Cari missionari

ATTENTATI CONTRO I CRISTIANI IN NIGERIA E KENYA
Sono un’illusa?

Carissimo Direttore,
vorrei poterti scrivere in occasioni meno tragiche, ma i recenti fatti in Kenya, Nigeria e Mozambico mi hanno molto rattristato ed indignato. Mi ha colpito anche la quasi indifferenza dei media, che in altri casi avrebbero suscitato un vespaio di reazioni e di discussioni.
Solo nel quotidiano Avvenire ho trovato ampi e dettagliati servizi per cui mi sono sentita in dovere di scrivere una lettera che il Direttore ha pubblicato ieri nella rubrica delle «Lettere dei lettori».
Te l’allego. Dentro c’è tutto il mio sdegno ma anche la speranza che la gente possa capire, riflettere, risvegliarsi.
Sono un’illusa?

Grazie e … un minuto di silenzio!
Grazie «Avvenire», grazie per aver dedicato ampio spazio alle notizie e al commento degli attentati ai cristiani in Nigeria e in Kenya.
Grazie per il tentativo di risvegliare i lettori chiusi nell’immobilismo dei loro piccoli interessi, nel circolo vizioso delle vicende economiche a cui gli stati europei cercano invano di dare una soluzione quando sarebbe bastato, negli scorsi anni, non vivere al ritmo delle cicale, illudendosi di abitare nel paese di Bengodi mentre il terzo mondo arrancava, si arrabattava per sopravvivere, si affannava a chiedere visibilità ed aiuto ai gaudenti occidentali che esibivano dagli schermi televisivi il loro benessere di fronte a coloro che non potevano che raccogliee le briciole. Grazie per l’analisi seria ed impietosa delle motivazioni ideologiche ed economiche e delle cause pregresse.Grazie anche per le immagini, volutamente a colori perché meglio risaltassero le devastazioni, il sangue, il pianto delle vittime.
Ormai siamo diventati degli spettatori annoiati che solo immagini forti possono ridestare.
Fateci emozionare, fateci riflettere, fateci piangere con quelli che piangono a causa di un’insulsa violenza. Usate parole forti per farci capire l’ingiustizia di una libertà violata, di un diritto calpestato.
Amo l’Africa e mi sento particolarmente vicina agli stati del centro Africa, a questi popoli che chiedono acqua, istruzione, lavoro,che sanno pregare con spontaneità nelle loro chiese con i loro canti e le danze pittoresche.
Nella grande Chiesa della Consolata di Nairobi, nella cappella del SS. Sacramento gente di ogni ceto e di ogni età si alterna 24 ore su 24 nella preghiera di adorazione.
Una presenza continua e silenziosa. Forse anche noi dovremmo arrestarci e dedicare qualche minuto di silenzio a questi morti innocenti, nostri fratelli d’Africa che la Morte, per mano di estremisti fanatici, si è portati via in luoghi simbolo: una chiesa e un’università, luoghi da dove inizia il riscatto dalla povertà attraverso il contatto con Dio e il cammino della Conoscenza.
Giulia Borroni Cagelli
Via email, 06/05/2012

Cara Signora Giulia, innamorata dell’Africa, grazie per le tue parole scritte col cuore.
L’argomento che tocchi è molto delicato perché davvero ci si abitua ai disastri, ai drammi, alla sofferenza. Per restare ai fatti che citi, un missionario ha scritto dal Kenya che ha «saputo dell’attentato alla chiesa di una piccola “setta” protestanta da amici in Italia. A Nairobi, i problemi del vivere quotidiano sono molti e in una città di oltre 5 milioni di abitanti, anche piuttosto violenta, un morto non fa molta notizia». Un altro missionario, quando gli ho chiesto dei 3.000 e più sfollati di Camp Garba (di cui ho parlato nell’editoriale del mese scorso) mi ha detto che lui non ne sapeva niente, anche perché le situazioni di violenza lassù, nelle zone del nord e verso la Somalia, sono talmente tante da non far più notizia.
In Mozambico è stato necessario che ci scappasse il morto, p. Valentin Camale (MC 5/2012, p. 7), perché i religiosi che vivono a Maputo si svegliassero e trovassero il coraggio di denunciare la situazione di insicurezza cronica in cui vivono da mesi e coinvolgessero i vescovi nel fare una protesta ufficiale.
I missionari non sono molto capaci di denunciare violenze, ingiustizie e sopraffazioni. E quando lo fanno, si sentono a disagio, perché non amano apparire. Loro ci vivono dentro, insieme alla loro gente, condividendone anche il silenzio impotente e la fede grande. Vista poi l’inutilità di gridare per l’aiuto dei potenti, troppo indaffarati con le loro crisi fatte e disfatte sulla pelle dei poveri, forse l’unica cosa che rimane da fare è pregare, almeno quello cambia di sicuro in positivo il cuore di chi prega.

