Ai lettori
Scrivo queste righe ai primi di giugno, mentre il terremoto in Emilia e dintorni ancora impazza occupando il primo posto nei notiziari e pagine di giornale, tra molta verità e tanta esagerazione. Su La Stampa ho letto (finalmente) l’invito di un giornalista, Michele Brambilla, ad attenersi ai fatti e alla verità. «Basta esagerazioni. Atteniamoci ai fatti. Sono già abbastanza gravi che non c’è bisogno di metterci il carico». Voi mi state leggendo circa un mese dopo. Per allora (lo spero proprio!) la grande voglia di vivere della gente delle zone del terremoto, tra cui abbiamo tantissimi affezionati amici, benefattori e sostenitori delle nostre missioni, avrà avuto la meglio sulla paura e i tremori della terra. Allora, forse, le notizie non saranno più sul disastro ma sulla ricostruzione e la grande dignità e voglia di riscatto di questi nostri fratelli e sorelle. Forse i media avranno perso interesse per le case crollate, i monumenti polverizzati, le formaggerie sventrate e si saranno già buttati su qualche altra voluttuosa notizia.
Intanto, come da copione, un’altra notizia fa da spalla a quella del terremoto: la saga-thriller degli scandali del Vaticano o della Chiesa, dove sulla base di poca verità, il gossip si spreca e si lancia verso vette insuperabili di speculazioni gratuite.
Qui abuso della vostra pazienza per dire che sono stufo della grossolanità dell’informazione che passa in questi giorni, dell’identificazione del Vaticano con la Chiesa (quella con la «C» maiuscola), del tirare ad indovinare informazioni che non ci sono, del vedere il complotto a tutti i costi, del far passare come legittima informazione un libraccio di documenti – di dubbio interesse pubblico – ottenuti in maniera fraudolenta violando un mucchio di leggi ma soprattutto il rispetto per le persone e la giustizia. Lo scrivo: non sono un entusiasta del «sistema vaticano» che spesso mi sembra così distante dalla vita reale della Chiesa. E amo molto questo Papa. Mi guarderei bene, però, dal dire e scrivere che quel che succede in Vaticano è indice della crisi di una Chiesa corrotta e corruttrice, e dall’usare i termini Vaticano e Chiesa come sinonimi.
Grazie a Dio conosco una Chiesa che è ben diversa da quella dipinta dai giornali. L’ho incontrata a Camp Garba, il primo gennaio di quest’anno, celebrando l’eucarestia nel povero asilo di Kiwanja con tanti che avevano perso tutto a causa della violenza. La vedo nella comunità di Toribio, in Colombia, che pian piano ricostruisce la sua parrocchia devastata da una bomba che sa più di narcotraffico che di rivoluzione. È Chiesa in Asha Bibi, la semplice donna cristiana condannata a morte in Pakistan sotto la pretestuosa accusa di blasfemia. È Chiesa in don Ivan, che muore per salvare la sua bandiera, quella statua della Madonna così cara alla sua comunità parrocchiale. È negli occhi limpidi e giorniosi di Sandra che ho confessato pochi giorni fa prima della cresima. È nello sguardo di S&V mentre si dicono di sì per tutta la vita. È nella determinata serenità di Anna che, sapendo di avere pochissimo da vivere, con suo marito prepara in anticipo il suo funerale perché sia una festa e non un mortorio. È nei giovani che si sono incontrati a Madrid con Benedetto XVI e le famiglie che con lui a Milano hanno celebrato la centralità di Gesù nella famiglia di oggi. È quella che nel nord della Nigeria vive sotto le bombe e le minacce. È nel vescovo Pante che in moto percorre le piste della sua vasta diocesi portando riconciliazione tra le tribù. È la Chiesa che celebra l’eucaristia danzando dentro povere capanne di fango e paglia o sotto grandi alberi, più numerosa certamente di quella che frequenta le grandi cattedrali-museo. È la Chiesa viva, fatta di uomini e donne, pur peccatori, che vivono con semplicità e senza ostentazione in questo difficile mondo, pagando di persona, testimoni veri della risurrezione di Gesù.
È questa la Chiesa che amo, di cui il papa è pastore nel nome di Cristo. Di questa Chiesa sono orgoglioso e con questa Chiesa prego perché chi sbaglia si converta, chi comanda lo faccia come colui che serve, chi ha peccato accolga il perdono e diventi capace di ricominciare, con umiltà, anche in Vaticano. Perché quando un cristiano pecca o fa male, che sia io o uno disperso nella foresta o nei meandri dei palazzi del potere, tutti ne soffriamo, come in una famiglia.
Perché siamo Chiesa.
Gigi Anataloni