Luci e ombre del Brasile «nero»
La Bahia è abitata dai discendenti degli schiavi africani. Stato
affascinante ma arretrato e problematico come la sua capitale, Salvador. Ne
abbiamo parlato con Giovanni Crippa, missionario della Consolata, vescovo
ausiliario di una città che rappresenta la più antica diocesi del Brasile.
Salvador Bahia. Il centro storico di Salvador domina con il suo sguardo antico e
solenne un’estensione a perdita d’occhio di case cresciute, negli ultimi
decenni, una sull’altra fino a formare un disordinato e congestionato reticolo
urbano e stradale.
Il Pelourinho, colorato, bello e decadente, è
il punto di grande attrazione per turisti, artisti alla ricerca di ispirazioni
e suggestioni forti e di lettori appassionati di Jorge Amado, probabilmente il
più grande scrittore brasiliano.
La città, vista dall’alto, è un’unica enorme
favela, da cui spuntano, qua e là, delle isole di grattacieli modeissimi e
lussuosi, e grandi centri commerciali brulicanti di auto ed esseri umani (ma in
cui ancora molti bahiani non possono permettersi di fare acquisti).
Salvador Bahia è sede di numerose università,
storiche e rinomate, sia statali sia federali, cattoliche, evangeliche e di
altre confessioni, nonché di un prestigioso Centro di Studi afro-orientali
della Ufba (Università federale della Bahia). È abbellita da palazzi e strade
di grande pregio artistico; è dispensatrice di musica, letteratura, pittura; di
misticismo e saggezza tradizionale; di esoterismo; di magia; dei riti
propiziatori a Madre Terra; di donne sciamane venerate e temute, in quanto depositarie
di antichi poteri e di guarigione. Nota per il suo sincretismo e anche per la
sua tolleranza religiosa, la Bahia lascia spazio a culti e pratiche di diversa
origine, che talvolta si nascondono o si mescolano l’uno nell’altro, come
avviene per i riti del candomblé, nei quali animismo africano,
paganesimo europeo pre-cristiano e cattolicesimo si confondono in celebrazioni
popolari molto seguite, ad esempio quelle in onore di Iyemanjá, la Dea del
Mare, assimilata, per certi versi, alla Madonna.
L’allegria e la festosità dei bahiani sono
contagiose. La loro lentezza esasperante, la disorganizzazione e il cronico
ritardo sono elementi di cui presto ci si dimentica di fronte alla simpatia
della gente, che non perde l’occasione per inscenare balli e canti neanche
mentre prepara la acarajé, un piatto afrobrasiliano delizioso. O mentre
aspetta che diventi notte giocando a carte su un tavolino improvvisato vicino a
un venditore abusivo di cd.
Salvador è, allo stesso tempo, bella e
intrigante, brutta e violenta. Piena di storia e di cultura, ma ancora
arretrata, problematica e recettrice di marginalità e disagio. È l’emblema di
tutta la splendida Bahia, lo stato nero del Brasile da cui è impossibile non
venire ammaliati.
Come Iyami-Ajé / Iyami Oxorongá (nella
mitologia orixás, figura femminile donatrice di vita e di morte), la
Bahia è creatrice, ma anche distruttrice. Come in tutto il paese, ricchezza e
povertà, cultura e ignoranza, lusso e miseria, convivono in un unico luogo, con
contrasti enormi e aggressivi, a distanza di pochi metri l’uno dall’altro.
Lungo il Litorale di Salvador e di Mata de
São João, fin quasi al confine con lo stato del Sergipe, umili villaggi di
pescatori si sono trasformati in meno di dieci anni in cittadine artificiali
per ricchi epuloni brasiliani e stranieri, che hanno investito in immobili,
facendo salire alle stelle il prezzo dei terreni, delle costruzioni e degli
affitti. I nativos (popolazione locale), come vengono chiamati dai gringos
con un malcelato disprezzo, sono stati relegati, per scelta o per necessità, in
altri villaggi adiacenti meno glamour e benestanti, o in vie fatiscenti
e sporchissime in zone meno visibili e transitate dai turisti. È il caso,
emblematico, della famosa e frequentata (affollata) Praia do Forte, che in un
decennio è passata da umile borgo di pescatori e raccoglitori di cocchi a città
dai tanti e lussuosi condominios fechados (condomini chiusi) e centro
commerciale a cielo aperto. La popolazione locale, discendente degli schiavi
neri deportati dall’Africa con le tratte secolari, ha in gran parte venduto
terreni e casette ai forestieri, che ne hanno fatto negozi, ristoranti e
abitazioni per milionari, oppure li ha ceduti in affitto a prezzi altissimi.