RICORDANDO SUOR AGNESE BEGLIATTI
Ci sono momenti di grande prova e di grande angustia in cui affronti il dolore per la perdita di una persona cara, momenti in cui ti lasci andare e ti lasci invadere dallo sconforto e dalla tristezza, ma che ti portano a parlare con Cristo, con Colui che per amore si è portato sulla croce tutti i peccati del mondo.
Stamane (18/4/2012) ho avuto la triste notizia della morte di suor Agnese Begliatti, conosciuta come sr. Costantina, missionaria della Consolata. Ho provato uno strappo emotivo di rara intensità e tanti pensieri hanno affollato la mia mente, riportandomi ad un periodo della vita incancellabile.
Di suor Agnese non dimenticherò mai l’entusiasmo, il dinamismo a fin di bene, la grande carica umana e simpatia, ma soprattutto la forte fede in Dio, la fede dei semplici.
Con lei e suor Clarenzia, Natalina e Franca, quando prestavano la loro opera alla clinica Solatrix di Rovereto, dove era ricoverata in agonia mia moglie Serenella, ho condiviso fede, preghiera e speranza. Sì, la fiducia illimitata in Cristo ha caratterizzato la nostra amicizia, quella fede che supera la ragione ed ogni barriera umana e che ci mette in rapporto con Dio, che consola, che da gioia e speranza, infine ci salva. Il Signore ci conduce con la Sua luce, ci genera ad una vita nuova e ci insegna che con la morte nulla è finito, anzi… l’amore di Gesù si è rivelato più forte della morte!
Gli uomini privi di fede affidano ogni evento al caso, alla fortuna o viceversa. L’uomo di fede, invece, è convinto di come il caso sia nient’altro che lo pseudonimo con cui si firma Dio! Tutto accade per un disegno immenso che soltanto con la vita oltre la morte si può capire.
Chi crede in Lui, lo ringrazia per tutte le cose buone della sua esistenza!
Davvero notevole la lezione di fede e di vita che ci ha regalato suor Agnese!
Eppure, tanti anni fa non volevo proprio sapee di Lui…

Gennaio 1989
“E Dio?”. La mia risposta immediata: “Non ne ho assolutamente bisogno”.
Mi sarebbe piaciuto che esistesse, ma se ci fosse stato non sarebbe stato di sicuro di questo mondo. Ero convinto che i problemi potessero essere risolti con la volontà e con il coraggio senza l’intervento di nessuno. Per di più, le religioni erano state artefici dei più grandi conflitti. In nome di Dio si erano compiuti i più crudeli massacri e i preti erano persone fuori dal tempo che vivevano in un mondo tutto loro, spesso mi erano insopportabili.
Io credevo che ogni essere vivente dovesse godere dei propri spazi di libertà, essere autonomo, capace di tutto e padrone assoluto della propria vita.  
Spesso mi trovavo in contrapposizione con pensieri diversi, con chi pensava che l’uomo avesse nel profondo di sé un innato desiderio del ‘divino’, perché è bello pensare che continueremo ad esistere oltre la morte e che c’è qualcuno che ci protegge e ci ama. Ma io non ne avevo proprio bisogno, non cercavo una vita di speranza, tanto meno rincorrevo un percorso di immenso amore, ma soltanto forti emozioni. Tuttavia, ero sensibile al dolore degli altri e sentivo forte il desiderio della solidarietà. La mia vita era passione. Mi fidavo della gente, amavo l’umanità e chi camminava con me; amavo aiutare il mio prossimo e non per il Paradiso, ma soltanto perché era giusto farlo. Tuttavia, mi domandavo se chi credeva in Dio non lo facesse solo perché ne aveva bisogno ma sentisse qualcosa che a me sfuggiva.
Un giorno incontrai Serenella e ci sposammo. Lei aveva una grande fede. Non potevo fare a meno di osservarla quando, raccolta nell’angolo più intimo della casa, volgeva una mano in alto. Mi colpiva l’intimità con il suo Dio, traspariva con intensità e sentimento, attraverso gesti impercettibili. Era come se stesse semplicemente parlando e comunicando con qualcuno realmente presente.
Nonostante ciò il mio modo di vedere e giudicare le cose era lontano dal suo, continuavo a vivere con le mie idee ed opinioni.

