3_Orti: Coltivare l’Integrazione

Esperienze 2/ L’orto dei ragazzi
Rifugiati e richiedenti asilo
africani (e non solo) hanno trovato una nuova vita in Italia. Sulla collina
torinese si occupano di ortaggi, galline e api. C’è anche un campo collettivo
per l’agricoltura partecipata delle famiglie di città. Con lo scopo di formare
consumatori consapevoli.

«Sono arrivato in Italia come
clandestino 14 anni fa, dopo un viaggio in nave dal Marocco durato una
settimana, senza quasi mangiare né bere… In Italia mi sono adattato a fare
diversi lavori: muratore, imbianchino, carrozziere. Poi ho avuto dei guai con
la giustizia e sono entrato in contatto con il Gruppo Abele e altre
associazioni impegnate nel disagio giovanile, grazie a loro
ho conosciuto l’Orto dei ragazzi». A parlare è Mohamed, 38 anni, che oggi abita
a Beinasco, in provincia di Torino, è sposato con un’italiana e lavora in
pianta stabile all’Orto, dove si occupa delle consegne a domicilio di frutta e
verdura. Ubicato sulla collina torinese,
non lontano da Superga, l’Orto fa parte di un più ampio comprensorio: la Città
dei ragazzi, fondata nel 1948 da don Giovanni Arbinolo che, ispirandosi ad
analoghe esperienze diffuse negli Usa, intendeva offrire un’alternativa di vita
e di lavoro agli orfani di guerra, in gravi condizioni di miseria e abbandono.

«I tre pilastri del sistema di don
Arbinolo sono gli stessi che ancora oggi animano il nostro impegno:
l’accoglienza, la formazione professionale, il lavoro», spiega Paolo Orecchia,
39 anni, una laurea in Scienze forestali e ambientali, che dal 2004 cornordina le
attività agricole della Città dei Ragazzi. Qui nel tempo è cambiato il target
degli interventi, dagli orfani di guerra si è passati, negli anni ‘60-’70, ai
ragazzi delle periferie urbane disagiate per arrivare, ai giorni nostri,
all’accoglienza di stranieri, richiedenti asilo o rifugiati.

«I giovani che arrivano da noi
hanno un’età media di 20-30 anni, per la maggior parte provengono dall’Africa
(Somalia, Congo, Costa d’Avorio, Nigeria, Marocco) o comunque da zone di guerra
e di conflitto

più o meno espressi. In questi
mesi ad esempio c’è tra noi un ragazzo afghano» spiega Paolo. Lui è anche
l’attuale vicepresidente di «Uno di Due», cornoperativa di produzione e lavoro
nata un anno e mezzo fa da due realtà preesistenti, l’Orto dei Ragazzi nato in
collaborazione con Cisv e Pampili. Il Comune di Torino mette a disposizione di
questi giovani borse lavoro per la durata di 6 mesi durante i quali, oltre a
imparare un mestiere, acquisiscono anche regole di comportamento come la
puntualità, la continuità dell’impegno, l’abitudine a non usare il cellulare
mentre si lavora… «Per riuscire a essere puntuali molti di loro fanno grossi
sacrifici, perché stanno nei dormitori giù in città e devono alzarsi alle 5 di
mattina per arrivare qui alle 8» spiega Paolo. «A volte sono in Italia da poco
tempo e hanno bisogno di imparare la lingua, a qualcuno insegniamo a usare il
computer. Inoltre cerchiamo di formarli sui diversi aspetti del mondo del
lavoro: i diritti, le norme sulla sicurezza, ecc.».

L’altra faccia di Rosao

Le attività che i «ragazzi» si
trovano a svolgere sono numerose: dall’orticoltura alla vendita e consegna dei
prodotti a domicilio, dalla produzione del miele a quella delle uova. Oltre a
questo devono garantire tutta una serie di servizi a beneficio dell’intero
comprensorio, come il taglio dell’erba o l’abbeveraggio degli asini affidati
loro in comodato d’uso dai contadini del vicinato.

