CinéLatino festival della speranza
Tolosa: festival del cinema latinoamericano senza pailettes e tappeti rossi
CinéLatino: è il nome dei Rencontres de Toulouse, un Festival dedicato al cinema latinoamericano, giunto alla ventiquattresima edizione, che ha avuto luogo nell’antica città francese tra il 23 marzo e il primo aprile scorsi.
Tolosa è la quarta città francese per numero di abitanti (450.000), posta ai piedi dei Pirenei nell’Alta Garonna e capitale culturale dell’antica Occitania.
Sede fin dall’inizio del 1200 di Università, è attualmente il secondo polo universitario francese, con quasi 100.000 (!) studenti e quattro facoltà.
Il centro storico è ben conservato, parzialmente pedonale, ricco di stradine con palazzi storici e chiese, ma anche di bar, ristoranti, birrerie, bistrots molto frequentati a tutte le ore.
Una città giovane, vivace, piena d’iniziative, con centri culturali, cinema e teatri, biblioteche, librerie (attraversando il centro ho contato 8 librerie e 5 bancomat: nelle nostre città possiamo contare 30 bancomat e 2 librerie…).
Il Festival non è solamente proiezione di lungometraggi, documentari o cortometraggi (le tre sezioni nelle quali è articolato), ma occasione d’incontri con i realizzatori e i registi, per il pubblico professionale, per gli amanti della cultura latinoamericana con retrospettive, concerti, mostre ed esposizioni.
Il comitato organizzatore ha selezionato, tra le circa 400 opere pervenute, 14 film, 7 documentari e 10 cortometraggi ponendoli all’attenzione delle Giurie.
Una prima, ufficiale, affiancata da altra Giuria di esperti locali, da una di studenti e da quella internazionale di Signis (Associazione cattolica mondiale per la comunicazione che riunisce professionisti di radio, televisione, cinema, video, educazione ai media, Inteet e nuove tecnologie, riconosciuta dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali).
I lavori presentati, tutti provenienti dal Centro e Sud America, hanno rivelato caratteristiche comuni.
In modo particolare i documentari e i cortometraggi (sui quali era chiamata a esprimere la valutazione la Giuria Signis) sono stati caratterizzati da un ritmo di racconto molto più lento e descrittivo di come siamo abituati nella nostra frenetica Europa. Una buona fotografia è una seconda caratteristica comune, anche se alcuni documentari e cortometraggi sono farciti d’immagini in soggettiva, un po’ traballanti perché girate senza l’uso del cavalletto. Scenari incantevoli, immersi nella natura e ricchi di tradizioni, di animali, di particolari e primi piani sui quali la telecamera indugia e descrive.
Le tematiche affrontate, salvo rare eccezioni, erano quelle dell’integrazione in nuove società, del recupero delle tradizioni familiari e sociali, del dialogo tra generazioni.
Non esiste più, in questa scuola di cinema, la classica figura del narratore: lo spettatore scopre la storia attraverso le immagini – un poco alla volta – arrivando al finale che spesso è lasciato «aperto» ad interpretazioni personali, in genere ottimistiche e rievocatrici di speranze.
Le musiche non sono prevalenti, ma intervallate a silenzi o suoni d’ambiente, e sono curate e composte appositamente.
Nel corso di un incontro con i giovani registi, si è parlato dell’evoluzione del concetto di documentario, a volte «contaminato» da fiction, dallo stile del reportage o dell’inchiesta.
La Giuria Signis, composta da Maria Teresa Teramo – insegnante all’Università di Buenos Aires -, Martine Liabeuf – ex insegnante di Lione -, e fra Mario Durando – presidente della giuria e responsabile della Nova-T produzioni multimediali di Torino -, si è confrontata a lungo, valutando sia la qualità tecnica che il valore del contenuto e del messaggio ed ha premiato il documentario «Canicula» del messicano José Alvarez.
La scelta è stata motivata per la qualità della fotografia, delle musiche e dei silenzi, per la poesia del racconto che invita a riflettere sul rispetto e l’amore alla natura, per il racconto degli antichi miti e dei riti religiosi, immersi in un simbolismo universale.
In Canicula il regista conduce lo spettatore in un villaggio degli indiani Totonac a Veracruz, in Messico. Nella foresta di montagna, dove gli abitanti creano ceramiche superbe, decorate con delicati disegni provenienti dall’antichità, la vita scorre tra la natura e gli animali.
I ragazzi, in un antico rito iniziatico denso di simboli, spiritualità ed eleganza, imparano a volare e a diventare «Voladores de Papantla» tramandando cultura e tradizioni antichissime.
Per la sezione dei cortometraggi, la scelta si è orientata su Kyaka La Na (La lana rossa) della colombiana Adriana Cepeda, che attualmente vive negli Stati Uniti.
è la storia di una ragazza orfana, ospite con la sorellina della nonna, a New York. La differenza di età e cultura, l’illusione di una modeità capace di far dimenticare sentimenti e tradizioni si scontrano con il desiderio della nonna d’insegnare i lavori tradizionali e tornare nella propria cultura. Finché la ragazza si accorge di quanto sta perdendo e… finale aperto all’interpretazione dello spettatore. L’ultima scena, infatti, nella sua serenità fa comprendere una riconciliazione interiore che potrebbe portare a qualsiasi scelta di vita.
Il corto, di buona qualità tecnica e artistica, è stato segnalato dalla Giuria Signis per la narrazione sui temi dell’immigrazione, dell’integrazione, della riappropriazione della propria identità delle origini, per il valore della famiglia e del rispetto e accompagnamento nelle scelte personali.
Un plauso al centinaio di volontari (tutti giovani, studenti o ex studenti) che si sono prodigati nell’accogliere, accompagnare, organizzare un festival definito non di pailettes o tappeti rossi, ma di cultura e accoglienza.
Mario Durando