Incontro con Francesco Gesualdi
Parla il
curatore del best seller della Emi, la
Guida al consumo critico. Realizzata la prima volta nel 1996 dal Centro
nuovo modello di sviluppo, riscuote subito un grande successo. Arriva alla
sesta edizione in dodici anni. Ma che attualità c’è nel suo messaggio?
«Ci chiamiamo Centro nuovo
modello di sviluppo (Cnms), ma siamo tre famiglie. Viviamo insieme da venti
anni, ma non siamo una comunità. Naturalmente crediamo nel valore della vita in
comune, ma non siamo pronti per questa scelta. Del resto, quando siamo partiti,
alla fine degli anni ’70, eravamo animati essenzialmente da ragioni di
efficacia sociale e politica». È questo l’incipit della presentazione
del noto Centro di Vecchiano, in provincia di Pisa. Il Cnms cornordinato da
Francesco Gesualdi, uno dei fondatori, ha iniziato le sue attività nel 1985 ed è,
negli anni, diventato una voce autorevole, riconosciuta per la sua serietà e
l’accuratezza delle informazioni.
Da subito il gruppo è cosciente
della «necessità della politica per rimuovere le cause profonde che generano
disagio ed emarginazione». Poi l’intuizione che caratterizzerà il lavoro del
Centro: «Così abbiamo capito l’importanza strategica del consumo e abbiamo
cominciato a chiederci come potevamo trasformarlo da strumento di complicità
con gli oppressori a strumento di liberazione per gli oppressi». Nasce il
concetto di «consumo critico».
Dopo i primi anni di studio
iniziano le pubblicazioni del Centro, che hanno larga diffusione tra i
movimenti della società civile e ambientalisti. In questa fase il sodalizio con
la Emi è fondamentale.
Molti sono i titoli. Tra i più
famosi: Nord-Sud: predatori, predati e opportunisti (1997), Geografia
del supermercato mondiale (1997), Lettera ad un consumatore del Nord
(1998) e tanti altri.
Ma il cavallo di battaglia del
Centro è senza dubbio la Guida al consumo critico, un compendio unico di
istruzioni pratiche e indicazioni per consumare criticamente e in modo equo. La
prima edizione è pubblicata dalla Emi nel 1996, per arrivare alla sesta nel
2011.
«Bisogna passare dal consumo
critico al consumo responsabile dove la sobrietà fa da sfondo a ogni scelta».
Si legge nella presentazione dell’ultima edizione.
Il concetto portante è: «La
politica si fa ogni momento della vita: al supermercato, in banca, sul posto di
lavoro, all’edicola, in cucina, nel tempo libero, quando ci si sposa.
Scegliendo cosa leggere, come, cosa e quanto consumare, da chi comprare, come
viaggiare, a chi affidare i nostri risparmi, rafforziamo un modello economico
sostenibile o di saccheggio, sosteniamo imprese responsabili o vampiresche,
contribuiamo a costruire la democrazia o a demolirla, sosteniamo un’economia
solidale e dei diritti o un’economia animalesca di sopraffazione reciproca».
Incontro con l’autore
Ci siamo intrattenuti con
Francesco Gesualdi, prolifico autore della Emi, per avere la sua visione del
momento attuale e delle prospettive per l’editoria missionaria.
La collaborazione tra il Centro e
la Emi, partita a metà degli anni ’90, si è subito rivelata vincente. Ma oggi
ci si chiede che futuro abbia l’editoria che tratta questi temi. «La piccola
editoria continua a impegnarsi per le idee innovative, quelle che si impegnano
sempre meno sono le grandi case editrici che si orientano ormai verso una
logica da supermercato: bisogna fare cassa e per questo ci dirigiamo verso gli
autori affermati, anche se perfino loro non riescono a stare sulla bancarella
per più di 15 giorni. È la novità che deve dominare e se riesco a cambiare il
prodotto invito a comprare con una maggiore frequenza. La grande editoria sta
cambiando in peggio, ha bisogno di ricambio continuo per acquisti veloci. La
piccola editoria continua a provarci, ma ha mille difficoltà, non ultima quella
di arrivare in libreria, e di non affogare in tutto ciò che si pubblica: si
parla di oltre 100 nuovi titoli al giorno in Italia.
Ogni tanto mi dico che è meglio
non pubblicare niente, altrimenti ingolfiamo l’editoria!».
Francesco Gesualdi osserva che non
è lui che può dare consigli, e continua: «Mi rendo conto che è difficile.