«Io guido il furgone per le
consegne a domicilio, si parte al mattino e si rientra la sera. Smerciamo 300
panieri di frutta e verdura ogni settimana, in tutta la città di Torino e nei
comuni della cintura» dice Mohamed. «I nostri prodotti sono certificati
biologici. Noi qui produciamo soprattutto miele e uova, ma da alcuni anni si è
creata una collaborazione con altre aziende del territorio specializzate in
produzioni diverse, sempre bio. Nessuna realtà locale da sola può produrre
tutto, così noi raccogliamo frutta e verdura da un gruppo di fattorie
selezionate e prepariamo i panieri, garantendo agli acquirenti prodotti sani e
coltivati nel rispetto dell’ambiente».

«Anch’io vado con Mohamed a fare
le consegne, inoltre ho il compito di tenere pulito il pollaio e di raccogliere
le uova: adesso abbiamo 200 galline ruspanti allevate a terra, che producono
120-130 uova ogni giorno» dice orgoglioso Francesco, 24 anni, in attesa di una
borsa lavoro dal Comune. E racconta: «Ho studiato da perito agrario, poi ho
iniziato a collaborare con l’Orto dei Ragazzi. Qui sto imparando tante cose, la
vita a contatto con la natura e con gli animali mi piace molto. Spero di
continuare questo lavoro ancora a lungo. Il mio sogno sarebbe metter su una
piantagione di zafferano insieme ai miei genitori».

Se necessario i ragazzi si fermano
nell’Orto anche per periodi superiori ai 6 mesi della borsa lavoro. «Non
abbiamo fretta di mandarli via, l’importante per noi è che riescano a trovare
una collocazione professionale adeguata, cioè dignitosa e con contratti
regolari», spiega Paolo Orecchia. «Noi vorremmo essere un po’ l’altra faccia di
Rosao. Oggi, malgrado la crisi, il settore agricolo ha bisogno di
manovalanza, ma spesso si preferisce far lavorare le persone in nero, mentre
noi puntiamo a che i nostri ragazzi trovino un lavoro legale e stabile. Per
questo offriamo loro un percorso guidato, in grado di accreditarli agli occhi
delle aziende. Il nostro compito è semplicemente questo: accoglierli,
orientarli e aiutarli a inserirsi nel mondo del lavoro facendo da “garanti”. Se
ci dimostrano di essere in gamba e volonterosi, se si impegnano, noi li
promuoviamo di fronte alla Coldiretti, alle aziende ecc. I ragazzi che hanno
voglia di lavorare riescono a collocarsi abbastanza facilmente». Oggi almeno il
50% dei ragazzi dell’Orto trova un lavoro fisso, «ma prima della crisi si
arrivava anche a percentuali del 60% o superiori. Adesso la maggior parte di
loro si sistema in aziende, cornoperative agricole o nei vivai, ma c’è anche chi
si inserisce in attività diverse. Abbiamo un ragazzo che fa il falegname, un
altro che lavora in un hotel, un altro ancora fa il panettiere…». Spesso i
contatti con i ragazzi continuano anche dopo che hanno lasciato l’Orto, e nel
corso dell’anno si organizzano cene e incontri conviviali per ritrovarsi e
mantenere vivi i legami d’amicizia creatisi durante il tirocinio.

I panieri dell’Orto

Per agevolare gli acquisti, i
clienti dell’Orto possono fare gli ordinativi via Inteet. La consegna a
domicilio avviene a cadenza settimanale mentre il pagamento si effettua con un
bonifico a fine mese, a fronte dell’emissione di una fattura, «sempre
all’insegna della trasparenza e della legalità» tiene a precisare Paolo. I
prezzi variano a seconda del peso e, considerato che è tutto rigorosamente
biologico, risultano più che onesti: un paniere piccolo (4 kg) ad esempio costa
9,5 euro, mentre uno grande (9 kg) 20 euro. Per chi richiede la consegna a
domicilio c’è un costo supplementare di 3 euro, ma è gratis se quattro famiglie
si uniscono per l’acquisto comune di quattro panieri.