Il boom edilizio di tutta l’area costiera e
le ondate di turismo hanno portato benessere anche agli autoctoni, ma ciò non è
stato accompagnato da sviluppo umano, educazione scolastica e servizi
medico-sanitari, con il risultato di produrre un ulteriore disagio sociale, un
abuso di alcolici e sostanze stupefacenti, abitudini sessuali precoci con
conseguenti mateità nel periodo adolescenziale.
A tutto questo si sovrappone, come
causa-effetto, una gestione pubblica deficitaria e indifferente ai bisogni reali
della popolazione di tutto lo stato, e un’organizzazione della politica che
ricorda ancora i tempi dei latifondisti e dei fazendeiros, e dove domina
corruzione, voto di scambio e vuote promesse.
La scuola pubblica è totalmente inadeguata a
qualsiasi standard dignitoso. La sanità è una sorta di «emergenza» perenne mai
trasformata in medicina specialistica o diagnostica. Chi ha soldi si fa curare,
chi non ne ha s’arrangia e può sperare che la medicina tradizionale, con le sue
mille erbe e radici, possa fare miracoli anche con i virus portati dai turisti.
La famiglia è un concetto dalla difficile
definizione: le ragazzine più povere e
con scarsa scolarizzazione iniziano a far figli a 12-14 anni, e non poche a 30
si ritrovano già nonne e con diversi matrimoni alle spalle.
In un afoso pomeriggio di febbraio, poco
prima che il Caevale renda inaccessibili le già engarrafadas
(imbottigliate) strade di Salvador, e il suo caotico centro storico, a Garcia,
nella sede dell’Arcidiocesi, incontriamo il vescovo ausiliario, il simpatico e
attivissimo dom Giovanni Crippa, italiano e missionario della Consolata.
Dom Giovanni, cosa vuol dire essere vescovo
in Bahia?
«L’Arcidiocesi di São Salvador da Bahia è la
prima diocesi del Brasile (1551). I suoi numeri sono importanti (vedi box,
cfr). L’arcivescovo, dom Murilo Sebastião Ramos Krieger, conta su due
Vescovi Ausiliari: dom Gilson Andrade da Silva e il sottoscritto. Un terzo, dom
Gregorio Paixão, è stato recentemente nominato vescovo di Petrópolis.
È una realtà che devo ancora imparare a
conoscere, ma che già amo e cerco di servire. La grande sfida è mantenere viva
l’azione della Chiesa in un territorio così esteso e con una popolazione
considerevole, incentivando uno spirito di comunione tra i sacerdoti e
promuovendo il senso di appartenenza alla Chiesa locale di tutto il popolo di
Dio come dice il mio motto episcopale: “In aedificationem Corporis Christi”,
cioè, “Per edificare il Corpo di Cristo” (Ef 4,12), che è la Chiesa».
«Dalla mia poca esperienza posso dire che non
esiste una giornata-tipo. Il Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi,
al n. 70 dice: “Il Vescovo ausiliare è dato per raggiungere più efficacemente
il bene delle anime in una Diocesi troppo estesa o con elevato numero di
abitanti o per altri motivi di apostolato”.
Per quanto mi riguarda, l’arcivescovo mi ha
affidato il territorio del Recôncavo (la parte più intea della regione
metropolitana) per concretizzare il progetto di una futura Diocesi. Per questo
risiedo prevalentemente nella città di Cruz das Almas, a circa 150 km da
Salvador, per poter seguire da vicino le parrocchie attraverso le visite
pastorali, gli incontri con il clero, con i religiosi, i movimenti e i vari
servizi pastorali.
All’inizio di febbraio abbiamo acquistato
anche una radio Am (Rádio Alvorada), un grande investimento economico, che sarà
di grande aiuto per l’evangelizzazione. Le parrocchie, infatti, hanno un
territorio molto esteso e sono formate da diverse comunità dove la presenza del
sacerdote è saltuaria.
