Acqua e Foreste: la dote di Vientiane

La situazione in Indocina / 2: Laos
Chiuso e
isolato, fino a ieri il Laos era conosciuto soltanto per il conflitto con gli
Stati Uniti. Oggi l’ex regno cerca una sua dimensione internazionale, almeno
nell’ambito indocinese. In tanti se ne fanno paladini, mirando alle sue risorse
(acqua e foreste su tutto). Riuscirà il Laos, paese con molte etnie e un solo
partito, a progredire senza essere schiacciato?

A novembre 2012, tre eventi consecutivi hanno rilanciato
il Laos sulla scena mondiale. Anzi, per diversi aspetti ve lo hanno introdotto,
per la prima volta, con enfasi. I tre eventi sono stati: l’organizzazione
dell’Incontro Asia-Europa (Asia-Europa Meeting, Asem), l’avvio del
percorso finale verso l’accesso all’Organizzazione mondiale del Commercio
(Wto), l’inaugurazione formale dei lavori per la sua prima diga sul Mekong. Tre
eventi interconnessi e, in prospettiva, di grande rilievo.

Dopo 15 anni di percorso burocratico e di lenta
evoluzione, il paese, per molti aspetti ancora chiuso – per scelta e per
necessità – entro confini assediati da potenti e invadenti vicini, ha chiesto
formalmente di entrare nel Wto.

Lo ha fatto nel contesto del 9° Incontro Asia-Europa che
ha portato nella capitale Vientiane 51 paesi partecipanti, inclusi tutti i
membri Ue e Asean (Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico) e i
rappresentanti delle due organizzazioni, oltre a tre nuovi aderenti (Norvegia,
Svizzera e Bangladesh). Al centro dell’incontro – che quest’anno ha avuto come
tema «Amici per la pace partner per la prosperità» – la ricerca di un impegno
comune per superare la crisi del debito, rilanciare l’economia globale e
affrontare le questioni regionali.

L’accesso al Wto, perseguito fino dal 1997, consentirà al
piccolo paese asiatico (236.800 chilometri quadrati) e ai suoi 6,3 milioni di
abitanti di beneficiare di tariffe commerciali ridotte, un bonus per la sua
economia asfittica (il Pil annuale è di soli 8,3 miliardi di dollari). Un
ingresso facilitato, va ricordato, dalla sua condizione di nazione tra le meno
sviluppate. Di fatto il riconoscimento che la strada verso il progresso
economico sarà lunga e con ogni probabilità difficile, disseminata di riforme
del sistema politico e di nuove priorità economiche e sociali. Una strada
contrassegnata – si spera – anche dall’impegno a conservare con cura le proprie
risorse naturali, che al momento costituiscono la sola ricchezza del Laos.

DA LUANG PRABANG  A VIENTIANE

Quattro secoli e mezzo fa, con una mossa
all’apparenza sconsiderata, re Setthathirat fondava l’attuale capitale laotiana
Vientiane. A spingere allora il sovrano ad abbandonare le rive settentrionali
del Mekong e a dare vita a un nuovo centro del suo potere lungo il grande
fiume, fu la minaccia birmana. Oggi sono gli investimenti cinesi, thailandesi,
singaporeani, giapponesi, europei a mettere a rischio l’indipendenza del paese.
Mentre le nuove infrastrutture servono soprattutto agli interessi immediati
degli investitori e delle élite locali legate al partito unico e al vicino
cinese, il reddito complessivo non sembra risentire dei tanti progetti di
origine straniera, e quello pro-capite annuo resta tra i più bassi del
continente e del mondo.

Il Laos da decenni è sotto assedio affinché
il regime che governa con intransigenza da un lato ceda alla democratizzazione,
ai diritti civili e allo sviluppo del paese, dall’altro consenta, sempre
motivato dalle necessità dello «sviluppo» l’intervento massiccio di partner
stranieri. Nel tempo, forse inevitabilmente, l’immensa Cina popolare ha fatto
sentire il suo peso, mettendo via via ai margini il Vietnam, rivale strategico,
e la Thailandia, rivale economico. Oggi il Laos è una specie di protettorato
della Repubblica popolare cinese, invaso dai suoi prodotti a basso prezzo.
Ancor più sottoposto a pressioni insostenibili sulle sue risorse e, alla fine,
sulla sua autonomia. A dare concretezza a tutto ciò anche la serie di quattro
dighe costruite dai cinesi nell’alto corso del Mekong, in territorio cinese,
che influiscono sul corso più meridionale del fiume e sulle popolazioni
rivierasche.

Nonostante gli investimenti massicci, le
prospettive restano incerte per almeno due ragioni: il basso livello di
sviluppo e il costo che le realizzazioni hanno, o avranno, sulla vita delle
popolazioni in un territorio aspro e fragile.

