1973 – 2013: storia di una
piccola-grande casa editrice
Era il 1973. All’inizio furono in
quattro. Oggi gli istituti missionari che sostengono la Emi sono 15. Grazie ad
alcune intuizioni precise, la casa editrice seppe riempire uno spazio culturale
prima vuoto. L’attuale crisi dell’editoria la scuote, ma l’Emi sa rinnovarsi.
Parlano i testimoni di ieri e di oggi.
Ha fatto conoscere al pubblico i
volti dei grandi protagonisti della chiesa, del mondo missionario, delle
religioni. Ha anticipato l’attenzione di massa su temi caldi come la giustizia
e la pace, la salvaguardia del creato, i nuovi stili di vita, il dialogo tra le
fedi. Di più: negli scritti dei pionieri e anticipatori della sua avventura,
per prima diede voce ai popoli di quello che allora veniva chiamato «il terzo
mondo», e riuscì a focalizzare i riflettori mediatici su di esso, sulle sue
emergenze – la fame, l’anelito all’indipendenza – e soprattutto sulle sue
ricchezze, a cominciare dalla rivendicazione del proprio protagonismo. L’Emi, Editrice missionaria italiana, ne ha fatta di strada negli
ultimi quarant’anni.
Ad aprile questa vitale espressione
degli istituti ad gentes italiani festeggerà l’anniversario di
quell’esperimento che – era il 1973 – vide in prima fila Comboniani, Missionari
della Consolata, Pime e Saveriani.
L’idea era ridare slancio a una
proposta culturale avviata negli anni Cinquanta da alcuni membri dei quattro
istituti, le cui case editrici avevano cominciato a curare insieme una collana
di teologia della missione e una per la conoscenza dei popoli. «In quegli anni
si viveva un entusiasmo missionario oggi inimmaginabile», ricorda padre Piero
Gheddo, del Pime, tra i promotori di quella primissima iniziativa insieme al
saveriano Walter Gardini. «In quel clima, favorito da tre encicliche, la Evangelii
praeconese, la Fideidonum di Pio XII e la Princeps pastorum
di Giovanni XXIII, nacquero anche la Federazione della stampa missionaria
italiana (Fesmi), i primi congressi del laicato missionario italiano, l’équipe
di visitatori missionari dei seminari italiani – continua padre Gheddo – e,
ancora, assistemmo alla partenza dei primi sacerdoti fidei donum, nel
1957, o alla nascita delle “Settimane di studi missionari” dell’università
Cattolica, nel 1960».
A metà degli anni Sessanta,
tuttavia, le pubblicazioni unitarie degli istituti missionari cominciarono, per
varie ragioni, a languire. L’entusiasmo originario si era affievolito, forse
anche per la sensazione di un diminuito interesse del pubblico. Fu allora che
entrò in gioco un giovane comboniano, padre Ottavio Raimondo, che nel ’67 era
stato assegnato dai suoi superiori alla casa editrice Nigrizia.
Padre Raimondo riuscì a vincere lo
scetticismo degli altri missionari coinvolti nell’edizione delle due collane
comuni, per fare un tentativo nuovo: «Nel 1973 i quattro istituti maschili
decisero di congelare per quattro anni le rispettive editrici, per farle
confluire tutte nell’Emi, senza però che ancora avesse una personalità
giuridica», racconta padre Ottavio, che sarebbe poi diventato il direttore «storico»
dell’editrice missionaria, guidandola per 21 anni.
«Ci dicemmo: “Vediamo se funziona,
altrimenti toeremo ognuno alle nostre attività”». Invece, indietro non si
toò più. I primi anni di attività diedero subito frutti positivi, e il 17
novembre 1977 nacque la cornoperativa Sermis (Servizio missionario), con lo scopo
di dare autonomia giuridica all’Emi, la cui sede fu fissata a Bologna, e tenere
aperta la porta ad altre iniziative in campo culturale (come sarebbe successo
nel 1997, con la nascita dell’agenzia di stampa Misna).
Ben presto, ai quattro soci
fondatori si aggiunsero altri istituti, maschili e femminili, fino a
raggiungere il numero attuale di quindici: Società Delle Missioni Africane, Missionarie
di Nostra Signora degli Apostoli, Missionarie Comboniane, Padri Bianchi
(Missionari d’Africa), Verbiti, Missionarie della Consolata, segretariato
unitario per le missioni dei Cappuccini, Missionarie Secolari Comboniane, Comunità
Redemptorhominis, Missionarie dell’Immacolata e Saveriane.
«Le nostre intuizioni più
importanti, in origine, furono due», spiega padre Ottavio facendo un bilancio
di questi decenni. «Da una parte, gli istituti si resero conto che per incidere
nella realtà italiana, portando sul territorio l’idea della missione, dell’alterità, della diversità, era necessario unirsi,
sia per ottimizzare le energie sia per ovviare a una certa auto referenzialità
di ognuno. Dall’altra, l’Emi diede spazio alle voci delle giovani chiese del Sud del mondo, di cui, negli anni del
dopo Concilio, si sentiva il bisogno di conoscere la grande vitalità e
ricchezza.