Febbraio 1989
… E giunsero anche per me i così detti anni che nessuno vorrebbe mai vivere: mia moglie, nel periodo più bello della gravidanza, si ammalò e di un male incurabile.
La sofferenza la senti solo quando la provi sulla pelle e ti sconvolge, si impossessa di te e della persona che ami. Per la prima volta mi resi conto che forse l’unica possibilità che avevo per salvare mia moglie era quella di rivolgermi a quel Dio che avevo sempre rifiutato.
La grande spiritualità di mia moglie, mi portò a pensare a Cristo, venuto per annientare tutte le barriere, un Dio fatto uomo per abbracciare i lebbrosi. Un Dio degli ultimi, che non chiede la nostra purezza per avvicinarsi e tanto meno la nostra rettitudine, ma soltanto la nostra umiltà, le nostre povertà, i nostri peccati. Ed è nell’umiltà che Lui manifesta la Sua potenza. Inspiegabilmente cominciai a sentire dentro qualcosa, avevo la sensazione che ci fosse qualcuno che ci guidava, ma soprattutto che ci consolava ed aiutava, insomma non eravamo più soli!

Per un grande miracolo nacque Chiara.
Con la nostra piccola accanto, ritoò la luce abbagliante di un mattino fresco e luminoso, il buio pesto dei giorni precedenti sembrava un lontano ricordo. Così, tutti e tre cominciammo a frequentare dei luoghi dove si erano verificati eventi, grazie e guarigioni prodigiose. Stavamo facendo un cammino spirituale, con un Cristo che ci conosceva e ci amava tanto, che si era fatto uomo per noi. Gesù che a tutt’oggi tocca gli ammalati.
In quel periodo conobbi suor Agnese: una persona speciale, un’amica umile, buona, leale e generosa, che non mi ha chiesto nulla, ma dato tanto.
è per me difficile descrivere i momenti tanto intensi condivisi con lei: tanti gli incontri in sana allegria,  altrettanti quelli di preghiera, i pellegrinaggi, l’ultimo lo scorso anno a Medjugorje. Non dimenticherò mai più la sua testimonianza sul pulmann, quando ha raccontato di Serenella, di Chiara e di me. Tanto meno mi rimarrà fisso nella mente l’espressione del suo volto al ritorno della via Crucis sul Krisevac, dopo una discesa avventurosa lungo un ripido sentirnerino tra piante e salti rocciosi. Mi ha commosso ed emozionato vederla stanchissima alla base della collina, ma tanto felice. Sono convinto che proprio la Regina della pace l’abbia voluta con sé in Paradiso.
Mi ritornano altri ricordi, sensazioni, emozioni, e il mio cuore si fa triste. Tuttavia, la fede mi sussurra che suor Agnese è in Paradiso, ha soltanto cambiato vestito e ancora mi aiuterà, ancora mi guiderà e mi amerà. Ancora ci benedirà e ci indicherà un cammino che termina nel cuore di un Dio papà, perché lei è nello Spirito e lo Spirito di Dio è ovunque!
Grazie di cuore suor Agnese per la tua amicizia
Giuliano Stenghel (Sten)
Via email 25/04/12

