Disarmare il Dolore col Sorriso Un incontro speciale: il Mago Sales

È stato in decine di paesi in tutto il
mondo, incontra migliaia di bambini ogni anno: «Vado da loro per regalare un
sorriso e fare una promessa». E per il 2013 ha in programma progetti anche in
favore dei missionari della Consolata. Incontrare il sacerdote salesiano mago
Sales è un’esperienza ricca, perché ricca è la sua condivisione che non perde
di vista la sofferenza, la vera gioia e la ricerca della verità. Grazie alla
medicina dell’allegria.

Lo incontriamo per interesse missionario: il mago Sales
porta da due decenni la sua allegria (e i suoi aiuti) in alcune decine di paesi
in tutto il mondo; e per curiosità: un prete salesiano dedito ai giochi di
prestigio, a vederlo in alcuni video su youtube una macchietta con la
croce al collo. Dopo l’intervista abbiamo avuto la piacevole sensazione di aver
incontrato non un ruolo (sacerdote) o un mestiere (mago), scatole che possono
rimanere vuote, pur tra l’ammirazione generale; neppure l’«impegno per i poveri»,
idea che a volte impoverisce di umanità chi la persegue; ma una persona. La sua
vita, allegra e dolente allo stesso tempo, e quindi la sua grande ricchezza.

Don Silvio Mantelli (questo il suo nome) ci
colpisce per la schiettezza – riguardo ai contrasti con alcuni confratelli
causati dal suo «mestiere», o a esperienze di sofferenza provocate in parte da
lui stesso -, e per la vulnerabilità che lascia trasparire dal suo volto. Forse
la sua franchezza priva di acredine viene proprio da quella vulnerabilità
accettata e testimoniata. Si potrebbe chiamarla anche trasparenza, o
addirittura misericordia. «I bambini in genere sono i critici più spassionati:
se hanno qualcosa da dirti te lo dicono senza problemi. Io mi sono accorto di
essere dalla loro parte, di essere un po’ un bambino» ci dice. E noi crediamo
che sia vero.

UN
MISSIONARIO DELLA CONSOLATA… MANCATO

Capelli bianchi, grandi occhiali posati su un
grande naso, sopracciglia foltissime. Sul petto una croce keniota, segno dei
progetti cui contribuirà nel 2013 per portare acqua alle popolazioni di quel
paese africano. Ci attendevamo di trovarlo con una bacchetta magica, un
copricapo colorato e vesti catarifrangenti. Ci accontentiamo della serie
concentrica di rombi che disegnano in modo ipnotico la trama del suo maglione. «Mi
definisco un prete che fa il mago: ho scelto di fare il mago, ma non di essere
prete. La vocazione è come la vita: nessuno chiede di venire al mondo. La vita è
un dono. La vocazione, cristiana e sacerdotale, pure».

Il mago Sales faceva le magie già prima della
vocazione, «quindi ho semplicemente continuato. Le faccio anche per
riconoscenza: credo di aver ricevuto molto dalla vita, allora restituisco il
debito e regalo dei sorrisi. Mi piace molto farlo!». Piemontese, nato nelle
langhe, a Novello, nel ‘44, Silvio arriva piccolissimo a Torino col papà
impiegato di banca, e la mamma commercialista. I genitori non lo possono
seguire «allora sono stato bocciato in prima media. Andavo bene solo in
educazione fisica. Poi i miei mi hanno mandato dai salesiani coi quali ho fatto
le medie e il classico faticando molto. A 19 anni un sacerdote straordinario
con la sua testimonianza di vita mi ha dato l’input: volevo diventare
missionario della Consolata! Ma i miei non erano d’accordo sulle missioni, e un
giorno ho trovato a casa un salesiano che mi ha portato nella sua
congregazione. Io volevo entrare nella Consolata perché a Novello conoscevo un
medico condotto, il dottor Dagnino, che quando era rimasto vedovo era diventato
missionario della Consolata, ed era andato in Kenya a testimoniare il Vangelo
come prete facendo il medico».

LA
TIMIDEZZA, LA MAGIA E GESÙ CRISTO

Sul viso e nella voce un sorriso affabile.
Inaspettatamente il mago Sales appare timido, perfino impacciato. Già dal primo
sguardo su di lui dobbiamo fare i conti coi nostri schemi e pregiudizi. Per
fortuna ci eravamo preparati a incontrarlo leggendo la sua gustosa e poetica
autobiografia sul sito magosales.com.

