«Venerando Dio in te… Buongiorno!»
Esperienza di Dialogo Interreligioso in Corea: Alla scoperta del
«SOO-WOON-KYO», religione autoctona coreana.
La presenza dei missionari della Consolata in Corea del Sud è caratterizzata
dal dialogo interreligioso con le molte confessioni storiche e autoctone
presenti nel paese. Padre Diego ci racconta l’esperienza da lui vissuta con una
delle religioni nate di recente nel paese: un fine settimana con il
Soo-woon-kyo.
Lo spirito religioso in Corea
affonda da tempo immemorabile le sue radici nello sciamanesimo, nel buddismo e
nel confucianesimo. Su questa base preesistente, da poco più di 200 anni in qua
si è inserito con forza anche il cristianesimo. Oltre a queste religioni «maggiori»
però, esiste in Corea tutta una galassia di altre religioni molto più «piccole»,
ma non per questo meno importanti nel panorama religioso della nazione. Si
tratta delle cosiddette «religioni autoctone coreane».
Nate in
genere nella seconda metà del 1800 dall’illuminazione di fondatori che volevano
rispondere alla sofferenza e alla situazione di vera oppressione in cui versava
allora il popolo, queste religioni hanno trovato i loro migliori rappresentanti
nel ch’on-do-kyo (la religione della «Via del cielo») e nel buddismo-won
(buddismo nato in Corea); ma sono anche state sottoposte a un inarrestabile
processo di disgregazione, che ha portato alla nascita di innumerevoli altri
piccoli gruppi. Al momento della creazione, nel 1983, dell’Associazione delle
religioni autoctone coreane che le racchiude e rappresenta tutte, queste erano
ben 34! Anche se, da allora, diverse sono praticamente scomparse.
Nel
contesto del dialogo interreligioso, ho avuto una bella occasione per conoscere
e avvicinare, per la prima volta, una di queste piccole religioni autoctone,
chiamata «Soo-woon-kyo» (pronuncia: su-un-ghio), ed ecco che cosa
ho scoperto!
Dal 5 al 12 maggio si era
celebrata a Seoul, e per la prima volta in Corea, la «Settimana dell’Armonia
tra le religioni», sotto gli auspici della Conferenza coreana delle religioni
per la pace (Kcrp, Korean Conference of Religions for Peace), autentico
organo propulsore del dialogo interreligioso in Corea.
Il suo attuale presidente,
l’arcivescovo cattolico Igino Kim Hui-jung, e gli altri leaders delle 7
grandi religioni della Corea, avevano aperto solennemente la Settimana con un
grande «evento» nella centralissima piazza di Kwang-hwa-moon. Poi chiunque
avesse voluto, durante la settimana era invitato ad andare a visitare 7 «luoghi
santi» delle religioni in centro Seoul. A ogni luogo visitato, la persona
riceveva un timbro, che avrebbe poi dato diritto a partecipare al programma
seguente, pensato dalla Kcrp: un fine-settimana di «esperienza diretta» presso
qualcuna delle religioni della Corea. Vivendo ormai da quasi quattro mesi a
Dae-jeon, città a 170 km da Seoul, dove noi missionari della Consolata stiamo
costruendo il nostro nuovo Centro di dialogo interreligioso, avevo potuto
partecipare solo ai momenti più importanti della «Settimana dell’Armonia tra le
religioni», ma poi ho scoperto con piacere che uno dei fine-settimana di «esperienza»
delle altre religioni si sarebbe svolto proprio a Dae-jeon, e mi sono subito
iscritto per partecipare.
Si trattava di far visita,
conoscere e sperimentare, per quanto possibile, la religione Soo-woon-kyo. Non
ne avevo mai sentito parlare prima, e perciò ero particolarmente incuriosito.
Il fine-settimana in questione era da venerdì 13 a domenica 15 luglio.
Vivendo a soli 5 km dal quartier
generale del Soo-woon-kyo, sono arrivato presto al luogo del raduno, e ho
cominciato a salutare i presenti. Innanzitutto il segretario generale
dell’Associazione delle religioni autoctone coreane, di cui il Soo-woon-kyo fa
parte, il signor Kim Jae-wan, una simpatica persona di una certa età, che mi ha
preso subito a benvolere (ero l’unico straniero presente!) e che è rimasto con
noi per tutto il tempo. Ho salutato poi il professor Pak Kwang-su, del
Buddismo-won, un caro amico che non vedevo da molti anni, e altri ancora.
Infine è arrivato il pullman da Seoul, da cui è sceso un folto gruppo di
partecipanti, guidati dal professor Pyon Jin-hung, cattolico e segretario
generale della Kcrp.
Tra i partecipanti, conosciuti
poco a poco durante il fine settimana, c’erano una monaca e un monaco buddisti;
una signora confuciana; alcuni buddisti laici; altri non meglio identificati
(si trova un po’ di tutto nell’ambiente del dialogo interreligioso!); e un buon
gruppo di cattolici. Stranamente i protestanti, che di solito si trovano
dappertutto, hanno brillato per la loro assenza: hanno fatto solo una fugace
apparizione per qualche ora un prete anglicano e un pastore protestante che
partecipano regolarmente agli incontri della Kcrp. In tutti eravamo quasi una
trentina.