Sarebbero meglio pochi prodotti, ma buoni. Quindi selezionare molto bene quello
che si pubblica.
Noi come Centro continuiamo a
produrre, il nostro obiettivo non sono i soldi, ma fare circolare le idee. Le
guide al consumo critico, sono raccolte di dati che invecchiano rapidamente,
per questo sarebbe molto più agevole la via informatica che la carta stampata.
Si potrebbe aggioare con più agilità e con costi molto minori. Attualmente
non ci riusciamo, perché non abbiamo forze sufficienti».
Passiamo ad affrontare con
Gesualdi i temi «caldi» del momento.
«La crisi che stiamo vivendo poteva
essere l’occasione per cambiare, per ridurre il peso della finanza, che sta
alla base di questa situazione. Perché è stato l’uso della finanza in maniera
totalmente avida, fino ad arrivare alle scorrettezze, a portarci fin qui.
Chi gestiva e produceva titoli
tossici, lo faceva con consapevolezza, sapeva di proporre prodotti che non
erano basati su cose sicure e chi avrebbe comprato si sarebbe poi trovato nei
guai». Ci racconta Francesco Gesualdi, che da anni si occupa di modelli
economici alternativi.
Poteva essere l’occasione buona per
mettere dei freni alla finanza, e regolamentae fortemente il ruolo. In
particolare per creare una divisione tra banche commerciali e banche di
investimento, in modo che i clienti risparmiatori normali non venissero più
messi a rischio. Porre fine alle attività rischiose delle banche e riportarle
al loro mestiere: fare credito per l’economia reale. «Si poteva impedire la
speculazione su fondi di interesse comune (i debiti sovrani) e sarebbe stata
l’occasione per mettere in discussione lo scippo della sovranità monetaria agli
stati in Europa. Questi ultimi non riescono più a giocare il ruolo sovrano
proprio di un sistema democratico perché sono in balia del mercato», continua
Gesualdi.
Negli Usa è stata varata la legge Dodd
– Frank Act (gennaio 2010), un tentativo di mettere regole alla finanza. Ma
quando si è trattato di scrivere i regolamenti attuativi, ci sono state fortissime
pressioni affinché tutto finisse in una bolla di sapone.
«In Europa, invece, tutte le scelte
si sono fatte con l’attenzione a non pestare i piedi alle banche o agli altri
fondi della finanza. Non si è tenuto in conto l’interesse collettivo. Peggio:
ci dicono che occorre assecondare le ricette speculative dei mercati, perché
questi sono così potenti che se per caso osiamo metterci contro di loro ci
puniranno. La grande ipocrisia: farci credere che più serviamo i mercati, più
facciamo i nostri interessi, perché evitiamo il peggio. È una politica
chiaramente contro la collettività che pone tutte le premesse per andare sempre
più a fondo».
Ma la crisi potrebbe anche avere
effetti positivi, come quelli di indurre la gente a consumare meno e meglio.
Secondo Gesualdi: «Questa situazione sta facendo pagare le famiglie, ma senza
che queste abbiano fatto un percorso di crescita interiore. Sarebbe positivo se
ci fosse una consapevolezza, una conversione culturale. Ma se questa è vissuta
soltanto come un’imposizione estea, una maledizione, allora c’è il rischio
che si alimenti il populismo più gretto che promette l’impossibile. Oggi invece
bisogna avere il coraggio di sfidare i mercati. Chi non lo fa (i politici, ndr)
e propone solo riduzione di tasse o si butta nel taglio delle spese dei
servizi, che quindi saranno poi pagati, ancora una volta, dalle famiglie, ci
sta prendendo in giro».
Ma il Cnms ha delle sue proposte
per contrastare i mercati?
«Primo: mettere regole che
impediscano la speculazione sul debito pubblico. Secondo: quando un popolo è in
difficoltà per diverse ragioni, non deve pagare soltanto la gente, rinunciando
ai propri diritti, ma anche i creditori, tanto più che molti di loro hanno già
lucrato sul debito pubblico. Terzo: arrivare più in là e riformare la Bce
(Banca centrale europea), facendo tornare la sovranità monetaria sotto governi
e parlamenti, affinché la moneta sia gestita per la piena occupazione e per
garantire la stabilità del sistema economico. Bisogna uscire dalla logica, su
cui è improntata oggi la Ue, per cui la moneta è gestita per permettere alle
banche di arricchirsi».