«Io sono molto timido. La timidezza non la
vinci mai completamente. Fare spettacoli mi ha aiutato». Don Silvio dice di non
essere un’eccezione: «Molti personaggi dello spettacolo sono timidi. Io ho
insegnato ad Arturo Brachetti, star a livello mondiale. Quando l’ho
incontrato era un ragazzino timido. Lo spettacolo l’ha aiutato a venire fuori.
Vasco Rossi, ad esempio, è timidissimo. Io l’ho conosciuto. I timidi hanno una
potenza in più perché, non esprimendosi nel sociale, interiorizzano, e la loro
fantasia diventa molto creativa».

La timidezza e la creatività, lo spettacolo
che fa esprimere l’interiorità. Tutto ciò ci fa intuire che la magia per don
Silvio non è uno strumento posticcio, un’espediente per attirare l’attenzione e
catechizzare il suo pubblico, ma un modo di essere, di esprimersi. Forse
allora, al contrario di quanto lui stesso ci ha detto, la magia per la sua vita
è più simile a una vocazione che a una scelta.

«Ogni tanto ricevo delle mail di gente
che mi chiede se non mi vergogno a fare il mago, io che sono prete. La magia è
parte di me. In fin dei conti se la religione è soprannaturale, la magia è
soprannaturale in finzione. Magia e religione non sono da equiparare, ma in
qualche modo tra loro c’è un legame. Gesù faceva miracoli. La magia, come il
miracolo, non è il fine, ma un mezzo per far capire realtà che altrimenti
sarebbero difficili da spiegare. Poi per me la magia è il modo in cui mi
avvicino alla gente. In tanti territori sono entrato non come prete ma come
animatore per bambini. In Vietnam c’è una legge che impedisce riunioni di più
di dieci persone. Io ne avevo di fronte più di mille e mi lasciavano fare. Lo
stesso a Cuba, in Somalia, in Palestina. Vado a regalare un sorriso, non a fare
politica o conversioni».

FAR
GUARIRE ATTRAVERSO IL SORRISO

Con una leggera inflessione dolente nella
voce il mago Sales d’improvviso parla del male del mondo: la magia e Gesù sono
legati tra loro dalla passione per l’umanità, in particolare quella sofferente.
«Il male del mondo non può lasciare indifferenti, soprattutto se colpisce un
bambino. Uno dovrebbe usare ogni mezzo per lenirlo. Il gioco è un valore
fondamentale. Molte volte in giro per il mondo i bambini mi hanno detto: “Grazie
perché mi hai regalato un sorriso”. Una volta in Somalia, alla fine di uno
spettacolo in un orfanotrofio dove, tra l’altro, c’erano tre suore della
Consolata, l’unica presenza cristiana in quel momento nel paese, un medico è
venuto da me e mi ha detto che quell’ora di spettacolo aveva annullato la
sofferenza di venti anni di guerra, era stata la prima volta che aveva riso e
si era divertito. Un’altra volta Dominique La Pierre mi ha detto: “Far
sorridere in situazioni di povertà e sofferenza significa in un certo senso già
guarirla”. Era il mio sogno: diventare come il dottor Dagnino, medico e prete,
far guarire col buon umore e il sorriso».

Il mago Sales porta ai bambini un aiuto
duplice: da un lato il divertimento, dall’altro i fondi raccolti in Europa. «Vado
da loro per regalare un sorriso e fare una promessa. Non puoi andare da un
bimbo, farlo divertire, scattare due foto e chiudere tutto lì!».

ESSERE
INCOMPRESO…

Immaginiamo che per i confratelli di don Silvio,
e non solo per loro, deve essere difficile accettare una modalità così
eccentrica di essere sacerdote. «Come capita a tutti, ho incontrato persone che
mi hanno capito e voluto bene, e altre che… non è che non mi abbiano voluto
bene, però…».

Il mago Sales parla con molta onestà dei suoi
contrasti coi confratelli. Ci fa capire che in alcuni ambienti si preferisce
non dire nulla, o al massimo alludere. Lui invece sembra non farsi remore. E la
sua semplicità, l’assenza di rancore e di quella superbia di chi crede di
essere nel giusto e vuole dimostrare gli errori degli altri, c’incantano.