Ai partecipanti «estei», però,
bisogna aggiungere tutti i volontari del Soo-woon-kyo, che erano là ad accoglierci
e accompagnarci. Erano tutti vestiti, uomini e donne, con una classica
giacchettina coreana grigia, sulla quale spiccavano ben visibili le strisce di
5 colori che contrassegnano il Soo-woon-kyo: il giallo, il rosso, il verde, il
bianco e il nero, che simboleggiano l’universo. Tra di essi c’erano gli «esperti»
della religione, incaricati di spiegarcela e mostrarcela, i «sacerdoti» che
presiedono ai riti e le signore che, come da tradizione, si sono occupate della
cucina per tutti noi (radicalmente vegetariana!).
La prima cosa che tutti abbiamo
imparato dal Soo-woon-kyo è il modo di salutare. Non si dice semplicemente «buongiorno»,
ma si fa riferimento al Dio del cielo (ovviamente inteso in senso orientale,
non una entità «personale» come siamo abituati a pensarlo noi); un Dio presente
sia in me sia nella persona che mi sta davanti, viene «riconosciuto e venerato»
fin dal saluto. Perciò: «Venerando Dio in te… buongiorno!».
Non c’è dubbio che i nostri
ospiti del Soo-woon-kyo abbiano dato fondo a tutta la loro fantasia, per
prepararci un programma da svolgere, che più «vario» non poteva essere.
Abbiamo cominciato con una visita
ai «luoghi sacri» della religione: questi sono immersi in un parco naturale
molto esteso e bellissimo, ai piedi del monte Kum-byong, pieno di alberi
secolari e di verde, campi coltivati a verdure e sentirneri che s’inoltrano nel
bosco. Abbiamo visitato innanzitutto il tempio centrale, To-sol-ch’on, che ci
ha rivelato subito la complessità di questa religione. Ci è stato spiegato che
un riquadro centrale dorato, al centro del tempio, rappresenta il «Dio del
cielo» (che non si vede e non si tocca); ma poi ci sono i simboli degli altri
personaggi che vengono venerati nella religione: Tan-gun (il mitico fondatore
della Corea); Buddha (nella sua versione «escatologica» di Amita-bul); e
Confucio. Questa religione infatti pretende di «unificare» in se stessa le
dottrine e i principi religiosi di Confucianesimo, Buddismo e Taoismo.
Accanto al tempio principale c’è
un altro tempietto che ospita l’immancabile campana, di cui ci sono state
spiegate le caratteristiche artistiche e di costruzione. La campana viene
suonata ogni mattina e ogni sera, ritmandone il suono alle invocazioni cantate
a Buddha. Infine il «Pop-hwe-dang», cioè il luogo dove si svolgono i
riti religiosi e la preghiera.
A tutto questo è da aggiungere
una costruzione modea, nella quale siamo stati ospitati e nella quale abbiamo
svolto tutte le attività del fine-settimana.
Il sabato mattino, alle 4.00,
eravamo tutti radunati nel luogo apposito per la preghiera. Fui colpito nel
vedere come ci fossero molti «sacerdoti», vestiti con un abito da cerimonia
molto particolare e in testa una specie di corona a cinque stadi. A tuo hanno
presieduto la preghiera, che consiste in una prima offerta solenne di incenso a
Buddha, seguita da una serie di prostrazioni profonde, e poi nella ripetizione
cantata del «credo» basico della religione; seguita da altri canti e
prostrazioni, durante le quali l’intera assemblea si gira tutta verso i quattro
punti cardinali. Il tutto è accompagnato dal suono ritmico del «mok-tak»,
tamburello di legno concavo, tipico strumento buddista.
Anche la domenica abbiamo potuto
assistere alla celebrazione domenicale, questa volta per fortuna alle dieci del
mattino; celebrazione che si è svolta quasi uguale alla prima a cui avevamo
assistito, con l’aggiunta di una lettura dagli scritti del fondatore della
religione e una semplice spiegazione/omelia sulla parte letta; per l’occasione,
aveva a che fare con il non lasciarsi vincere dal desiderio della ricchezza.
La sera prima, pur sotto la
pioggia, avevamo partecipato a una processione davanti al tempio centrale,
lungo un «percorso sacro» segnato da pietre disseminate sull’immenso prato,
preceduti dai portatori di bandiere, e ciascuno avevamo in mano una candela
accesa… Il tutto mentre lassù in alto, dentro il tempio, un sacerdote faceva
le prostrazioni di rito e offriva incenso a Buddha.
