Terzo polmone del cristianesimo
Cristiani in Siria: tra due fuochi
La Siria è, insieme al Libano, la terra che esprime pienamente la ricchezza e la complessità della storia cristiana: orientali, cattolici e ortodossi, ci sono tutti; un crogiolo di confessioni, riti e culture che, attraverso i secoli, è diventato un laboratorio di dialogo ecumenico e tolleranza interreligiosa; un’esperienza bimillenaria presa tra due fuochi: le violenze settarie dei ribelli e la repressione feroce del regime.
Da oltre un anno si susseguono le notizie sulla carneficina in corso in Siria. Tra le loro pieghe, ogni tanto si sentono accenni a cristiani in fuga: caldei, assiri, siro-ortodossi, siro-cattolici… Per la maggior parte della gente questi cristiani sono un mondo sconosciuto; i più informati li considerano residuati di un mondo esotico e complesso, conosciuti per i loro riti pittoreschi e le tante giurisdizioni: nella sola città di Aleppo ci sono 11 chiese diverse, la maggior parte delle quali con a capo un vescovo.
Di fronte a una guerra civile ormai in corso, con bombardamenti dell’esercito regolare e autobombe degli insorti, i cristiani si trovano tra due fuochi. Incombe sulla Siria la minaccia comune a molti paesi del Medio Oriente: la fuga dei cristiani e l’estinzione delle più antiche Chiese cristiane, risalenti all’epoca apostolica. Sarebbe una perdita enorme per l’intera umanità, che non può permettersi di vedere disperso un ricchissimo patrimonio culturale e religioso tramandato ininterrottamente per duemila anni.
il polmone siro-orientale
La prima evangelizzazione della Siria, secondo l’antica tradizione ecclesiastica, risale all’apostolo Giuda Taddeo, del clan familiare di Gesù, e all’apostolo Tommaso, nel suo viaggio verso la Persia.
La Siria, a quei tempi, comprendeva i territori dell’omonima provincia romana, dalla Palestina alle regioni dell’Eufrate, e aveva come capitale Antiochia di Siria. L’area geografica si allarga di molto se pensiamo alla lingua parlata in quelle regioni: il siriaco, un dialetto strettamente legato all’aramaico, la lingua parlata da Gesù e dagli apostoli.
Ad Antiochia soggioò a lungo l’apostolo Pietro, prima di stabilirsi a Roma; sempre ad Antiochia tutti i discepoli di Gesù, giudei e pagani, da allora e per sempre vennero chiamati «cristiani».
Intoo all’anno 36, sulla via di Damasco, folgorato da Gesù stesso, Saulo di Tarso divenne l’apostolo delle genti e fece di Antiochia di Siria il punto di partenza dei suoi viaggi missionari. E dopo la distruzione di Gerusalemme per mano dei romani (70 d.C.), Antiochia diventò il centro delle chiese di lingua siriaca e scuola del pensiero cristiano d’Oriente, come Alessandria (poi Costantinopoli) lo fu delle chiese di lingua greca e Roma di quelle di lingua latina.
Già nel II secolo la teologia siriaca, non ancora influenzata dal pensiero greco, si sviluppò con caratteristiche autoctone, grazie alla riflessione di grandi figure come gli apologeti Teofilo di Antiochia e Taziano il Siro, Afraate monaco, asceta e vescovo, e soprattutto il grande sant’Efrem il Siro (306-373), teologo, poeta e padre della chiesa.
Alla fine del III secolo, la chiesa siriaca era profondamente radicata nelle città e nelle campagne, grazie soprattutto alla straordinaria fioritura del fenomeno ascetico-monastico, le cui caratteristiche indigene, come la forma eremitica degli stiliti, distinsero la chiesa siriaca e la resero famosa su tutte le altre. San Simeone Stilita (521-592) e san Marone sono alcuni dei più noti tra i tanti monaci che vissero in questa regione. Testimoni di tale fioritura sono migliaia di luoghi di preghiera, risalenti al IV e V secolo, i cui ruderi ancora visibili sono disseminati nelle famose «90 città morte» a ovest di Aleppo.
