I missionari della Consolata nell’Africa equatoriale
110 anni fa: l’inizio di una bellissima avventura
L’8 maggio 1902, dalla stazione di Porta Nuova a Torino i primi 4 missionari della Consolata prendono il treno delle 9.45 per Marsiglia, da dove il 10 si imbarcano per Zanzibar sbarcandovi il 28. Da qui il 5 giugno si trasferiscono a Mombasa e il 12 raggiungono Nairobi in treno con un viaggio di 24 ore. Il 20 giugno, ancora in treno, si trasferiscono a Naivasha, da dove partono in carovana per Tuthu il 26 mattina arrivandovi il 28 sera. Il 29 giugno 1902 celebrano la prima messa nel villaggio di Karoli.
«Due volte già su questo periodico abbiam fatto parola del nuovo Istituto della Consolata per le missioni estere. La prima nel novembre 1900, annunziandone l’erezione, fatta dal Rettore della Consolata, con l’approvazione, encomio ed appoggio degli E.mi Arcivescovi e Vescovi delle provincie ecclesiastiche di Torino e Vercelli. La seconda nel luglio del 1901, quando fu benedetta ed aperta al pubblico la cappella dell’Istituto in Torino, Corso Duca di Genova, n. 49.
Dicevamo allora che il primo campo apostolico assegnato ai nuovi missionari erano i popoli Galla, abitanti a sud dell’Abissinia sin presso le rive del fiume Tana. Per riuscir in quest’opera d’evangelizzazione si studiarono due progetti. Quello d’andar difilato dalla costa fino a queste località ed ivi stabilirsi, e quello d’un avanzamento graduale, fermandosi dapprima in qualche regione confinante coi Galla, ma meno lontana dalle comunicazioni col mondo civile, e di qui avanzarsi più tardi passo passo sino ai paesi Galla. Il primo progetto, se per qualche lato pareva attuabile, presentava pure gravi difficoltà. Occorrevano mesi di viaggio in carovana, attraverso a località malsanissime, tra popoli selvaggi e ladroni e, dopo tutto, colla prospettiva di non potervi forse arrivare, come successe a parecchie spedizioni depredate e massacrate dagli indigeni. Nondimeno, fermi nell’idea di tentare l’impresa, si fecero molte pratiche per aver informazioni, appoggi e difesa a tale intento: pratiche assai lunghe e laboriose e che non furono scevre di penose delusioni.
Gravi ragioni militavano invece a favore del secondo progetto, per cui già si propendeva ad adottarlo, quando sopravvennero difficoltà politiche, che sarebbe troppo lungo enumerare, ma che assolutamente obbligarono a questa scelta.
Fra le regioni poi che presentavano maggiore convenienza per un futuro avanzamento verso i Galla, la più indicata era il Kikùju, a sud-ovest del monte Kenia, massime perché facilmente accessibile mediante la nuova ferrovia dell’Uganda, aperta soltanto nello scorso marzo, e perché località sana e di belle speranze, come si vedrà dalla descrizione che ne faremo in seguito.
I necessari accordi col Rev.mo Vicario Apostolico di Zanzibar, Mons.
Allgeyer, dal quale dipende il Kikùju, furono facilitati assai dall’opera intelligente e delicata del R(egio). Console italiano a Zanzibar, cav. Giulio Pestalozza, al quale ripetiamo qui l’espressione della nostra profonda riconoscenza, ed auguriamo e preghiamo dalla Consolata degno compenso di celesti benedizioni. Pei buoni uffici di questo egregio funzionario, S. E. Mons. Allgeyer fu così ben disposto verso i nostri missionari, che non solo acconsentì loro di stabilirsi nel Kikùju, ma, come diremo innanzi, volle con grave suo disagio, accompagnarli egli stesso fino al posto della loro prima missione, istruendoli su quanto potesse giovare per la buona riuscita dell’opera. La carità apostolica e la sollecitudine patea, dimostrate verso i nostri da questo piissimo e zelante Vícario Apostolico, sono superiori ad ogni elogio, e noi segnaliamo il venerando Prelato all’ammirazione ed alla riconoscenza dei divoti della Consolata, acciò lo sostengano colle loro orazioni per la prosperità della sua persona e la riuscita delle sue opere apostoliche.