Stiamo anche pensando all’apertura di un
seminario propedeutico per la futura Diocesi dove accogliere i giovani che si
sentono chiamati al sacerdozio.
Oltre alle parrocchie del Recôncavo mi occupo
anche di quelle dell’isola di Itaparica prospicente alla Bahia de Todos os
Santos.
Quando è necessario ritorno nella capitale
bahiana per collaborare nella pastorale, nelle celebrazioni di cresime e feste
patronali. Non mancano impegni di conferenze in varie istituzioni (università,
collegi, parrocchie…) e ritiri. Collaboro anche con la Radio Excelsior da
Bahia con un programma settimanale di 45 minuti sulla liturgia della Parola
della domenica.
Per la mancanza di professori, nel primo
semestre, insegno Storia della Chiesa nella Facoltà cattolica di Feira de
Santana, così ho l’occasione per incontrare persone amiche che hanno fatto
parte della prima tappa della mia vita in Brasile.
L’agenda di un vescovo è sempre piena, come
lo è quella di un prete dedicato al suo servizio, ma le occasioni più belle ce
le riserva lo Spirito quando ci sfida con l’imprevisto».
Quali sono i principali problemi della Bahia
e di Salvador?
«Salvador è una città antica (1549) la cui
origine coincide con la scoperta/conquista da parte dei portoghesi. Ogni suo
angolo, con le chiese, monumenti e vie, è segnata da questa storia che ha
marcato il nome della città stessa: Città del Salvatore della Bahia di Tutti i
Santi.
Salvador, meravigliosa, ricca di storia e di
bellezze naturali, è una città abbandonata, dimenticata e maltrattata. Per
l’incompetenza dei suoi amministratori è cresciuta in un modo disordinato ed è
diventata una grande favela. Ad eccezione di alcune “isole”, la maggior parte
della popolazione vive ammucchiata in quartieri dove mancano le infrastrutture
necessarie per soddisfare i bisogni essenziali. L’esempio più eclatante è la
costruzione della metropolitana, iniziata 13 anni fa e ancora oggi senza
nessuna prospettiva di conclusione dei lavori. Tuttavia, in pochi mesi, il
governo dello stato è riuscito a costruire lo stadio della “Fonte Nova”, per la
Coppa delle Confederazioni e i prossimi Mondiali di Calcio.
Nel 2012 c’è stato uno sciopero dei
professori che è durato 115 giorni e uno sciopero della Polizia militare, di 12
giorni, che hanno provocato grandissimi disagi tra i cittadini.
Un altro grave problema è l’accesso alla
sanità. Le istituzioni sanitarie pubbliche sono carenti e precarie. Non ci sono
strutture sufficienti per garantire i servizi alla popolazione.
Il “Plano de saúde” (Assicurazione
sanitaria) privato è costoso, e una famiglia media con figli difficilmente se
lo può permettere. Questa situazione è una piaga che colpisce soprattutto il
Nordest del Brasile.
Un’altra grande lacuna è quella della scuola
pubblica, soprattutto quella gestita dallo Stato: mancano le strutture, c’è
degrado, scarsa preparazione curricolare – purtroppo anche degli insegnanti -,
abbandono degli studi, ecc.
Da parte dei politici, anche in questo
ambito, si nota disinteresse, perché si sa, è più facile governare un paese
ignorante che uno istruito.
La mancanza di educazione e istruzione tra
gli adolescenti, la disgregazione familiare, e la pedofilia – uomini adulti che
hanno rapporti con ragazzine – portano al fenomeno, piuttosto diffuso, delle
gravidanze precoci.
Le famiglie popolari, in Bahia, sono centrate
sulla figura della donna, della madre. Molte volte l’uomo fugge dalle sue
responsabilità, è assente. C’è molto machismo, da una parte, e strutture
sociali matriarcali, dall’altra. Tutto questo, insieme all’assenza dello Stato,
concorre a creare un clima di violenza che ha raggiunto livelli molto alti.
