
– Vite contadine.
Storie del mondo agricolo e rurale, Aa.Vv. (Inea 2009)
– Agricoltura
sociale: quando le campagne coltivano valori, Francesco Di Iacovo (Franco
Angeli 2008)
Documentario La buona terra. Esperienze di agricoltura
sociale in Italia, Rai 2011.
Stefania Garini, torinese, ha una laurea in filosofia
con master di specializzazione in Bioetica. Da 15 anni lavora come giornalista,
occupandosi soprattutto di tematiche sociali e ambientali. È volontaria Avo
(Associazione volontari ospedalieri) e presta servizio con i malati
psichiatrici. Da tempo collaboratrice di MC, è autrice di questo dossier.
Foto di Stefania Garini, Massimo Maiorino, Cooperativa
Frassati, L’Orto dei ragazzi e Silvia -Venturelli per Cavoli nostri.
Coordinamento editoriale di Marco bello, redattore di
MC.
Stefania Garini