Fissata per tal modo la località ove iniziare l’impresa, si dispose per l’immediata partenza dei missionari, la quale per suggerimento dello stesso Monsignore doveva esser limitata a pochi individui, stante le difficoltà d’un primo impianto in luoghi quasi sconosciuti e non per anco aperti alla civiltà. Pertanto l’8 maggio, benedetti dal nostro venerato Arcivescovo, il Cardinale Richelmy, partivano da Torino i primi missionari della Consolata, in numero di quattro: due sacerdoti, D(on). Tommaso Gays da Rivara e Teol(ogo). Filippo Perlo da Caramagna, e due confratelli secolari, Lusso Celeste e Falda Luigi, entrambi torinesi.
Imbarcatisi il 10 maggio a Marsiglia, arrivarono il 28 dello stesso mese a Zanzibar città capoluogo d’un’isola dello stesso nome nell’Oceano Indiano. La traversata fu felicissima grazie alla protezione della SS. Vergine Consolatrice, sopra di essi invocata da tante anime buone, le quali vivamente s’interessano alla riuscita di un’opera di tanta gloria a Dio. Tralasciamo di parlare di questa prima parte del viaggio e seguiamo senz’altro i nostri missionari da Zanzibar al luogo di loro destinazione. Lo faremo stralciando dalle interessanti lettere scritte nelle varie tappe del viaggio dal predetto Teol. Perlo.».
Il testo che vi abbiamo riproposto, usando un carattere tipografico simile a quello originale, è l’editoriale de «La Consolata» n. 9/1902, pp. 131-132, probabilmente scritto dal canonico Giacomo Camisassa, allora il direttore del «periodico» (così era definita la piccola rivista pubblicata dal santuario della Consolata di Torino, madre di questa nostra pubblicazione).
Narra l’inizio di una incredibile avventura missionaria dalla quale sono risultati frutti miracolosi e inaspettati nel giro di un solo secolo. P. Candido Bona, professore di Storia della Chiesa per generazioni di missionari, il card. John Njue di Nairobi e il nunzio apostolico del Kenya, mons. Alain Lebeaupin, sono convinti cheil più grande miracolo fatto dall’Allamano fu proprio la nascita e svilluppo nel Kenya centrale di una Chiesa locale fiorente e missionaria. «Mai nella storia della Chiesa – ebbe a dire p. Bona – si è assistito ad uno sviluppo così grande in un periodo così breve». Cominciarono in quattro, ora sono milioni.
Lunga preparazione
L’Allamano portò in cuore il desiderio di fondare un istituto missionario per molti anni. Per lui il 29 gennaio 1901, giorno ufficiale della fondazione del nuovo istituto, fu il punto di arrivo di un lungo cammino fatto di riflessione, discernimento e paziente ricerca. Voleva offrire all’abbondante clero piemontese la possibilità di un servizio missionario e per questo si consultò per anni con amici, santi come il Cottolengo e autorità ecclesiastiche romane. Una volta chiarito che doveva fondare il suo istituto, si trovò di fronte alle nuove regole di Propaganda Fide (il ministero vaticano incaricato delle missioni) che richiedevano un periodo di tirocinio missionario ai nuovi istituti prima che venisse loro affidata un’area da evangelizzare.
L’Allamano, per un affetto suo speciale verso il card. Massaia, apostolo dell’Etiopia, sognava di mandare i suoi missionari proprio sulle orme di un così grande pioniere dell’evangelizzazione. Ma… più facile a dirsi che a farsi:
l’istituto non esisteva ancora, l’Etiopia era affidata ai frati cappuccini francesi ed era un’impresa trovare qualcuno disposto ad accogliere dei missionari in cerca di esperienza.
Con l’Etiopia in mente, l’Allamano e il suo braccio destro, Giacomo Camisassa, cominciarono una fitta corrispondenza – durata anni – con i cappuccini francesi e contemporaneamente anche con Padri dello Spirito Santo (Pères Du Saint-Esprit, Holy Gost Fathers or Spiritans) a cui era affidato il confinante Vicariato Apostolico di Zanzibar.
I confini allora erano incerti. Il Vicariato dei Cappuccini in Etiopia confinava a sud con quello dello Zanzibar in modo impreciso al quarto o quinto parallelo Nord e c’era allora la convinzione che fosse possibile arrivare in Etiopia navigando il fiume Tana partendo dalla costa del Kenya.
La mano della provvidenza
Lettera dopo lettera le trattative proseguirono, fino a che il Vicario Apostolico dei Galla accettò, nel settembre 1900 – l’istituto non era ancora stato fondato! – di accogliere i nuovi missionari nella parte sud del suo vicariato, «nella regione del medio e alto fiume Tana fino al quarto grado di latitudine settentrionale».
