Consolazione in Mongolia
Non è la prima volta che la Buona Notizia viene annunciata a questa popolazione. Già nel secolo VI i monaci della Chiesa siriaca orientale (i cosiddetti nestoriani) si erano spinti fino alle steppe dell’Asia orientale, costituendo solide comunità che neppure le persecuzioni del IX secolo riuscirono a soffocare completamente. Nel secolo XIII, in seguito all’espansione dell’impero mongolo creato da Gengis Khan e dai suoi successori, l’evangelizzazione dei mongoli riprese sotto forma di «missioni diplomatiche», affidate ai missionari francescani, fino a costituire la diocesi di Khambaliq (oggi Pechino), con l’arcivescovo che aveva autorità «in toto dominio Tartarorum» (in tutto l’impero dei Tartari). Ma tutto fu troncato a partire dal 1368, quando i cinesi della dinastia Ming posero fine all’impero mongolo.
Dopo oltre sei secoli di vuoto, in cui dall’attuale Mongolia scomparve ogni traccia di presenza cristiana, la Chiesa cattolica è rinata nel 1992, con l’arrivo di tre missionari del Cuore Immacolato di Maria (Cicm) e ha continuato a crescere in numero e qualità: oggi, dopo 20 anni, la Prefettura apostolica di Ulaanbaatar conta sei parrocchie e numerose iniziative in campo sociale, di promozione umana e di dialogo interreligioso.
Negli ultimi due secoli, in verità, ci furono vari tentativi, promossi da Propaganda Fide, per entrare nell’attuale Mongolia passando dalla Cina. Uno di essi fu programmato dai Cistercensi, che nel 1883 stabilirono la loro comunità a Yang Kia Ping, nel nord della Cina, vicino alla grande muraglia. Il monastero fu intitolato a Nostra Signora della Consolazione, titolo suggerito da Giovanni Bosco, quando il fondatore della trappa, don Ephrem Seignol, priore del monastero di Tamié nella Savoia, prima di partire per la Cina si recò a Torino per salutare il suo amico. In tale occasione, oltre ai consigli, don Bosco gli diede un’immagine della Consolata, con scritto nel retro: «Che Dio benedica voi e le vostre opere, che la Santa Vergine Consolata vi benedica sempre».
Fiorente di vocazioni e attività, agli inizi del XX sec. la trappa contava oltre 100 monaci in maggioranza cinesi, tanto da sentire il bisogno di dare vita a una nuova fondazione. «Consolazione mandò una colonia in una provincia centrale cinese - racconta Thomas Merton - e questo nuovo monastero era stato messo sotto il controllo di un priore titolare Cinese, don Paolino Li... I monaci stavano preparando i piani di espansione nella Mongolia, quando l’esercito rosso occupò entrambe le case e pose fine ad ogni progetto futuro» (T. Merton, Le acque di Siloe, pag. 301).
Erano gli anni 1947-48, durante la guerra tra l’armata rossa di Mao Tze Tung e i nazionalisti di Chiang Kai-shek; i monaci della seconda fondazione si rifugiarono a Hong Kong, ma dei 75 monaci di N. S. della Consolazione, sottoposti a torture inaudibili, 33 morirono e l’abbazia fu rasa al suolo.
Ma la Consolata ha trovato ugualmente le sue vie per entrare in Mongolia: il 27 luglio 2003 atterrarono nella capitale mongola due padri e tre suore della Consolata. Oggi la loro presenza è raddoppiata e quest’anno festeggiano con gioia il decimo anniversario della loro presenza di «Consolazione» in Mongolia.