Ben presto la Siria fu teatro delle controversie cristologiche che causarono la divisione religiosa in Oriente: quando il concilio di Calcedonia (451) condannò il monofisismo (Cristo avrebbe una sola natura), condanna ribadita nel secondo concilio di Costantinopoli (553), la maggior parte dei cristiani siriaci rifiutarono le decisioni conciliari, dando vita alla chiesa siro-ortodossa (monofisita). Più che a divergenze teologiche, lo scisma fu dovuto a fraintendimenti linguistici e, soprattutto, alla reazione nazional-religiosa contro i dominatori greco-bizantini. Una parte della società, più colta e ellenizzata, accettò senza difficoltà le decisioni conciliari, dando origine alla chiesa melchita (melek=re).
Per tutto il millennio (cioè finché le condizioni lo permisero) i siriaci, soprattutto orientali, svolsero una stupefacente attività missionaria, espandendo il vangelo nella penisola arabica, fino a raggiungere varie tribù mongole dell’Asia centrale, il Tibet e la Cina.
Di valore eccezionale è la produzione di testi teologici e spirituali delle chiese siriache: un patrimonio letterario ricchissimo, purtroppo poco conosciuto e in parte perduto, che non ha nulla da invidiare alla letteratura greca e latina, tanto che uno dei massimi studiosi di questa tradizione, Sebastian Brock, riprendendo una immagine di Giovanni Paolo II, afferma che la cristianità respira con tre polmoni: quello latino, quello orientale e quello siriaco.
Impatto con l’islam
In seguito alla conquista araba (VII secolo) i cristiani bizantini e siri esercitarono un enorme influsso anche sulla nascente civiltà islamica, sia quando Damasco divenne la capitale dei califfi Omayyadi, sia quando la capitale fu spostata a Baghdad dalla dinastia degli Abbasidi (750). Funzionari cristiani ed ebrei pullulavano nell’establishment dei vari califfati. Uno di essi fu san Giovanni Damasceno (675-749), di nobile famiglia arabo-cristiana, amico e consigliere del califfo e responsabile economico del califfato fino a quando si ritirò nella laura di San Saba in Palestina.
L’incontro tra cristianesimo e islam portò per forza alla presentazione delle rispettive dottrine di fede. Lo stesso Damasceno analizzò il Corano, lo paragonò alla Bibbia e ne dedusse che l’islam era un’eresia cristiana.
Ben presto l’arabo divenne idioma cristiano, usato nel dibattito culturale e nelle differenti controversie religiose nell’area islamica: il vescovo Teodoro Abucara (741-825), discepolo del Damasceno, compose in arabo le sue opere, tra cui il trattato sulla Difesa delle icone, traendo argomenti dal Corano e dai detti del Profeta.
Per tre secoli, numerosi cristiani siriaci (ed ebrei) animarono le famose accademie musulmane fiorite in Siria e in Mesopotamia e, su incarico dei califfi, intrapresero una sistematica traduzione dal greco in arabo, attraverso il siriaco, dei testi letterari, filosofici e scientifici dell’antichità classica. In tal modo la conoscenza del mondo greco-romano divenne uno dei fondamenti della cultura arabo-islamica.
Durante il Medio Evo gli arabi, attraverso la Spagna, riportarono i testi classici della filosofia greca in Europa, che aveva quasi del tutto dimenticato questa tradizione.
Nel secondo millennio, sotto il dominio dei mamelucchi e poi dei turchi ottomani, la storia dei cristiani della Siria fu costellata di violenze e pogrom anticristiani; ma nei momenti di calma essi riuscirono a contribuire allo sviluppo della regione con le loro attività commerciali e intellettuali, culminate in iniziative culturali, verso la metà del secolo XIX, come scuole, tipografie, giornali, testi scolastici e di letteratura… che hanno creato in Libano e in Siria il senso di «arabità», collante comune a cristiani e musulmani in chiave anti ottomana e terreno di coltura del nascente nazionalismo siriano.
Durante il mandato francese (1921-46), un giurista cristiano libanese, Edmond Rabbath, ispirò la Costituzione del 1930: sfruttando il senso di arabità, fu prescritta una rigorosa neutralità del potere civile nei confronti delle varie confessioni religiose. Il modello «laicizzante» rimase anche dopo la dichiarazione d’indipendenza (1944) e nella nuova Costituzione elaborata all’inizio degli anni ‘50: nonostante le pressioni dei Fratelli musulmani, l’islam non fu menzionato come religione di Stato; mentre fu prescritta l’assoluta appartenenza alla religione islamica del presidente della repubblica (art. 3).
