BENEFICENZA E CARITÀ

Incontrare dei missionari (rari, per grazia di Dio) che, pur avendo
dedicato la loro vita all’Africa fino alla consumazione di tutte le loro forze,
rivelano atteggiamenti di profondo razzismo verso gli africani, mi ha sempre
causato un disagio profondo fin dai tempi in cui ero un giovane studente di
teologia. Non è certo la norma, e non voglio né giudicare né scandalizzare
alcuno, ma proprio non sono mai riuscito a capire come un missionario possa
fare tanto del bene agli altri senza amarli, mantenendo anzi atteggiamenti di
superiorità e quasi di disprezzo. Per «amare gli altri» intendo qui accettarli
e trattarli come uguali a sé, avee stima per quel che sono, credere in loro,
rispettarli anche nella loro diversità.

Il caso di quei
missionari è emblematico. Succede infatti, e più spesso di quanto immaginiamo,
che si aiutino gli altri e si faccia beneficenza e volontariato anche a prezzo
di indicibili sacrifici personali, ma senza mai far scattare quell’extra che è
unico del cristiano: l’accettazione totale dell’altro come fratello o sorella,
anzi di più, come Cristo stesso che mi visita. Finché l’altro rimane “inferiore”
a me, tutto va bene. Non faccio esempi, perché farli è fin troppo facile ma
potrebbe essere fuorviante.

Il dramma, anche di tanti
cristiani, è quello di fare delle opere di bene per obbligo o per abitudine,
come l’elemosina in chiesa. Oppure per commozione. Non c’è niente che faccia
aprire le borse come l’immagine di un bimbo che soffre. Guardate negli occhi la
bimba della copertina, col suo abitino bello arrivato da chissà dove attraverso
il mercato dei vestiti usati, e il fagottino del fratellino addormentato (o
malato) in braccio. Bisogna far qualcosa! …

E qualcosa si fa, anche
tanto. Il volontariato e la solidarietà sono due grandi elementi di speranza in
questa nostra Italia. Però poi si continua a mantenere un atteggiamento
razzista verso gli extracomunitari, a essere pieni di pregiudizi verso quelli
del Sud, a sostenere amministrazioni che discriminano i rom, a votare per un
partito xenofobo, a sostenere l’aborto e il controllo (anzi, più politicamente
corretto, la «pianificazione») delle nascite, ad avere un atteggiamento irresponsabile
verso l’ambiente, e amenità simili… E tutto sembra perfettamente normale.

Ma per un cristiano questo normale non è. Per lui, umanitarismo,
solidarietà, beneficenza, elemosina, volontariato, e quanto altro si voglia
includere, hanno la loro sintesi e radice nella parola chiave «carità», che a
sua volta si coniuga con giustizia e frateità. Invece succede che, come dice
Benedetto XVI nel messaggio per la Quaresima 2013, talvolta «si tende a
circoscrivere il termine “carità” alla solidarietà o al semplice aiuto
umanitario». è lo svilimento – da
noi stessi inconsciamente favorito – di una Parola che invece ha una portata
rivoluzionaria. Ci si accontenta del «fare la carità», invece di vivere nella
Carità, con la Carità e per la Carità, imitando, cioè, Gesù stesso.

Ma la Carità, continua il
messaggio, è «un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore non è
mai “concluso” e completato. Da [esso] deriva per tutti i cristiani […] la
necessità della fede, di quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro
l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo
non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una
conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore. Il
cristiano è una persona conquistata dall’amore di Cristo e perciò, mosso da
questo amore – caritas Christi urget nos (2 Cor 5,14) -, è aperto in
modo profondo e concreto all’amore per il prossimo». «Tutto parte dall’umile
accoglienza della fede (il sapersi amati da Dio), ma deve giungere alla verità
della carità (il saper amare Dio e il prossimo), che rimane per sempre, come compimento
di tutte le virtù (cfr 1 Cor 13,13)». «Carissimi
fratelli e sorelle – conclude il Papa -, in questo tempo di Quaresima, in cui
ci prepariamo a celebrare l’evento della Croce e della Risurrezione, nel quale
l’Amore di Dio ha redento il mondo e illuminato la storia, auguro a tutti voi
di vivere questo tempo prezioso ravvivando la fede in Gesù Cristo, per entrare
nel suo stesso circuito di amore verso il Padre e verso ogni fratello e sorella
che incontriamo nella nostra vita».

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Gigi Anataloni