Secondo la Segreteria di sicurezza pubblica (SSP), nel 2012 sono stati
registrati 2.391 omicidi in Salvador e nelle città della Regione metropolitana,
con un aumento del 12,5% rispetto al 2011».
Un elemento che balza gli occhi, in tutta la
Bahia (e nel resto del Nordest), è la crescita delle chiese evangeliche e
pentecostali. Ce ne sono in ogni angolo e sempre di più. Come spiega questo
fenomeno?
«I dati sulla religione del Censimento del
2010 mostrano che tra il 2000 e il 2010 la percentuale della popolazione che si
dichiarava cattolica è passata dal 73,6% al 64,6%.
Gli evangelici costituiscono il 22,2% della
popolazione. Tuttavia, il segmento evangelico è molto diversificato o diviso:
il 60% sono pentecostali, il 18,5% appartiene alle chiese storiche o
tradizionali e il 21,8% a una categoria che l’Ibge (Instituto Brasileiro de
Geografia e Estatística) chiama “evangelici non determinati” dei quali alcuni
non sono praticanti.
Gli adepti allo spiritismo sono passati
dall’1,3% al 2% e i cosiddetti senza religione sono passati dal 7,3% all’8%.
Stiamo vivendo un profondo cambiamento nella
società brasiliana, anche a livello religioso. Se è vero che la Chiesa
cattolica sta perdendo fedeli, è altrettanto vero che le chiese protestanti
(luterana, presbiteriana, battista e avventista) stanno attraversando una crisi
profonda. Si moltiplicano le chiese evangeliche, frutto di una divisione e di
una guerra intea alla ricerca di spazio e visibilità.
Questa disputa intea al cristianesimo
favorisce la crescita del numero di persone indifferenti al Vangelo.
Un fenomeno molto in voga in questi tempi, è
quello della “teologia della prosperità”, di tipo calvinista: il successo
materiale è il riscontro della fede. I predicatori attuano vere e proprie
“strategie”, e la tecnica usata è quella dell’auto-motivazione. La tattica è
approssimativamente questa: incontrano persone in difficoltà economiche,
psicologiche, sociali e iniziano a motivarle a ottenere dei risultati
materiali, dei cambiamenti chiedendo di affidarsi a Dio. Se questo è certamente
positivo, il problema sorge quando le esperienze di successo ottenuto sono
fittizie, raccontate da “comparse” allo scopo di indurre il fedele ad
abbandonarsi alle istruzioni del predicatore, che adotta vere tecniche di
vendita e ne approfitta, spesso arricchendosi alle spalle dei poveracci che
donano tutto ciò che hanno nella convinzione di ricevere una ricompensa da Dio.
La fede diventa così un prodotto di scambio commerciale, materialista, egoista.
Non c’è più il dono agli altri, gratuito, ma solo un dare per avere.
D’altro canto, però, la Chiesa cattolica si
rende conto di quanto già sapeva da secoli, cioè che esiste un grande numero di
cattolici battezzati, ma non evangelizzati.
Il grande pericolo è che questa nuova
configurazione non ha come obiettivo di unire i cristiani per trasformare il
mondo seguendo il desiderio di Gesù, ma quello di promuovere ideologie
rivestite di una vernice religiosa che procura interessi personali o di gruppi
che si auto-definiscono chiese. La maggior parte di queste “chiese” incoraggia
un proselitismo riduzionista e disgregante della società, cercando di imporre
un pensiero unico. La Chiesa cattolica rispetta tutte le religioni e desidera
essere rispettata».
La Bahia è nota per i rituali di candomblé, una sorta di religione
sincretista, con riferimenti a culti animisti, pagani pre-cristiani e
cattolici. Qual è il rapporto tra la Chiesa cattolica bahiana e questi gruppi?
Ci sono fedeli che alla domenica vanno a messa e alla sera ai rituali
afro-brasiliani?
«La Bahia è terra di un popolo ospitale e
amico che offre la sua casa, le sue tradizioni e la sua culinaria a tutte le
persone che qui arrivano.
La religione fa parte dell’espressione
culturale di un popolo. Non tutti i bahiani seguono le tradizioni legate alle
religioni afro-brasiliane. È ingenuo pensare che tutti gli afro-discendenti
siano legati al candomblé. Purtroppo, la religione afro è sempre più confusa
con il folclore. Il patrimonio musicale religioso del candomblé, per
esempio, è usato per fini commerciali.