Fui molto impressionato dalla
devozione che tutti i fedeli Soo-woon-kyo mostravano durante la preghiera. I
rituali sono precisi e complicati (retaggio del Confucianesimo); per fare la
prostrazione, per esempio, gli uomini devono mettere a terra per prima la mano
sinistra (le donne, quella destra) e appoggiare il piede sinistro sopra quello
destro (le donne al contrario), e così via… Le formule cantate, per me
incomprensibili, devono essere molto ripetute, perché tutti le sapevano a
memoria e le cantavano a occhi chiusi, con grande concentrazione.
A me, a dir
la verità, sarebbe piaciuta una spiegazione più calma e completa della «teologia»
della religione, ma evidentemente gli organizzatori del programma non devono
averla pensata come me, perché questa parte, pur importante, è stata coperta
con una conferenza di un’oretta, senza lasciare tempo a eventuali domande di
spiegazione e di approfondimento. Tenete presente che ogni religione ha il
proprio «linguaggio» che, per uno straniero come me, non sempre è facile da
capire. Molte altre ore sono state, invece, impiegate in attività di esperienza
della cultura tradizionale coreana, con la quale il Soo-woon-kyo (come tutte le
religioni autoctone coreane) ha profondi legami. Abbiamo così fatto un esercizio
di origami: si trattava di piegare e ripiegare quattro fogli di carta
colorata per ottenee un han-bok, cioè un vestito classico coreano in
miniatura.
Poi un’iniziazione alla danza
sacra con i cembali, di chiara matrice buddista, e anche molto faticosa
dal punto di vista fisico, perché non si tratta solo di suonare i cembali, ma
anche di ruotarli in aria mentre si eseguono alcuni passi di danza,
volteggiando su se stessi.
Poi la preparazione di un piatto
tradizionale coreano: esperienza alla quale mi sono discretamente
sottratto, date le mie quasi nulle doti culinarie.
Infine ci siamo accaniti tutti, a
gruppetti, in una specie di gioco dell’oca, ricalcato su un gioco
tradizionale ancora molto in voga in Corea, ma «trasformato» in base alle
credenze del Soo-woon-kyo. Secondo il punteggio ottenuto, facendo rotolare un
grosso «dado» di legno, i giocatori passavano attraverso un percorso tortuoso,
complicatissimo e pieno di insidie, dal «mondo reale degli uomini» per arrivare
al «mondo intermedio» e infine raggiungere il «mondo del regno di Dio».
Ci è stato spiegato che i fedeli
prendono questo gioco molto sul serio, quando lo fanno nel giorno di capodanno,
in quanto credono che il loro percorso sulla carta-guida del gioco determini
davvero le vicende della loro vita di un anno intero. È poi successo che abbia
vinto proprio io, e questo fatto mi è valso una grande popolarità tra tutti i
presenti!
Tutto sommato, è stata una bella
esperienza, che ha arricchito di un altro tassello il mio cammino di impegno nel
campo del dialogo interreligioso.
Personalmente, lo ripeto, avrei
preferito meno attività di contorno e più incontri di «sostanza» con i
rappresentanti del Soo-woon-kyo. Trovo curioso che, più una religione è
piccola, più la sua «dottrina» si presenta complessa e di difficile
comprensione. La pretesa di unificare in una sola le tradizioni religiose di
Confucianesimo, Buddismo e Taoismo, mi appare eccessiva, specie vedendo come,
di fatto, la parte del leone sia fatta dal Buddismo: il fondatore del Soo-woon-kyo
era un ex-monaco buddista!
Allo stesso modo trovo
sorprendente il fatto che, nonostante la piccolezza della religione e il suo
profondo e perfino «esagerato» legame con la cultura tradizionale coreana, i
fedeli del Soo-woon-kyo siano convinti di avere una «missione universale» da
svolgere, per costruire il regno di Dio sulla terra. Una missione che sentono
come particolarmente affidata al «popolo coreano», visto quasi come un messia
per il mondo intero. Di fatto invece, a mio parere, la religione si trova
troppo «chiusa» nel mondo culturale coreano e non credo possa ancora vantare
nessun tentativo concreto di apertura reale al mondo.
Insomma, l’esperienza mi ha
lasciato in cuore un mucchio di domande sulle quali mi sarebbe piaciuto
dialogare con i fedeli del Soo-woon-kyo! Ad ogni modo, come ho detto a tutti al
momento della cerimonia di chiusura dell’esperienza stessa, il fatto che adesso
io abiti a pochi chilometri dal quartiere generale della religione mi offrirà
certamente, in futuro, altre occasioni di incontro e dialogo, che spero possa
diventare proficuo.
Un’ultima considerazione:
certamente un’occasione come questa era preziosa per il Soo-woon-kyo per farsi
conoscere e mettersi in mostra, ma ciò non toglie nulla al commovente impegno e
all’entusiasmo con cui molte persone si sono prodigate per noi, in molti e
diversi modi, in questo fine-settimana. Tutti noi partecipanti abbiamo
sottolineato questo aspetto e li abbiamo ringraziati di tutto cuore.
«Venerando Dio in voi…
arrivederci!», fratelli e sorelle del Soo-woon-kyo.
Diego Cazzolato