Come la stampa missionaria è considerata nei secoli.
Precursori degli antropologi, che ne apprezzano e
utilizzano il lavoro. I missionari fanno «cultura» sulle pagine dell’editoria
laica già a fine Ottocento. E oggi i temi missionari spesso «bucano» le vetrine
imponendosi nella grande editoria.
«Sul piano scientifico, i missionari hanno veramente
raccolto tutto ciò che valeva la pena di essere conservato». L’attestazione,
tanto insospettabile quanto autorevole, è di Claude Lévi-Strauss, «mostro sacro»
dell’antropologia, scienza sociale di studio dell’uomo sorta nell’Ottocento con
un intendimento prettamente «laico», se non laicista. Nel suo capolavoro Tristi
tropici (1955, Il Saggiatore) Lévi-Strauss riconosce che per quegli
antropologi che si recavano (e si recano) in paesi lontani per scoprire la vera
natura dell’uomo, l’apporto dei missionari è determinante. Attestazione di
stima che però non ha trovato molto riscontro nel corso dei decenni successivi
dell’antropologia culturale.
Ma al di là di questo specifico caso controverso, è
indubbio che il rapporto tra cultura, editoria e mondo missionario è una pagina
significativa delle vicende di quanti hanno dedicato la vita all’annuncio del
vangelo «fino ai confini della terra».
Già nei tempi passati la figura del missionario restava
eloquente e comunque apprezzata in contesti culturali diversi da quelli del
perimetro ecclesiale. Ciò avveniva ad esempio nell’Ottocento, quando intorno al
missionario era sorta una specie di «aura d’avventuriero», per cui chi
affrontava fatiche e sacrifici per portare la «Buona novella» in posti e presso
popolazioni sconosciuti all’Occidente affascinava e conquistava anche quanti
con la chiesa nulla avevano a che fare. Questa «buona stampa» degli
evangelizzatori ad gentes permane anche oggigiorno, in un periodo in cui
la chiesa istituzionale (per diverse ragioni come i casi di pedofilia tra il
clero oppure i vari Vatileaks) soffre di un deficit di credibilità che
pare scuoterla quasi nelle sue fondamenta.
Da Salgari agli antropologi
Gli esempi non mancano. Uno scrittore di successo dei
decenni passati come Emilio Salgari, «uomo d’avventura mancato», secondo il suo
biografo Silvino Gonzato (autore di La tempestosa vita del capitan Salgari,
Neri Pozza), «pur non avendo nessun afflato religioso, ammirava molto i
missionari: ogni volta che i religiosi del don Mazza (il maestro di Daniele
Comboni, ndr) tornavano dalle spedizioni in Sudan, lui li intervistava
per il quotidiano per cui lavorava, L’Arena. A suo parere – prosegue
Gonzato – i missionari erano veri uomini di avventura: ne elogiava lo spirito
di sacrificio, la disponibilità ad affrontare fatiche e rischi, li considerava
dei veri e propri esploratori». Per capirlo basta leggere l’incipit del
colloquio, pubblicato nel 1885, in cui Salgari dialogava con don Luigi Bonomi,
uno dei preti mazziani rimasti prigionieri del Mahdi in Sudan: «Alto di
statura, scao alquanto, deve possedere muscoli d’acciaio ritemprati sotto i
terribili soli equatoriali. Si riconosce in lui l’uomo energico, risoluto e
forte – tre elementi indispensabili per chi sfida i pericoli, i cocenti calori
e le terribili privazioni del Continente Nero».
Se in Salgari si ritrova una laicissima e umanissima
ammirazione per l’impeto dei missionari, la storica Lucetta Scaraffia, docente
all’università La Sapienza di Roma, rintraccia invece una certa avversione
dell’ambiente accademico, almeno a cavallo tra Otto e Novecento, verso il
panorama missionario.
Scaraffia evidenzia una sorta di predisposta e
volontaria ignoranza degli antropologi di professione verso il lavoro etnologico
dei missionari: «Gli antropologi vedono nei missionari dei nemici potenziali
perché cercano di trasformare le società indigene in società cristiane,
distruggendo usi e tradizioni preziose agli occhi degli studiosi». La realtà,
evidenzia con una certa vis polemica la storica piemontese, è ben
diversa. E va a tutto vantaggio della caratura culturale degli annunciatori del
vangelo: gli eredi di Lévi-Strauss «preferiscono dimenticare che i missionari
sono venuti per primi in contatto con i popoli indigeni e che hanno imparato le
lingue dei nativi e studiato i loro costumi, tenendo diari e scrivendo
relazioni. […] Questi testi hanno costituito la base – soprattutto linguistica
– con cui poi gli antropologi hanno studiato le stesse popolazioni».