«Le difficoltà servono a stimolare la
ricerca. Di solito il fatto che io faccia il mago non piace. Pensano: “Ma
questo deve fare il prete!”. I confratelli non te lo dicono. Poi te lo fanno
sapere per vie traverse. Anche don Bosco una volta fu portato in manicomio dai
suoi preti perché lo prendevano per matto. Si trovano sempre persone così».

UNA
STORIA DOLOROSA

Nella sua autobiografia il mago Sales, tra le
altre cose, narra anche di una storia d’amore che tre decenni fa l’aveva
portato fuori dalla congregazione, in cui è poi rientrato dopo alcuni anni.
Leggerla ci ha stupito, non tanto per la vicenda in sé, quanto per il fatto di
trovarla scritta di suo pugno nel suo sito web. Evidentemente per lui
essere testimoni dell’amore di Dio non significa mostrare solo quelle parti di
sé che corrispondono alle aspettative della gente ma – come dice lui – «vivere
integralmente la tua vita» con il male e il bene che in essa inevitabilmente si
intrecciano.

«È una cosa risaputa. Non l’ho mai nascosta.
Il sentimento e la sessualità non si possono annullare. Io non ho ricevuto
un’educazione in questo campo. I miei non ne parlavano. Mi dicevano che ero
nato sotto un cavolo. Non ho avuto mai smentite, né aggioamenti. Poi a scuola
il problema del sesso, della masturbazione, era una cosa da combattere a tutti
i costi. E forse questo mi ha influenzato. Forse pensavo che entrare nella
religione come prete avrebbe annullato la tentazione. “Sei più vicino a Dio”,
pensavo…

Ho incontrato una donna, sposata, con un
figlio. È nato un sentimento. Abbiamo anche pensato di andare a vivere insieme.
Dopo è valsa la ragione. Abbiamo fatto delle scelte. Lei dalla sua, io dalla
mia. La più sfortunata è stata lei: un giorno ho saputo che era in ospedale. Si
era presa un cane, come fanno tante persone che si sentono sole. Era su una
panchina e le è venuto un aneurisma. Non ha più ripreso conoscenza. Io sono
andato in ospedale a trovarla. Mi ha fatto impressione perché era senza
capelli, immobile. Io l’ho chiamata con il termine con cui ci chiamavamo, e dai
suoi occhi sono venute fuori delle lacrime. Alla fine le ho dato una
benedizione».

GIRARE IL
MONDO DAI 49 IN POI

Ci verrebbe da chiudere l’intervista qui,
sulle parole commosse di quest’uomo che ci mostra com’è fragile, imprevedibile,
sconcertante, e allo stesso tempo intensamente bella la vita. Ma sul mago Sales
ci sono molte cose da dire ancora. E allora proseguiamo. Don Silvio oggi
impiega gran parte della sua attività per i poveri del mondo. La cosa curiosa è
che questa mondialità, presente nella sua vita da sempre, è rimasta inespressa
fino ai suoi 49 anni: «Ho sempre fatto le cose in ritardo. Sono pigro oltre che
timido. Nel 1993 sono andato in Brasile, in un lebbrosario. Lì c’era Paolino di
otto anni che mi ha chiesto di fare una magia per lui: non la guarigione, ma di
farlo tornare da papà e mamma. Ci sono sofferenze che vanno al di là del male
fisico. Allora ho pensato: “Se guarisce, magari i genitori lo riprendono con
loro”. È nata così l’idea di aiutare i bambini del mondo attraverso gli
spettacoli. I soldi si sono trovati: Paolino è guarito. Però non è stato
accettato dai genitori. Ora è sposato, ha dei figli, ha la sua famiglia».

Da quell’anno il mago Sales ha visitato
almeno venticinque paesi: «In ognuno compro una stola. A Cherasco ho fatto una
cappellina in cui le ho appese tutte. Ce ne sono certamente più di venticinque!
Dovrei contarle.

