Altri ci copiano
Forme di servizio civile nel mondo
Verrebbe da non crederci, ma è proprio così: una volta tanto, l’Italia è un esempio virtuoso per tutto il mondo, perché il suo servizio civile volontario è probabilmente l’esperienza più all’avanguardia a livello internazionale. O almeno, lo era fino a poco tempo fa, quando i pesanti tagli e il conseguente spauracchio della chiusura non facevano ancora notizia. «Quando siamo andati a presentarlo a Bruxelles, qualche anno fa, tutti si sono complimentati con noi e parecchi ci hanno detto: studieremo il vostro modello per replicarlo da noi».
A scandire queste parole è Raffaele De Cicco, attuale cornordinatore dell’Unsc, Ufficio nazionale servizio civile, ma componente del ministero della Difesa già dal 1994. Grande esperto della storia dell’Obiezione di coscienza (Odc), ha anche una visione completa di quello che accade negli altri paesi in termini di esperienze di difesa della patria, alternativa a quella militare. Di recente ha pubblicato il libro-saggio Le vie del servizio civile (Gangemi editore), in cui il tema centrale è proprio l’analisi generale delle «virtù civiche giovanili» tra l’Europa e il mondo globalizzato. «Il servizio civile, in tutte le sue forme, tiene in piedi i legami della democrazia, anche perché incide su aree difficili, su problematiche in cui gli stati a volte fanno fatica a intervenire in modo completo», spiega De Cicco.
Oltre al modello italiano, a livello europeo le esperienze più radicate sono quelle della Francia e della Germania. «Per i francesi l’Odc è realtà fin dal 1963. Dal 1997, inoltre esiste il Servizio nazionale universale, poi diventato Service civique nel 2010, che dura dai 6 ai 24 mesi e sta riscuotendo un buon successo: nel 2011 sono partiti 25 mila giovani tra i 16 e i 25 anni», illustra il cornordinatore dell’Unsc.
In Germania, l’anno scorso, i volontari sono stati addirittura 35 mila, proprio nel primo anno di sperimentazione del Servizio civile volontario, «introdotto dal Goveo tedesco a fine 2010, quando è stata sospesa la leva obbligatoria – continua De Cicco -; prima esisteva il servizio civile obbligatorio, 9 mesi in patria oppure 11 all’estero, per chiunque rifiutava l’uso delle armi». Dal 1961 al 2009 sono stati ben 3,2 milioni i giovani obiettori tedeschi.
Le altre esperienze di Servizio civile volontario in Europa si trovano in Danimarca, Repubblica Ceca e Svezia (solo per le donne). Comunque, l’Odc è realtà in tutte le nazioni del vecchio continente.
A livello generale di Unione Europea, invece, si stanno compiendo i primi passi per la nascita di un Servizio civile comunitario. «È la vera partita da giocare, per rendere effettivo il sentirsi parte di una cittadinanza estesa: dovrebbe nascere un servizio che promuove diritti politici, sociali e culturali», chiosa De Cicco nel suo libro. È un’interessante prospettiva, però ancora molto sulla carta, così come lo sono i corpi civili di pace europei: una sorta di evoluzione della pratica di servizio civile, composta sia da volontari che da specialisti (quindi membri permanenti, pagati dal singolo Stato o dall’Ue) che possono incidere in prima persona in un conflitto armato, interponendosi tra le parti, come è avvenuto per i primi obiettori italiani che si sono recati a Sarajevo a inizio anni ’90, durante l’assedio della città.
Nel resto del mondo, la diffusione del Servizio civile alternativo al militare è a macchia di leopardo, e soprattutto nelle Americhe, come riporta il Centro interuniversitario di studi sul servizio civile dell’Università di Pisa (Cissc), mentre quelle di servizio volontario sono davvero poche.
Il caso più virtuoso è senza dubbio quello degli Stati Uniti d’America, dove dal 1990 esiste Americorps, un programma di volontariato ad ampio raggio a cui partecipano ogni anno almeno 70 mila ragazze e ragazzi. Al suo interno esiste il National civilian community corps, che dura 10 mesi, è aperto ai giovani dai 18 ai 25 anni e ha caratteristiche simili al Servizio civile volontario italiano. Inoltre, il Goveo federale statunitense sta per approvare quest’anno il Voluntary national service act, che serve ad arruolare nuovi volontari per «missioni» delicate, come il contrasto alla piaga della dispersione scolastica, il sostegno alle famiglie povere e l’assistenza sanitaria per i più deboli.
Un’altra dimensione significativa di servizio civile nei paesi esteri è quella brasiliana, dove però il Servizio civile volontario, attivo dal 2000 e lungo 6 mesi, è disegnato per chi è esente dagli obblighi di leva. Mentre in Argentina si sta dibattendo dal 2010 una proposta di Servicio civil voluntario che però è arenata in Parlamento.
C’è da segnalare il servizio civile nato da qualche anno in Israele, aperto ai renitenti alla leva per motivi religiosi e alla popolazione arabo-israeliana (quindi non a tutti gli altri, che devono svolgere il servizio militare obbligatorio), ma criticato dalle associazioni locali perché gestito di fatto dall’apparato di sicurezza israeliano e quindi privo di quell’autonomia dal mondo militare che compete a un’esperienza di servizio civile propriamente detta.
Daniele Biella