In epoca più recente è soprattutto la presentazione dei
problemi, delle vicende, di un racconto di prima mano del Sud del mondo, ciò
che ha costituito il quid per il quale i missionari hanno trovato spesso
ascolto e riscontro nell’ambito della cultura (e dell’editoria). A tal riguardo è poi interessante scoprire la
genesi di uno dei best seller missionari in campo editoriale (diverse
decine di migliaia di copie), Korogocho. Alla scuola dei poveri, di
padre Alex Zanotelli, edito da Feltrinelli. «Verso la fine del 2001, lavoravo a
quel tempo a Nigrizia, – afferma Pier Maria Mazzola, oggi direttore
editoriale dell’Emi -, ricevetti una telefonata direttamente da Carlo
Feltrinelli che mi disse: “Ci piacerebbe molto pubblicare un libro autobiografico
di padre Alex. Riuscite a convincerlo?”. In effetti, dal ritorno dalla sua
esperienza decennale di Korogocho, in Kenya, noi di Nigrizia
sollecitavamo Zanotelli a scrivere un libro sulla sua esperienza prima che
qualcuno lo facesse “a sua insaputa”. E quel libro funzionò davvero». Di Korogocho
uscirono diverse edizioni: il passaparola e la vendita nelle affollatissime
conferenze che padre Alex teneva in giro per l’Italia testimoniano la
significatività di una vicenda che ha raggiunto il grande pubblico.
Quell’ampia platea che ha potuto conoscere suor Eugenia
Bonetti, missionaria della Consolata, dal palco della manifestazione di Se
non ora, quando? dedicata al riscatto sociale della donna – oggetto. Suor
Bonetti, responsabile del servizio anti tratta umana dell’Unione delle
superiori maggiori d’Italia (Usmi), è un’instancabile voce di difesa delle
donne sfruttate nel mercato del sesso delle nostre strade. Proprio in questa
veste è stata pubblicamente lodata dall’ex premier inglese Tony Blair in un editoriale
sul Corriere della sera e ha ricevuto premi e riconoscimenti.
In campo editoriale è singolare che, sebbene avesse già
scritto nel 2010 per San Paolo un libro sul problema cui si dedica da ormai
diversi anni (Spezzare le catene), già nel 2011 la laica Rizzoli chiese
a suor Bonetti (proprio all’indomani della sua partecipazione alla
manifestazione «rosa») di condensare la sua esperienza in un libro.
Un’altra missionaria, Chiara Castellani, è riuscita
negli ultimi anni a «bucare» le vetrine dei libri «laici»: questa laica
impegnata nella Repubblica del Congo, già protagonista di un lungo reportage di
Giovanni Porzio su Panorama (per la quale si dovette anche in un certo modo
difendere per essersi fatta raccontare da un mensile berlusconiano), ha raccolto
la sua vicenda in un libro ben accolto da Mondadori, Una lampadina per
Kimbau, in cui narra le sue incredibili vicende mediche e umane illuminate
da un’incrollabile fede cristiana.
«Personalmente, quando ho avuto a che fare con editori
laici, ho trovato delle “praterie” davanti a me». Lo conferma, in maniera
significativa, padre Giulio Albanese, fondatore della Misna, autore per
Feltrinelli di Soldatini di piombo e Il mondo capovolto (Einaudi)
sul rapporto informazione – missionari: circa 10 mila copie ciascuno. «Non ho
mai trovato resistenze negli ambienti editoriali non cattolici alla
presentazione dei nostri temi, ovvero il racconto di un’umanità dolente, il Sud
del mondo, … – racconta il direttore delle riviste missionarie della Cei -. E
poi la mia sorpresa di vedere questi libri nelle grandi librerie degli
aeroporti o delle stazioni ferroviarie! Non posso contare i gruppi, università,
centri culturali anche lontanissimi dalla nostra sensibilità che mi hanno
invitato a incontri o conferenze. E non pensiamo solo ad ambienti “di sinistra”
o “progressisti”: anche i giovani di Confindustria mi hanno chiesto di
intervenire a un loro convegno proprio per avermi “scoperto” grazie a quei
libri. Spesso noi cattolici pensiamo al mondo laico come a un monolite: e invece
non è così. Ma per noi resta davvero un reale campo di missione». Di carta,
pagine e copertine, certo. Ma comunque sempre missione.
Hanno contribuito a questo
dossier
missionaria italiana (Emi).
Editrice missionaria italiana (Emi).
e della rivista «Qol».
Missione».
collaborazione tra le testate «Mondo e Missione», «Missione Oggi» e «Missioni
Consolata» e la Editrice missionaria italiana.
Lorenzo Fazzini