Il paese che mi ha colpito di più è il Madagascar.
È stato il secondo viaggio che ho fatto. Poi ci sono tornato molte volte. Lì ho
avuto degli incontri importanti. Ma ogni paese ha le sue ricchezze. Haiti ad
esempio. Mi ricordo che un tempo portavo i quotidiani ai missionari. Erano così
felici che passavano la notte a leggere. E poi la sera raccontavano le storie.
Tant’è che ho iniziato a scrivere un libro sulle vite di alcuni bimbi. Sono
stato in Myanmar e mi sono fatto raccontare la vita di un bimbo monaco… poi
scriverò la vita di un bambino soldato, di un altro che lavora al mercato…».

Nel 2012 don Silvio è stato in Messico dove
sta finanziando un progetto per la formazione di giovani con 20mila euro
raccolti dal cinque per mille, poi è stato ad Haiti per visitare una scuola
costruita con 120mila euro dati da una fondazione bancaria. «Sono andato con
una persona di Cuneo che due anni fa ha perso la sua unica figlia in un
incidente stradale, e ora è un socio della fondazione mago Sales. Lui viene con
me e mi ringrazia perché vede cosa accade nel mondo. Non che così annulli la
sofferenza, perché certi dolori non li puoi mai vincere, però…».

Dopo Haiti è stato in India e Myanmar, e
infine in Palestina.

«L’ACQUA…
UN BENE PREZIOSO»

Per il 2013 la fondazione mago Sales ha
assunto due progetti dei missionari della Consolata in Kenya, entrambi relativi
all’acqua. Il primo riguarda la costruzione di vasche di raccolta di acqua
piovana a Karare, Marsabit, nel Nord, zona desertica in cui lavora suor
Serafina: già finanziato nel 2012, il progetto è solo all’inizio. Il secondo,
noto ai nostri lettori (si veda MC gen.-feb. 2013, p. 29) e agli
estimatori di fratel Argese, riguarda la costruzione di una diga per
raccogliere acqua utile in caso di siccità nell’area di Mukululu, nel Nyambene,
Meru.

«Nel mondo ogni sei secondi muore un bambino
di fame o di sete. Seicento bimbi ogni dieci minuti: un aereo che cade al
suolo. È una cosa che dipende da noi: una distribuzione più giusta delle
risorse.

Poi l’acqua è legata a Gesù: quando dice “avevo
sete”, si riferisce a questo».


UN PO’
COME LA MALARIA

Concludiamo l’intervista chiedendo a don
Mantelli chi glielo fa fare di lavorare con tanta intensità a 68 anni. Lui ride
soione. Negli occhi si accende un guizzo di ironia: «Forse è una malattia, un
po’ come la malaria, che quando ti entra rimane latente… La pensione è come
l’anticamera del Paradiso. “Finalmente, dopo aver lavorato e faticato, sei in
pensione, ti puoi riposare!”, assomiglia a preghiere come: “L’eterno riposo…”.
Che monotonia! Io mi auguro che il Paradiso non sia così. Sarebbe una rottura».
Poi ritornando un po’ più serio, aggiunge: «Quando smetterò di fare spettacoli
mi metterò a scrivere e a leggere… e a pregare. Ho un compagno che si chiama
don Lajolo, anche lui vive come me fuori comunità. Ha messo su tre case per i
tossicodipendenti. Da un anno ha mollato tutto per vivere ad Assisi come un
eremita: la preghiera è la sua vita. Ho pensato che ha fatto bene. Non so, sarà
una mia tentazione…». Il mago Sales nel corso del nostro incontro ha già parlato
della preghiera: «È un punto su cui sto facendo un esame di coscienza» ci ha
detto. «A un certo punto, quando sei sempre in mezzo alla gente, vorresti
chiudere un po’ il sipario». Forse per lui andare in «pensione» sarebbe come
chiudere un’ultima volta il sipario e rimanervi dietro definitivamente. Una
condizione ambivalente: da un lato desiderata, dall’altro temuta, come quando
si cerca la verità su se stessi. «Il backstage è il momento in cui
rifletti! La crisi di molti che fanno rappresentazioni è questa: chiudi il
sipario, e nel backstage cos’hai? Se non si ha qualcosa dentro, come la
preghiera… c’è chi si butta nella droga, nell’alcornol. Dopo gli applausi, arriva
il momento in cui devi fare i conti non con quello che presenti, ma con quello
che sei».

Luca Lorusso

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Luca Lorusso