Si è visto che con un meccanismo di
decrescita i primi a rimetterci sono i lavoratori meno tutelati, che perdono il
posto di lavoro.
«Questo discorso vale se il quadro
di riferimento continua a essere questo sistema, basato sugli interessi delle
imprese e messo al loro servizio: è ovvio che i primi a rimetterci sono i più
deboli.
Non è possibile parlare di decrescita
senza mettere mano all’impostazione del sistema economico, con ristrutturazione
forte del ruolo del mercato, dell’economia pubblica e della moneta.
Occorre progettare un sistema
economico che funzioni secondo altri criteri. E non basta orientarsi verso una
vita più sobria, più eco compatibile a livello di singola famiglia. Dobbiamo
ripartire dalla domanda: qual è la funzione dell’economia? Se l’obiettivo è
vivere tutti in maniera dignitosa, sappiamo di dover rispettare una serie di
limiti che ci impongono il pianeta e gli impoveriti della terra. Loro hanno
diritto di accrescere il proprio consumo e la propria produzione, ma potranno
farlo soltanto se noi accettiamo di sottoporci a una cura dimagrante».
Secondo il fondatore del Cnms
occorre introdurre dei cambiamenti di carattere culturale, a partire dal
lavoro.
Si chiede: qual è la funzione del
lavoro? Se l’unica strada per soddisfare i nostri bisogni è il mercato, la
funzione del lavoro è guadagnare un salario, perché per entrare nel mercato
abbiamo bisogno di denaro. Allora dobbiamo vendere il nostro tempo.
«Per ribaltare questa logica diremo
che la funzione del lavoro non è guadagnare un salario ma garantire i nostri
bisogni. Altre possibilità si realizzano attraverso il «fai da te», ma anche la
solidarietà collettiva. Un luogo dove non si compra nulla, ma si ottiene
qualcosa grazie a un patto di solidarietà che abbiamo fatto al nostro interno»
sostiene Gesualdi.
«È il principio dell’economia
pubblica. La domanda nuova è come farla funzionare senza che essa dipenda dalla crescita generale dell’economia.
Io dico che bisogna eliminare la
dipendenza dell’economia pubblica dal denaro, perché è questo che la tiene
legata al resto dell’economia.
Ci vuole un altro modo di concepire
la partecipazione, che non si fermi a eleggere i nostri rappresentanti nelle
istituzioni, ma si spinga fino al coinvolgimento nei servizi. Questo richiede
che ci sia una certa organizzazione, un apparato di apprendimento.
Ma il problema più serio è la
nostra chiusura mentale: noi non accettiamo che ci possa essere una dimensione
collettiva alla quale dedicare parte del nostro tempo. È così fuori dal nostro
immaginario che la viviamo come un’oppressione infinita».
Idee queste sperimentate in
piccolo, in comunità e gruppi circoscritti di persone, molto difficili da
estendere a livello paese. Dice Gesualdi: «Dobbiamo ricostituire le comunità.
Poi il livello organizzativo dipende dal tipo di servizio considerato. Ci sono
dei servizi che partono dal condominio. Ad esempio gli anziani: si può dare una
risposta a livello condominiale, se gli abitanti sono disposti a farsi carico
delle situazioni di bisogno degli anziani che vivono nel palazzo. Ci sono
alcuni che necessitano di assistenza specializzata, altri hanno bisogno che si
faccia loro la spesa, o che si tenga loro la cucina pulita.
Possiamo immaginare di risolvere il
problema degli anziani con un esercito di assistenti domiciliari pagati? Non lo
può fare neanche la ricchissima Svezia. O ci inventiamo un altro tipo di
coinvolgimento oppure andremo verso il degrado sociale più spaventoso. I
livelli organizzativi vanno adattati a quella che è la peculiarità del servizio
da garantire. Tanti servizi vanno riportati al livello micro del territorio,
compreso quello sanitario. Parlando di cura, molte malattie sono banali e si
possono curare nel piccolo centro, con pochi posti letto. Oggi questa logica
non è pensabile perché ci scontriamo con la questione dei costi: l’aspetto
monetario diventa ostacolo. Con strutture che diano servizi gratuiti, e nel
contempo godano anche di lavoro gratuito, il problema monetario non ci sarebbe
più.
Penso a migliaia di microstrutture
a livello di comunità che replicano lo stesso servizio e soddisfano quindi i
bisogni».
Marco Bello