Nei panieri si trovano anche
alcuni prodotti di «nicchia» come la farina biologica per la polenta di grano
pignoletto, il parmigiano reggiano proveniente da una cornoperativa sociale di
Reggio Emilia o il pane biologico, lievitato naturalmente e cotto nel foo a
legna in un’agrifoeria delle Valli montane di Lanzo.

«La nostra filiera è certificata e
trasparente» spiega Paolo, «ma per garantire un paniere vario non si può essere
troppo rigorosi sul discorso dei km zero. Da noi in Piemonte, ad esempio, per
avere gli zucchini a km zero si deve aspettare maggio. Nel periodo invernale ci
sono solo cavoli e patate, perciò in quei mesi ci rifoiamo da aziende di
Puglia e Sicilia, sempre selezionate e sempre biologiche».

Agricoltura partecipata

Insieme ai prodotti nei panieri,
viene consegnato un foglio informativo con alcune ricette per cucinare le verdure
di stagione e le ultime novità sulle iniziative dell’Orto. Oltre alla
produzione e commercializzazione, infatti, l’Orto dei Ragazzi svolge tutta una
serie di attività all’insegna dell’agricoltura sociale «partecipata». Come i
percorsi di educazione ambientale per gli alunni delle scuole: «Si tengono
alcuni incontri preparatori nelle classi, poi i bambini vengono all’Orto dove
possono seguire diversi percorsi formativi, ad esempio quello sull’humus, dove
si spiega qual è la funzione dei lombrichi in agricoltura, o quello
sull’apicoltura, per cui possono vedere le aie, assistere alla smielatura,
partecipare a laboratori di lavorazione della cera, ecc.», spiega Paolo.

Oltre a questo, dallo scorso anno è
stato avviato il progetto dell’Orto collettivo: un ettaro di terra messo a
disposizione di alcune famiglie interessate a coltivarsi da sé frutta e verdura
genuina. «Al momento si tratta di una quindicina di persone che vengono per lo
più il sabato a lavorare la terra» continua.

«Anche questo è un servizio di
agricoltura sociale partecipata, offriamo uno spazio di aggregazione, di vita
all’aria aperta, per produrre cibo sano. Per le famiglie è uno svago e
un’esperienza educativa per i loro figli». Oltre al lavoro, ai partecipanti
all’Orto collettivo è richiesto di depositare una certa somma di denaro nella
cassa comune che serve a sostenere le spese vive dell’orto. «Esperienze come
questa servono a coinvolgere i nostri clienti, avvicinandoli al mondo del
sociale e dell’agricoltura. Per lo stesso motivo, due volte l’anno invitiamo
gli acquirenti dei panieri a partecipare a momenti conviviali, può essere una
merenda nell’orto o una chiacchierata con gli agricoltori delle aziende…».

Tra le iniziative ci sono anche le
adozioni: «All’inizio non avevamo i soldi per comprare le api, allora abbiamo
lanciato una sottoscrizione, “Adotta un alveare”. Anche per mettere su il
pollaio, abbiamo proposto ai nostri acquirenti di “adottare” una gallina. In
cambio, una volta avviata l’attività, chi ha contribuito riceve miele o uova».
Sempre per coinvolgere le persone e avvicinarle alla realtà contadina,
periodicamente le si invita a partecipare ad alcune fasi della produzione. «Una
di queste è la smielatura, attualmente abbiamo 50 aie, ognuna produce circa
20-25 kg di miele, per un totale di alcune tonnellate di prodotto ogni anno»
racconta Paolo. «Partecipando alla smielatura i nostri amici imparano cose
nuove, ma soprattutto capiscono quello che sta dietro alla produzione, ad
esempio si rendono conto del perché, se è stata un’annata piovosa, non c’è il
miele di acacia». In questo modo si forma il vero consumatore consapevole.