IL PESO (POLITICO)  DEGLI INVESTIMENTI

Paese poco più piccolo dell’Italia, senza
sbocco al mare, ricco di risorse idriche e forestali, dove convivono una grande
varietà di etnie e lingue, il Laos fatica a mantenere autonomia di scelte,
indipendenza economica e ancor più l’identità sopravvissuta all’indipendenza
dalla Francia del 1949, al conflitto più o meno palese con gli Stati Uniti e,
dal 1975, alle contraddizioni del regime comunista. Identificato questo con il partito Pathet Lao,
una realtà fragile, che va lentamente perdendo in autonomia e controllo
ideologico. Crescono gli investimenti cinesi e da Pechino arriva anche il 32
per cento del sostegno internazionale al Laos. Con la costruzione di aree di
sviluppo al confine, ponti, strade e ferrovie, la Cina popolare sta integrando
sempre più le sue regioni meridionali con il vicino, il quale è determinante
anche per i suoi rapporti sempre più stretti con l’Asean.

Ricerca di sviluppo e mantenimento degli
equilibri ecologici, modeità e tradizione nei modi di vita, indipendenza e
sempre maggiore influenza straniera, socialismo e rivendicazioni
democratiche… I dualismi profondi del Laos si estendono anche alle sue due
maggiori città. Indaffarata e modea, con più velleità che eccessi, la
capitale Vientiane si affaccia da una piana polverosa sulla riva del Mekong a
fronteggiare l’ingombrante vicino thailandese. Città di templi e monumenti,
centro di una folta comunità monastica, Luang Prabang è sbocco sul grande fiume
di comunità contadine e tribali, che popolano le valli tra le montagne
ricoperte di foresta. Tra i due estremi, un paese in bilico sul proprio futuro
che a nuove strade di grande comunicazione, agli aeroporti, allo sviluppo della
propria compagnia Lao Aviation, alla costruzione di nuovi ponti sul
Mekong verso la Thailandia e a un network telefonico a banda larga
attivo dal mese scorso affida qualcosa di più che la capacità di essere più
coeso: soprattutto la possibilità di essere anche economicamente più omogeneo e
cornordinato, insieme più aperto e più competitivo verso l’esterno.

MONACI E MONASTERI

Il territorio laotiano costituisce una regione di
transito, non sempre pacifico, di popolazioni. Un passaggio reso possibile da
profonde vallate disposte in direzione Nord-Sud e dai fiumi che permettono un
rapido accesso, almeno nei periodi più propizi alla navigazione, dalla Cina
meridionale alle fertili pianure della Cambogia e della Thailandia. Il continuo
passaggio, e in parte la sedentarizzazione di popolazioni di diversi ceppi
etnici e linguistici, non poteva non lasciare una traccia e, nello stesso
tempo, non poteva non creare una situazione di costante incertezza nella sua
storia tormentata.

I vari regni Thai in Laos, di cui il primo fu fondato nel
1360, ebbero come sfondo regioni poco ospitali, caratterizzate da profonde
valli fluviali, montagne ricoperte di fitte foreste, un territorio
complessivamente povero e difficile da controllare e organizzare. Le popolazioni
Mon (Hmong) soggiogate non avevano saputo o potuto, in un tale contesto,
sviluppare una cultura avanzata, come invece avevano fatto i Mon della Cambogia,
del Siam (Thailandia) e della Birmania (Myanmar). Di conseguenza il passato di
cui i Lao (debitori di molto agli antichi Mon) sono oggi fieri è un passato in
gran parte concesso o imposto loro.

La religione induista non ha lasciato tracce
degne di nota e le tradizioni animiste, per quanto fortemente presenti, sono
inevitabilmente soverchiate dal buddhismo. Quest’ultimo, nella sua versione Hinayana,
giunse dal Siam, senza nulla concedere alla tradizione locale. Introdotto dai
vincitori, venne subito e accettato. In Laos, la scarsità di ritrovamenti
collegabili a una tradizione animista o sciamanica contrasta con la situazione
attuale che vede gli spiriti indissolubilmente connessi alla vita quotidiana.
Questo può dipendere anche dalla difficile individuazione di reperti,
eventualmente esistenti ma disseminati su un territorio montuoso e ricoperto da
un denso manto forestale, oltre che dalla storia complessa e dai frequenti
conflitti.

I gruppi che si rifanno a pratiche di
carattere animistico sono oggi spesso tra gli elementi più deboli delle società
locali, generalmente quelli che hanno meno possibilità di accedere
all’istruzione e che da sempre tramandano tradizioni orali. Di conseguenza,
l’orizzonte religioso e culturale del Laos è buddhista e il buddhismo
costituisce per i laotiani un elemento identitario e, al contempo, l’unica
forza alternativa al potere politico. Ciascun laotiano passa abitualmente un
certo periodo della vita in un monastero come novizio e a questo si aggiunge
l’attaccamento della popolazione alla dottrina del Buddha e il suo sostegno
alle istituzioni buddhiste, che permette di acquisire meriti e proseguire più
spediti sulla via della Liberazione. Ai monaci ci si rivolge per i riti
quotidiani, le occasioni festive e i momenti di passaggio della vita personale
e sociale, ma monasteri e templi sono sottoposti alla benevolenza del governo,
che sovente nella storia recente ha usato le armi della repressione e del
ricatto per tacitae proteste e rivendicazioni.

Stefano
Vecchia

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Stefano Vecchia