Colorare di speranza…
Il sostegno a distanza di MCO visto da dentro
Nel numero di giugno abbiamo pubblicato la prima puntata dell’articolo in cui abbiamo descritto che cos’è e come funziona il Sostegno a distanza (SaD), mostrando il suo peso fondamentale nel comporre la cifra annuale che in Italia si destina alla cooperazione e alla solidarietà internazionale.
Abbiamo anche proposto ai lettori una breve panoramica del SaD nel nostro paese dove, accanto a giganti delle adozioni come ActionAid o Avsi, ci sono tante altre associazioni di dimensioni medie e piccole (come quelle che sostengono tanti progetti legati alle missioni della Consolata) e cornordinamenti nazionali come il ForumSad e La Gabbianella che riuniscono molte di queste realtà intorno a una carta dei principi condivisa e a dei criteri di qualità.
Abbiamo, infine, raccontato com’è cambiato il sostegno a distanza nel tempo, anche in seguito agli scandali degli anni Novanta, nell’ottica di garantire maggior trasparenza nei confronti dei donatori e superare alcuni limiti come il talvolta scarso coinvolgimento della comunità nella quale vive il bambino adottato.
Mco gestisce circa 7.000 adozioni a distanza attraverso il suo Ufficio Adozioni dove Antonella Vianzone da 15 anni segue una per una le pratiche e risponde alle richieste dei donatori.
Antonella, com’è nato il programma SaD di Missioni Consolata Onlus?
È nato come una delle attività dell’ufficio cooperazione, aperto nel 1970 da p. Mario Valli, sostituito qualche anno fa da p. Giuseppe Ramponi. Da una fase iniziale, in cui ai missionari che seguivano le adozioni sul campo non erano richieste informazioni particolarmente dettagliate, si è poi passati a una seconda fase, iniziata negli anni Novanta, in cui i donatori hanno cominciato a voler sapere di più dei bambini adottati per seguirli meglio e con maggior frequenza di contatti. Questo cambiamento è coinciso con una riorganizzazione intea, poiché i missionari che non se la sentivano di far fronte a queste nuove richieste hanno preferito rinunciare per evitare figuracce con i donatori. Le primissime adozioni sono state fatte in Kenya e in Etiopia, allargandosi poi agli altri paesi. Oggi abbiamo sostegno a distanza in quasi tutte le presenze Imc in Africa, in Brasile, in Ecuador e in Colombia. Anche la Mongolia dovrebbe entrare a pieno regime nel programma in un prossimo futuro.
Una volta avviato il sostegno a distanza, ci sono tre appuntamenti annuali nei quali il donatore viene contattato: a Natale e Pasqua quando, insieme agli auguri, gli vengono mandate alcune notizie del bambino, e un terzo momento in cui si informa il donatore dei progressi scolastici e della vita quotidiana del bambino in modo più dettagliato. Sono i missionari che si occupano direttamente di scrivere ai donatori in queste occasioni (aggiungendo magari anche la lettera o il disegno fatto dal bambino). In alcuni casi, inviano notizie anche più spesso delle tre volte stabilite. Devo dire che l’impegno paga: più i missionari mandano notizie, più le adozioni che gestiscono tendono ad aumentare. Anche perché spesso i nostri donatori diventano tali grazie al passaparola ed è chiaro che, se un missionario ha fama di essere puntuale e preciso, più persone si fideranno di lui.
In che cosa consiste esattamente il lavoro del tuo ufficio?
Io intervengo innanzitutto nella fase iniziale di molte adozioni, quando i donatori chiamano per avere informazioni preliminari e quando richiediamo ai missionari le garanzie necessarie ad accertarci che rispetteranno le scadenze. Inoltre mi attivo in tutti quei casi in cui, per qualche motivo, il donatore non ha ricevuto le notizie che si aspettava e chiama il mio ufficio segnalandomi il disguido. In ufficio conservo le schede e le foto di ciascun bambino perciò posso rapidamente risalire al missionario responsabile, capire le cause del ritardo e riferire al donatore.
Quante chiamate ricevi in una giornata?
Di solito sono circa dieci, che aumentano specialmente durante le feste di Natale, momento nel quale riceviamo più richieste di adozione rispetto agli altri mesi. C’è un rapporto umano costante con i donatori, che attribuiscono molta importanza al fatto di poter sentire una voce e non solo ricevere lettere e email. A volte alcuni chiamano anche solo per fare una chiacchierata… Forse questo è il nostro principale valore aggiunto: la presenza di un punto di riferimento, qualcuno che si può chiamare o anche vedere di persona, tanti donatori vengono qui in ufficio proprio per poter parlare con una persona reale.
Come hai visto cambiare il sostegno a distanza in questi vent’anni?