Altri cristiani contribuirono all’indipendenza della Siria, come Michel Aflaq, militante nazionalista, che nel 1947 fondò il Partito Baath arabo socialista (o semplicemente Baath, ossia, risurrezione). Un altro cristiano, Fares al-Khoury, anche lui tenace nazionalista, fu eletto presidente della Repubblica per due volte (1945 e 1954) e fu acclamato padre della patria, ma, a differenza di Aflaq, si oppose al pan-arabismo di Nasser e alla unione tra Egitto e Siria (1958-1961).
Caleidoscopio di riti e culture
Trent’anni fa in Siria vivevano 9 milioni di abitanti; oggi sono quasi 23 milioni, compresi 472 mila rifugiati palestinesi e 1,5 milioni di sfollati iracheni: un mosaico di «47 gruppi etnici e religiosi», secondo un professore di relazioni inteazionali di Damasco.
Sotto l’aspetto etnico il popolo siriano è composto da arabi e aramei arabizzati (86%), curdi (7%), armeni (2%), turchi, circassi, caldei, assiri, turkmeni, ceceni e altri. Sotto l’aspetto religioso la società siriana risulta ancora più frastagliata. La maggioranza dei siriani sono musulmani sunniti (74%) il resto è formato da minoranze di sciiti, alawiti, drusi, ismailiti e altri gruppi islamici.
I cristiani sono circa 2 milioni (quasi 10%) e costituiscono a loro volta un autentico caleidoscopio di riti e tradizioni, con 11 gerarchie e comunità differenti, con ben 3 patriarchi di chiese orientali che hanno la propria sede a Damasco, erede della sede apostolica antiochena.
Metà di essi appartiene alla chiesa antiochena (greci ortodossi); circa 500 mila costituiscono la chiesa ortodossa siriaca; 125 mila la chiesa apostolica armena; poche migliaia di nestoriani o assiri e protestanti.
I cattolici siriani sono circa 430 mila, divisi in varie chiese con giurisdizioni diverse per i fedeli di ciascun rito: greco-cattolici o melchiti, siriaci, maroniti, armeni, latini, caldei.
La Siria è, insieme al Libano, l’unico paese arabo in cui l’islam non è definito religione di stato dalla Costituzione e la religione non è riportata sulle carte d’identità. I cristiani, quindi godono di totale libertà di culto e possono svolgere i loro riti e funzioni (messe, processioni, pellegrinaggi…) liberamente e pubblicamente, purché non disturbino l’ordine pubblico; le solennità cristiane come Natale e Pasqua sono giorni festivi per tutto il paese; croci, insegne religiose, edicole mariane… sono apertamente esposte nei quartieri cristiani. Non esiste alcuno ostacolo all’edificazione di nuove chiese e strutture religiose; anzi, talvolta è il governo a facilitae la costruzione, particolarmente nelle aree suburbane di Aleppo, Damasco, Homs, offrendo il terreno e accelerando i permessi. Senza dimenticare che, al pari di moschee e strutture islamiche, chiese e edifici cristiani sono esenti da tasse e godono della foitura gratuita di elettricità e acqua.
Un decreto presidenziale del 2006 garantisce ai cattolici la possibilità di regolare questioni di diritto familiare ed ereditario secondo norme e criteri differenti da quelli derivanti dalla legge coranica. Tutto ciò ha garantito e stabilizzato la presenza cristiana nel paese e scoraggiato l’emigrazione.
Sulla libertà di coscienza, però, pesano le regole dettate dalla tradizione musulmana. Nessuna legge proibisce il proselitismo cristiano, ma il governo lo scoraggia, fino a perseguitare i missionari cristiani; la conversione al cristianesimo è ritenuto un reato dall’establishment religioso e sociale; come in tutte le società islamiche, una donna musulmana non può sposare un cristiano; se una cristiana sposa un musulmano i suoi figli sono automaticamente considerati musulmani.