Traducevamo i documenti delle
Conferenze episcopali. Ricordo che pubblicammo gli atti della Conferenza
dell’Episcopato latinoamericano di Puebla, nel ’79, prima ancora che uscissero
localmente!».
Negli anni seguenti, secondo padre
Ottavio, furono altre due le intuizioni che fecero dell’editrice dei missionari
una ricchezza per l’intera società italiana: «Si tratta della dimensione dell’interculturalità, che approfondimmo dagli anni
Ottanta, soprattutto grazie all’impulso del Centro saveriano di animazione
missionaria e del suo Centro di educazione alla mondialità, e del
tema dei nuovi stili di
vita, che
sviluppammo negli anni Novanta, in particolare con l’apporto del Centro
nuovo modello di sviluppo, cornordinato da Francesco Gesualdi (vedi articolo)».
Quando padre Ottavio riprese la
guida dell’Emi al rientro dalla lunga parentesi missionaria in Messico, dal ‘79
al ’93, era stata data alle stampe la prima edizione della «Guida al consumo
critico», destinata a diventare un bestseller da 200 mila copie. Fu
quello il periodo in cui l’Emi divenne catalizzatrice di un’attenzione che
cominciava a esprimersi in alcuni settori della società su temi appunto come
stili di vita alternativi al modello consumistico, finanza etica, problematiche
ecologiche: un’attenzione che solo più tardi sarebbe stata fatta propria anche
dai grandi editori.
Molti dei titoli di questo filone,
con il loro successo di vendite, aprirono all’editrice missionaria anche le
porte delle grandi librerie laiche e dei circuiti legati alle manifestazioni
dell’associazionismo, alle fiere, alle botteghe del mondo.
Un altro fronte che portò ottimi
risultati fu quello dei libri di testo per l’insegnamento della religione
cattolica. Il trend positivo continuò fino alla metà degli anni Duemila.
Ma lo spettro della crisi economica cominciava ad aleggiare.
«Arrivai alla direzione dell’Emi in
un momento di passaggio non solo della nostra struttura, bensì globale»,
racconta padre Giovanni Munari, comboniano, che dopo trent’anni di missione in
Brasile prese le redini della casa editrice nel 2008. «La crisi ebbe degli
effetti pesanti su di noi, in modo diretto ma anche indiretto, visto che negli
ultimi anni avevamo lavorato molto con il mondo dell’associazionismo e vari
temi al centro dei nuovi titoli erano espressione della riflessione e delle
proposte provenienti proprio da quel mondo». Linfa di cui, negli ultimissimi
anni, i problemi economici hanno bruscamente interrotto il flusso.
«Ci siamo resi conto così che dovevamo
cercare di ritagliarci uno spazio nel mercato editoriale, che oggi è fortemente
competitivo, attraverso una serie di riforme, dagli aspetti grafici a quelli
contenutistici fino alla fisionomia delle collane», continua Munari. Una sfida
affrontata con successo, se è vero che la neo – quarantenne editrice è riuscita
a sopravvivere all’emergenza senza aiuti estei e continua ad aggiungere tra i
50 e i 60 libri ogni anno al suo catalogo, che oggi comprende oltre ottocento
titoli (dai volumi per l’infanzia alla recente collana di narrazioni).
Ora, però, è necessario guardare
avanti. Ma nell’attuale panorama editoriale e mediatico può esserci ancora
spazio per un’editrice missionaria? Il nuovo direttore dell’Emi Lorenzo
Fazzini, primo laico a occupare questo posto, è convinto di sì. «La narrazione
della missione, le tematiche dei nuovi stili di vita, il lavoro costante
sull’educazione, la prospettiva interculturale e interreligiosa sulle grandi
questioni contemporanee sono le peculiarità dell’Emi che si rafforzano oggi,
nell’epoca in cui la globalizzazione è un dato accertato, che non va subìto
passivamente, soprattutto dal punto di vista culturale e tanto più ecclesiale»,
afferma Fazzini. Certo serve «un surplus di fantasia, innovazione,
creatività, nella convinzione che la prospettiva missionaria, che tiene conto
del punto di vista dell’altro, che è costantemente in dialogo, che vive alla
frontiera dell’annuncio cristiano, è un arricchimento ineguagliabile per la
Chiesa ma anche per la società stessa».
La sfida è «rintracciare nuove
strade e intuire i luoghi della cultura di frontiera e di fecondità
significativa per l’annuncio missionario». Per farlo, l’intenzione è tornare a
puntare l’obiettivo sulla ricchezza – in termini di nuove prospettive di
indagine, riflessione e azione – che può venire dai paesi di missione. Fazzini
cita, tra l’altro, un personaggio come l’ex primo cittadino di Bogotà Ananas
Mockus, «esempio virtuoso di “anti politica” e di un civismo amministrativo
tutto da scoprire», la cui storia è raccontata dal volume di Sandro Bozzolo, «Un
sindaco fuori del comune», ma anche il neo cardinale di Manila Luis Antonio
Tagle, di cui Emi sta per pubblicare il primo libro in italiano, «Gente di
Pasqua». «Personalità e questioni “periferiche”, se affrontate con qualità,
possono diventare vincenti in quanto esemplificative di una cultura non
omologata». La missione, insomma, ha ancora pagine da scrivere.
Chiara Zappa