Alcune cose non sono cambiate molto, ad esempio la preferenza delle persone per l’adozione individuale e non per un gruppo: vogliono avere la percezione chiara che stanno aiutando un bambino preciso e seguirlo passo passo. Sta cambiando invece l’età dei donatori. Oggi ci sono più giovani che nel passato e questo è rivelatore di una positiva mentalità di solidarietà. Immutati sono la volontà e il desiderio di fare del bene.
Puoi tracciare un «identikit» del donatore?
Non c’è un profilo che valga per tutti. Ci sono persone che arrivano all’adozione dopo un’esperienza personale dolorosa. Allora l’adozione diventa un modo positivo di reagire al dolore vissuto, donandosi a qualcuno nel bisogno. Ci sono delle famiglie che la vivono come momento educativo nei confronti dei propri figli per aiutarli alla sobrietà e condivisione e per insegnare loro il rispetto di altri popoli e culture. Molti sono anche i benefattori anziani che così si sentono ancora utili. Ci sono anche molte scuole che promuovono adozioni per stimolare i bambini all’accoglienza del lontano e alla solidarietà con i poveri del mondo. Ci sono poi donatori che hanno richieste molto particolari e altri che semplicemente dicono di «dare a chi ha più bisogno».
Ci sono richieste difficili da soddisfare?
Sì, ci sono richieste impossibili. A volte – anche se raramente – qualcuno chiede che il bambino abbia certe caratteristiche specifiche come un certo nome o una ben precisa data di nascita. Ovviamente è quasi impossibile esaudire simili desideri. Succede anche che qualcuno mi chiami per avere informazioni su un bambino adottato trent’anni fa in una missione che è già stata consegnata al clero diocesano o al tempo di un padre che magari è già andato in paradiso. Allora devo spiegare che normalmente si seguono i ragazzi fino ai 17-18 anni, alla fine della scuola secondaria o della scuola tecnica, dopo di che diventa quasi impossibile mantenere traccia del bambino ormai cresciuto che può anche essersi trasferito in un’altra parte del paese.
Quali sono le difficoltà principali?
Le difficoltà? Beh, tante, certamente. C’è chi fa una donazione attraverso un conto corrente, senza scrivere il proprio indirizzo e poi chiama prendendomi a «male parole» perché ha fatto la donazione e non ha saputo più niente… Ma noi non avevamo proprio idea di come fare a mandare una ricevuta o una lettera di conferma. C’è chi vorrebbe notizie più regolari dell’adottato, ma il missionario non scrive molto, non manda foto o lettere. Allora è difficile spiegare che bisogna aver pazienza, che probabilmente quel missionario è preso da tanti impegni, che ci sono oggettive difficoltà di comunicazione, che ci sono missionari che scrivono solo a Natale e raramente a Pasqua, ma che comunque si prendono cura dei bambini, li seguono a scuola e fanno tutto il necessario. Spesso mi capita di dover fare l’avvocato difensore dei missionari. Ti assicuro che alcuni dei missionari fanno perdere la pazienza anche a me. So bene che tutto quello che ricevono va per i loro beneficati, ma se scrivessero qualche volta di più, faciliterebbero certamente il mio servizio.
Trovo anche difficile far capire ai donatori la scelta di alcuni missionari di «adottare» una scuola invece che singoli individui. È una scelta che viene fatta da alcuni soprattutto quando tutto il contesto sociale è molto povero e tutti i bambini hanno bisogno di aiuto. Ma dal punto di vista delle pubbliche relazioni è più difficile da spiegare, perché molti benefattori preferiscono adozioni individuali.
Oltre a queste difficoltà ci
saranno anche tante soddisfazioni…
Certo, assolutamente. A volte qualcuno chiama e dice: «Sai, stavo male, ero proprio abbattuto, ma poi è arrivata la lettera del bambino che ho adottato e mi sono sentito meglio». Oppure quando un missionario passa a visitarmi in ufficio e mi racconta di questo e di quello e di come sono aiutati i bambini e dei loro progressi. Entusiasma anche me a continuare il questo servizio.
Ci sono state disdette di adozioni a causa della crisi economica?
Sembra incredibile, ma abbiamo avuto solo due disdette in due anni… praticamente niente. Anzi, stanno perfino arrivando nuove adozioni. Pensa che ci sono persone che pur avendo perso il lavoro continuano a sostenere il bambino, magari sacrificando altre spese.
Che consiglio daresti a qualcuno che vuole fare un’adozione a distanza?
Consiglierei di vivere l’adozione come un’esperienza in cui si impara a aprire gli occhi sul mondo, senza voler nulla in cambio, di vedere il sostegno a distanza non come carità ma come uno scambio in cui si ha l’occasione di conoscere, oltreché di aiutare, un’altra persona e il luogo dove vive. Penso che il tutto possa essere riassunto davvero in questa frase: «Colora di speranza la vita di un bambino»!
Chiara Giovetti