Per tenere insieme questo mosaico di gruppi etnici e religiosi la società siriana ha saputo sviluppare una mirabile ma fragilissima armonia sociale e interreligiosa, basata sul nazionalismo arabo di matrice laica, ma anche imposta, da oltre 40 anni, con l’uso della repressione poliziesca. Da quando, cioè, governo ed esercito, con il colpo di stato che nel 1970 portò al potere Hafez al Assad, sono passati nelle mani degli alawiti, una minoranza di matrice sciita, rinnegata come eretica dalla maggioranza sunnita.
Futuro di paura
Da oltre un anno i cristiani si sentono in pericolo, da quando cioè sono scoppiate le proteste antigovernative, poi degenerate in atroci violenze. Con una girandola di disinformazione mediatica, governo e oppositori si rimpallano le responsabilità della mattanza, che sarebbe già costata più di 9 mila vittime, con centinaia di bambini. Al di là di tutte le informazioni e disinformazioni che provengono dalla Siria, la situazione è molto complessa. Da una parte c’è il regime autoritario, poliziesco, oppressivo di Bashar al Assad, che dal 2000 ha ereditato potere e metodi dal padre Hafez: nessuno in Siria scorda la feroce repressione della rivolta guidata dai Fratelli musulmani, nel 1982 ad Hama, costata circa 20 mila morti.
Dall’altra c’è l’opposizione che, sull’onda della cosiddetta primavera araba, lotta per una maggiore libertà e democrazia, in modo da affrontare gli enormi problemi economici in cui si dibatte il paese. In pratica però, si tratta di un’opposizione molto frastagliata all’interno, che va dai movimenti laici liberali ai gruppi fondamentalisti, in cui il desiderio di libertà si confonde con quello della rivincita dei sunniti contro la minoranza alawita; un coacervo di movimenti senza veri leader di riferimento; gruppi degenerati in bande armate che infieriscono contro la popolazione civile di ogni confessione.
Alla divisione intea si aggiunge una lotta di influenze, quasi una guerra per procura fra potenze mondiali e paesi confinanti: Usa e paesi sunniti (Arabia Saudita ed emirati del Golfo) dalla parte dei ribelli islamici; Russia, Cina e paesi sciiti (Iran) schierati con Assad.
Nel clima di caos e violenze a pagare il prezzo maggiore sono la popolazione civile e le minoranze non schierate nel conflitto tra sunniti e sciiti; tra queste minoranze ci sono i cristiani, presi tra due fuochi: tra la brutalità del regime e la lotta senza quartiere dei ribelli islamici.
Dall’inizio del 2012, infatti, si stanno registrando parecchi episodi palesemente anticristiani: il 25 gennaio è stato ucciso padre Basilios Nassar, sacerdote greco ortodosso, mentre prestava soccorso a un ferito in una strada di Hama; a Homs i ribelli hanno ucciso 230 cristiani; chiese, scuole e case di cristiani sono state saccheggiate e distrutte; in qualche manifestazione di protesta del venerdì è risuonato lo slogan: «Alawiti alla tomba e cristiani in Libano».
Non siamo ancora all’esodo, ma i cristiani hanno iniziato la fuga: essi temono che, tolto di mezzo il regime degli Assad, che fino ad ora li ha riparati dalle violenze e discriminazioni perpetrate in altri paesi islamici, si ripeta lo scenario dell’Iraq, dove le milizie sunnite praticano apertamente la caccia al cristiano.
Fermare la repressione del regime è un imperativo, quanto fermare una deriva settaria che caratterizza la lotta in corso. «Credo che la Siria, dopo un anno di questa esperienza, non sarà più la stessa – afferma il patriarca melchita Gregorio II Laham -. Credo che ci sarà un cambiamento di base, e credo che anche il presidente Bashar al Assad lo voglia».
Di fronte alle critiche di chi rimprovera la Chiesa in Siria di non schierarsi contro il sistema, il patriarca chiama al dialogo «tutti i partiti in Siria e fuori della Siria» e, rivolgendosi soprattutto ai paesi Europei e del Mediterraneo dice: «Non pensate a cambiare il regime, ma aiutate il regime a cambiare. Credo che sia questa la giusta visione delle cose. E per questo la chiesa è là, e ha fatto molto… Per noi non è il momento di chiedere i nostri diritti, ma di riscoprire la nostra missione in un mondo arabo, che vive una nuova nascita. Predicare la pace, la legalità, la giustizia è la nostra maniera di accompagnare gli avvenimenti, sia all’interno che all’esterno».
Benedetto Bellesi