Occhi e cuore
Sono molto devota alla Madonna Consolata e mi rincresce molto di dovervi pregare di non inviarmi più la rivista missionaria. Il motivo è che non posso più leggerla. Ho perso la vista all’occhio sinistro per la macula, malattia inguaribile, non ci sono rimedi né con farmaci né chirurgici. Con un occhio solo, anche un po’ malato, mi stanco e devo smettere. Siamo in tempo di crisi, tutto costa caro e sprecare la rivista mi rincresce. Se volete farla avere a qualche persona sola, la gradirà certamente. L’offerta per i missionari ve la farò sempre avere. Pregate per me la Madonna Consolata, perché mi aiuti e mi sostenga a sopportare questi momenti difficilissimi
Maddalena A.
Villafranca, 20/04/2012

Gentile Signora Maddalena, grazie per le sue delicate parole che ci fanno bene. L’affetto e il rammarico che le sue parole rivelano ci compensano ampiamente di altre parol(acc)e che invece ci feriscono. Non è raro che nipoti o figli mandino messaggi irritati e scortesi per disdire la rivista che un loro genitore – già sincero amico delle missioni della Consolata – ha ricevuto per anni con «devozione». Anche a loro rispondiamo ringraziando per la segnalazione. Ovviamente ci dispiacerebbe di più se la rivista fosse semplicemente cestinata, anche se nel bidone della carta da riciclare. Grazie a lei, allora e tanti auguri e benedizioni nel Signore. Sono sicuro che la Madonna Consolata avrà un occhio di riguardo per lei.

Ricordando
P. Peppino
è passata da poco la Pasqua ed è un’ottima occasione per ricordare padre Peppino Maggioni (1934 Ceusco Montevecchia, Como – 29/7/2009 Alpignano, Torino) che quasi tre anni fa è «andato a stare meglio» (come ultimamente diceva, durante la sua malattia).
La sua figura piena di vita è impressa in modo indelebile nella nostra memoria, lo vediamo ancora vigoroso, instancabile, nelle missioni del Meru dove abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo.
Eravamo una ventina di giovani (…allora), inesperti in quasi tutto – figuriamoci dell’Africa – ma con il suo fare apparentemente burbero, Peppino ci trasmetteva sicurezza. Alla sera, alla fioca luce del generatore, dopo una giornata di lavoro, trovava ancora l’energia per raccontarci le sue esperienze e con dispiacere arrivava l’ora di andare a dormire.
Ricordiamo con nostalgia le messe domenicali celebrate spesso all’aperto, all’ombra di un grande albero (chiamato albero sacro da quelle parti) e della durata media di tre ore! I canti, le danze e soprattutto le omelie di Peppino in lingua locale. Quando lui parlava pareva che il tempo si fermasse: lo spazio si dilatava e tutti ascoltavano interessati senza fatica e senza segni di impazienza. Ci sentivamo, neri e bianchi insieme, parte di una stessa famiglia, a condividere un’unica esperienza.
Il trascorrere degli anni ci ha consentito di conoscere meglio Peppino, ma mai di capirlo fino in fondo – perché ci riservava sempre qualche bella sorpresa. Ci sembra ancora di vederlo venirci incontro ad Alpignano con il suo passo affaticato, ma sempre sorridente, pronto ad ascoltare ed incoraggiare.
Dopo la sua morte il gruppo dei Chukini (così ci battezzò nel 1982 al nostro primo incontro a Chuka) si è rinsaldato, cerchiamo di realizzare qualche piccolissima iniziativa per essere  d’aiuto ad altri missionari e ogni anno a settembre ci ritroviamo in corso Ferrucci per una messa che dedichiamo a Peppino.
Non è una messa per un morto, siamo sicuri che Peppino è più vivo che mai e con la messa vogliamo incontrarlo, ringraziarlo ed ascoltarlo perché lui continua a parlarci del suo amore per Gesù e per gli uomini e a suggerirci che è questa l’unica strada per vivere!
Ciao Peppino.
Roberto Rivelli e gli amici di p. Peppino di Torino

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