L’ombra dei Ton Ton Macoute

Tra corruzione, paramilitari e assenza del governo

«Sono stati fatti dei passi avanti, ma siamo preoccupati perché ci sono molti segni di ante 1986». Suzy Castor, storica, politica e attivista dei diritti umani, ricorda l’anno in cui fu rovesciato Duvalier, ma non sconfitto il duvalierismo.
«La transizione è lunga (dalla dittatura alla democrazia, ndr.), ma le conquiste democratiche, pur essendo solide, non sono irreversibili. Affinché lo siano occorrerebbero istituzioni forti, partiti politici forti e società civile forte». Nulla di questo è una realtà nell’Haiti di oggi, dove si assiste invece a «una de-istituzionalizzazione del paese» ricorda Castor.
Si riferisce, tra l’altro, a un fenomeno allarmante apparso a inizio 2012: la nascita di un sedicente movimento degli ex militari delle Forze Armate d’Haiti (Fadh), smantellate dal presidente Aristide all’inizio del 1995.
Negli ultimi mesi uomini in uniforme, armati e foiti di camionette hanno occupato edifici pubblici e strutture della polizia. A partire dalla loro base principale a Carrefour, comune nei pressi di Port-au-Prince, si sono poi mostrati in diverse località del paese. Il 17 aprile hanno fatto irruzione nel cortile della Camera dei deputati, dove una sessione era in corso, con lo scopo – sostenevano – di presentare le loro rimostranze per la rifondazione dell’esercito. Il presidente della camera, Lévaillant Louis Jeaune, ha subito sospeso i lavori.
Di fatto, molti di questi uomini sono giovani e non possono quindi essere ex militari. Si tratta di una forza paramilitare, di miliziani che non sono per nulla, o quasi, ostacolati dalle istituzioni.
«L’esercito è contemplato dalla Costituzione – ricorda Suzy Castor – e gli ex militari hanno sempre cercato di ricrearlo. Oggi il clima è loro favorevole, in quanto il presidente Martelly ha fatto della rifondazione delle Fadh uno dei suoi punti del programma di governo».
L’intervento in parlamento è stato condannato ufficialmente dal portavoce della presidenza e dal governo, ma di fatto poche azioni sono state intraprese.

Ma dove sono finiti i fondi governativi per la ricostruzione? «Credo che la ricostruzione sia partita male dall’inizio; l’organismo creato a tal fine non era adeguato». Il regista Aold Antonin parla della Commissione ad interim per la ricostruzione di Haiti, il cui mandato è cessato il 15 ottobre scorso e non è stato rinnovato. «Occorreva togliere la ricostruzione dall’influenza delle lotte di potere haitiane e dal clientelismo. Doveva essere un organismo nazionale, non straniero. Ma soprattutto fare contratti da 10 milioni di dollari senza gara d’appalto è stata una enorme fonte di corruzione».
Degli 11 miliardi promessi dai donatori ufficiali, ne sono stati versati 3,5. Poi tutto è stato bloccato. Nessun impatto si è visto, nessuna pianificazione generale, «nessun piano di sistemazione del territorio – continua Antonin – o di intervento nelle altre città per decentrare i servizi».
Riassume in modo sintetico padre William Smarth, 81 anni e colonna morale del paese: «Grande delusione: no ricostruzione, no decentramento, no lavoro. Si continua ad attirare gente in capitale».

Intanto la politica haitiana è di nuovo bloccata. Il presidente–cantante Michel Martelly è riuscito a ottenere le dimissioni del suo primo ministro Garry Conille il 27 febbraio scorso. Conille spingeva affinché si risolvesse la questione della nazionalità del presidente (la Costituzione haitiana prevede che non possa avee altre, mentre Martelly è sotto inchiesta per sospetto di avere nazionalità statunitense e italiana). Soprattutto aveva creato una commissione di verifica per i lavori da 300 milioni di dollari per la ricostruzione che sotto l’amministrazione congiunta Bellerive (precedente premier) – Martelly erano «scomparsi» nella Repubblica Dominicana.
Il nuovo primo ministro designato, Laurent Lamothe, uomo d’affari e attuale ministro degli esteri, è (al momento in cui si scrive) nel processo di ratificazione in parlamento.
Il blocco degli aiuti governativi (da notare che si tratta di un canale diverso da quelli raccolti nei vari paesi del mondo e poi utilizzati da missionari ed Ong) è quindi in gran parte dovuta all’incertezza politica che regna nel paese, alla mancanza di un organismo di gestione e controllo e, non ultimo, all’attuale assenza di un governo con pieni poteri.

Marco Bello

Marco Bello

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