Il punto di partenza deve essere il rispetto
di qualunque forma religiosa lasciando all’individuo la libertà della scelta.
Il sincretismo religioso, però, è riduzionista e mette il seguace della
religione del candomblé in una posizione di servilismo o sottomissione
all’uomo bianco. All’inizio della colonizzazione, i neri venuti dall’Africa
erano obbligati a “mentire” se volevano continuare a praticare la loro
religione, che era proibita, in un paese cristiano. Per mantenere i propri riti
attribuirono nomi di santi cattolici ai propri orixás (divinità). Oxalá,
per esempio, poteva essere il Senhor do Bonfim. Era una forma intelligente, di
saggezza politica, per mantenersi indenni e per non essere puniti.
Oggi, la Costituzione brasiliana permette a
ogni cittadino di abbracciare liberamente la propria religione. Vivere un
sincretismo, praticare allo stesso tempo il candomblé con il cristianesimo
significa riconoscere che il primo non è capace di soddisfare o di offrire
quello che si sta cercando. Lo stesso si può dire dei cristiani che frequentano
il candomblé.
La teologia e l’antropologia cristiane
differiscono totalmente da quella del candomblé. Per questo le persone del
candomblé devono vivere liberamente la loro scelta, così come quelli che
professano altre religioni. Buona parte delle Iyalorixá (sacerdotesse o
dirigenti spirituali) di Salvador sono contrarie al sincretismo, specialmente coloro
che hanno una formazione accademica, per evitare che venga considerata una mera
espressione folclorica.
La Chiesa è convinta che deve predicare il
Vangelo di Gesù, vivendo i valori cristiani e rispettando le differenze».
Per concludere, monsignore. Cosa le piace
della Bahia e di Salvador in particolare?
«Prima di tutto la gente. Gente felice,
ospitale, cordiale che ti mette subito a tuo agio, che ti fa sentire a casa.
Gente che sempre chiede la benedizione, che vuole salutarti, stringerti la
mano, abbracciarti.
Ci sono poi alcuni luoghi significativi per
la bellezza di cui la natura li ha dotati e per il significato storico,
religioso e culturale che hanno acquisito lungo il tempo.
La Cattedrale metropolitana della
Trasfigurazione del Signore: una chiesa che apparteneva ai gesuiti e che
accoglie le spoglie mortali di alcuni vescovi che lì hanno svolto il loro
ministero. Persone che hanno amato e servito questa Chiesa come il card. Dom
Lucas Moreira Neves che mi ha ordinato diacono a Roma nel 1985. Chi immaginava
di diventare vescovo ausiliare in questa Chiesa di cui lui è stato pastore?
Il Santuario-Basilica del Senhor do Bonfim,
dove si confondono fede e tradizione, religiosità popolare e catechesi,
preghiera e emozione vissuta da una miriade di persone di ogni ceto e razza.
La Basilica Nossa Senhora da Conceição da
Praia, patrona della Bahia, espressione della devozione mariana della gente che
lì accorre quotidianamente.
La Bahia de Todos os Santos: non ci si stanca
mai di contemplare questa bellezza naturale. Ogni giorno sembra diversa,
soprattutto nei colori quando il sole tramonta.
Il Recôncavo: composto da vari municipi che
circondano la Bahia de Todos os Santos, qui si mischiano il verde della
vegetazione con l’abbondanza della frutta; le varie espressioni della
religiosità popolare con le feste tradizionali; la bontà della gente con la
bellezza delle sue chiese.
L’isola di Itaparica dove la popolazione vive
di pesca e di turismo. Qui la gente è padrona del tempo, ha imparato ad essere
paziente e ad avere sempre fiducia nella Provvidenza divina.
Le periferie della città dove, nonostante la
povertà, la violenza e l’ambiente disumano, le persone vivono e soprattutto
cercano di trovare il senso della vita a partire dal Vangelo e dalla vita
comunitaria, dove le celebrazioni sono sempre una festa e un punto di partenza
per costruire il Regno di Dio».
Angela
Lano*
Angela Lano vive con la famiglia nello stato brasiliano di Bahia.
Angela Lano