Tutto bene allora? Macché. Proprio in quei tempi giunsero notizie da un esploratore che il fiume Tana non era navigabile se non per un brevissimo tratto. Inoltre risultava che la regione (da affidare ai nuovi missionari) era praticamente spopolata a causa di bande di Somali che vi facevano continue razzie. Al che gli inglesi, i quali stavano consolidando il loro controllo sul Kenya, proibirono a qualsiasi missionario di mettere piede da quelle parti, perché un eventuale massacro di europei sarebbe stato un grave smacco per il loro prestigio e autorità di fronte agli indigeni.
L’Allamano e il Camisassa erano continuamente informati della situazione dal console generale d’Italia a Zanzibar, il cav. Giulio Pestalozza.
Ma chiusa una porta, ecco che se ne aprì un’altra. Era stata inaugurata da poco la ferrovia Mombasa-Kampala, in Uganda, e i Padri dello Spirito Santo avevano, nel 1899, stabilito la missione di Saint Austin (S. Agostino) a Nairobi, un villaggio nuovo nato attorno alla stazione ferroviaria e avvantaggiato da acque fresche (nai-robi in maa, la lingua Maasai) e clima salubre senza malaria. Da Nairobi sarebbe stato facile organizzare una spedizione verso il Lago Rodolfo (oggi Turkana) e da là raggiungere il tanto agognato Galla. Le trattative si intensificarono, da Zanzibar cominciarono ad arrivare notizie piene di speranza. Poi tutto subì un’accelerazione improvvisa. Il dott. Hinde, sotto-commissario inglese per la regione del Muran’ga – allora Fort Hall -, aveva chiesto al Vicario Apostolico di mandare dei missionari presso il capo kikuyu Karoli, moderatamente favorevole agli inglesi, che era interessato ad averli per aprire una scuola nel suo villaggio. Ma, da buon protestante, il dott. Hinde aveva fatto la stessa richiesta anche alle società missionarie protestanti. Chi arrivava prima si mangiava tutto! I protestanti erano ricchi di mezzi e personale, mentre i Padri dello Spirito Santo non avevano allora né mezzi né personale per una pronta azione. I nuovi missionari della Consolata – inesperti, ma ben organizzati e con mezzi sufficienti – erano davvero mandati dalla provvidenza.
Preparazione immediata
L’Allamano e il Camisassa colsero l’occasione al balzo e intensificarono la preparazione dei primi. Pestalozza e il vicario mons. Allgeyer avevano suggerito di mandare solo un piccolo gruppo ad iniziare, non più di cinque. Furono scelti quattro tra i giovani sacerdoti e laici che avevano cominciato vita comune nella prima casa madre dell’Istituto (la Consolatina): p. Filippo Perlo e p. Tomaso Gays e i fratelli laici Luigi Falda e Celeste Lusso. Essi si legarono al nuovo istituto per un impegno di cinque anni giurando nelle mani dell’Allamano il 13 aprile 1902. Gli ultimi mesi prima della partenza furono intensissimi. L’Allamano vietò loro ogni impegno pastorale nella città e passarono i loro giorni in preghiera, studio e lavoro. Oltre all’inglese, studiarono medicina (tropicale), oculistica e chirurgia. Impararono fotografia (ripresa, sviluppo e stampa, maneggiando le pesanti macchine fotografiche a soffietto con lastre 13×18 e 10×15). Visitarono musei, approfondirono agricoltura e scienze naturali e praticarono l’arte di imbalsamare insetti e animali. Si decicarono con impegno a meccanica, idraulica, calzoleria e falegnameria. Ebbero anche lezioni di equitazione.
Partirono a maggio, in accordo con mons. Allgeyer, per evitare le grandi piogge e permettere allo stesso vicario di accompagnarli fino a destinazione. Ricevettero il crocefisso del mandato missionario il 3 maggio, il 7 fecero visita al card. Richelmy (arcivescovo allora di Torino) che non solo li benedisse ma si chinò a baciare loro i piedi (fatto rimasto segreto per anni), l’8 partirono da Porta Nuova in treno per Marsiglia salutati dall’Allamano, dal Camisassa (che aveva curato al dettaglio tutta l’organizzazione della spedizione) e un po’ di parenti. L’avventura era cominciata.
Di questo viaggio diede puntuale relazione il p. F. Perlo con un vivacissimo diario ricco di annotazioni, preziose informazioni e splendide foto che fu pubblicato a puntate su «La Consolata». Chissà se un giorno troveremo il tempo e i mezzi per ripubblicare quelle pagine così emozionanti.
Gigi Anataloni