Una scelta di vita

Per Paolo, sposato e con due
bambine di 9 e 13 anni, l’esperienza nell’Orto non è solo un lavoro, ma una
scelta di vita. «Il lavoro agricolo non prevede orari, sarebbe inimmaginabile
una cascina dove il contadino fa le 8 ore e poi se ne torna a casa», ci
racconta. «Solo per fare un esempio, d’estate le galline razzolano libere fino
alle 21.30 poi bisogna farle rientrare nel pollaio, perciò si è impegnati fino
a tarda sera. Così dopo i primi anni, dove lavoravo 50-60 ore la settimana, mi
sono reso conto che occorreva una presenza più costante, e con la mia famiglia
abbiamo deciso di trasferirci ad abitare nella Città dei Ragazzi».

Ma quali sono i progetti per il
futuro dell’Orto? «Innanzi tutto vorremmo potenziare le attività produttive
legate all’apicoltura, come la pappa reale, il propoli, ecc. Poi abbiamo in
programma una sperimentazione, per cui inseriremo qualche vitello e qualche
vacca che faranno da “taglia-erba” naturali e non inquinanti per il
comprensorio: oltre a tenere sotto controllo il livello della vegetazione, potrà
servire per ottenere un concime biologico…».

Ma quel che più conta, è l’aspetto
sociale e umano dell’Orto: «Qui i ragazzi lavorano a contatto con la natura,
imparano a fare le cose con le proprie mani, conoscono la fatica ma anche la
soddisfazione di raccogliere quel che loro stessi hanno prodotto, e imparano a
prendersi cura degli altri esseri viventi. Ed è questo che rende speciale la
loro esperienza».

 
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La storia di Mohamed

«Mi chiamo Mohamed, arrivo dal Marocco; sono venuto in
Italia in cerca di fortuna per poter aiutare la mia famiglia. Mi sono imbarcato
14 anni fa da Casablanca dentro una nave commerciale che trasportava container.
Quando mi sono infilato di nascosto dentro la canna fumaria ho pensato che
avrei viaggiato al massimo 3 giorni invece il viaggio ne è durato 7. Mi ero
portato dei ceci e una baguette di pane che potevano bastarmi per tre giorni
scarsi… così il mio viaggio verso la Spagna non è stato molto piacevole, ho
vomitato più volte perché ho dovuto bere l’acqua del motore per dissetarmi.

Ma ero determinato a proseguire per aiutare i miei genitori.
Siamo una famiglia di 14 fratelli e mangiamo solo il pane alla menta e qualche
verdura… la carne la vediamo raramente, un etto di pollo o agnello alla
settimana. Sono sceso dalla nave di notte scappando dalla polizia di frontiera.
Sono rimasto un giorno nascosto dentro un camion finché tutto si è calmato. Mi
sono trattenuto in Spagna per una settimana chiedendo aiuto in una chiesa dove
mi hanno sfamato a pane e formaggio.

Poi grazie a passaggi in autostop e in treno, sempre
nascosto nelle tornilette, sono arrivato a Marsiglia. Qui mi sono incontrato con
una persona su una montagna e abbiamo concordato il viaggio fino in Italia dove
avevo alcuni amici miei vicini di casa. Arrivato a Torino sono rimasto da loro
qualche giorno; poi mi sono trasferito per un paio di mesi in una casa abbandonata.
Ho trovato lavoro come carrozziere. D’estate, quando ha chiuso per ferie, sono
andato al mare dove ho iniziato a vendere teli da spiaggia fino a settembre. Al
ritorno non mi hanno ripreso al lavoro perché non avevo i documenti. E così
sono andato avanti ad aggiustarmi con lavoretti come il muratore. Quindi una
persona mi ha parlato della Città dei Ragazzi, lì ho conosciuto Paolo e ho
iniziato questa esperienza. Mi trovo bene con lui, i colleghi e tutti i clienti
ai quali porto la verdura e la frutta. Ringraziando tutti coloro che mi hanno
sostenuto, posso dire che sto bene. Grazie. Mohamed». 

Oggi Mohamed, oltre a lavorare per l’Orto dei Ragazzi, si è
preso la patente e un’automobile, ha ottenuto i documenti e l’estate scorsa è
tornato in Marocco a salutare la famiglia. (Ste.Gar.)

 
 

Stefania Garini

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