Il cammino della società multiculturale

Le famiglie e le seconde generazioni

Rifiuto e disapprovazione oppure accoglienza e accettazione: l’atteggiamento della famiglia verso il partner straniero del figlio/a è fondamentale per la sorte di una coppia mista. Il prevalere di un atteggiamento rispetto all’altro ha evidenti conseguenze sociali. Decostruire stereotipi e pregiudizi serve infatti per favorire la nascita e lo sviluppo di una vera società multiculturale. Che ha nelle seconde generazioni – i figli degli immigrati nati in Italia – un tassello essenziale.

Una delle molteplici conseguenze dell’incremento nel numero di migranti inteazionali in tutto il mondo (192 milioni nel 2010, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, Oim) è stata l’aumento dei cosiddetti «matrimoni misti» («coppie miste»). Essendo un fattore di rottura e messa in discussione delle regole «tradizionali» dello Stato e delle comunità di origine dei partner (ognuna con le proprie caratteristiche culturali e religiose), queste unioni sono state molto spesso disincentivate tramite specifici strumenti di controllo sia giuridici che sociali. Lo Stato ha usato i suoi mezzi coercitivi, ad esempio, durante l’apartheid in Sudafrica e il nazismo in Germania, inserendo leggi ad hoc che proibivano espressamente i matrimoni interrazziali. Nel caso delle famiglie e delle comunità, invece, gli strumenti usati variano (variavano) dalla negazione dell’eredità ai figli all’adozione di comportamenti ostili nei confronti del partner considerato «estraneo» e perciò non gradito.
Queste attitudini e/o comportamenti da parte delle famiglie possono manifestarsi anche nel caso di partner «omogenei», quando la scelta del figlio/figlia non è particolarmente apprezzata. Però sono ancora più presenti nel caso delle coppie miste, a causa della maggiore evidenza delle differenze. Così, nonostante la crescente inteazionalizzazione del mondo, lo sviluppo di questo come «villaggio globale» e i sempre maggiori spostamenti delle persone, abbiano aumentato la possibilità di tali unioni, queste risultano ancora suscitare perplessità e/o disapprovazione presso non poche società. D’altronde, qui entrano in gioco le regole endogamiche ed esogamiche che precisano e classificano tutti i possibili/non possibili partner matrimoniali per i membri di ogni società. La visibilità della mixité inoltre – nella coppia prima e negli eventuali figli poi – e il fatto che l’«appartenenza razziale» sia un costrutto sociale con numerose, ramificate e pervasive conseguenze sull’organizzazione sociale degli spazi, delle risorse, delle aspettative, etc., costringe la coppia e poi la famiglia mista a stare sulla scena pubblica e a dare conto delle proprie scelte in modo molto più sistematico e diffuso rispetto ad ogni altro tipo di coppia.

L’ATTEGGIAMENTO DELLA FAMIGLIA
Secondo la professoressa Gaia Peruzzi dell’Università di Sassari, che ha sviluppato nel 2008 un’interessante e ampia ricerca sulle coppie miste in Toscana, «in questa sfida, in questa prova di coraggio nei confronti della famiglia e dell’ambiente circostante, si legge anche la speranza delle coppie miste, la promessa da parte di due individui di accogliere le proprie diversità, e di rapportarsi con una cultura altra rispetto a quella di origine». Nella ricerca viene inoltre evidenziato che in Italia il ruolo delle famiglie – e particolarmente dei genitori italiani – nella vita delle coppie miste è molto importante, proprio perché dai giudizi delle stesse dipende spesso il grado in cui la coppia viene considerata come mista e perciò diversa. Mentre – al contrario – dalla loro accoglienza e accettazione dipende in buona parte il processo di adattamento del partner straniero in particolare.
L’importanza dell’atteggiamento e soprattutto del supporto delle famiglie italiane verso le coppie miste che vivono in Italia è particolarmente evidente poiché nel nostro Paese molti servizi di cura e di assistenza sociale ricadono direttamente sulle famiglie stesse. Grazie alla diffusione di una cultura che ormai considera la libera scelta del partner un diritto individuale esplicitamente riconosciuto e praticato – almeno tra le generazioni più giovani -, le famiglie degli italiani intervistati nella ricerca, che hanno deciso di sposare o di convivere con un partner straniero, non si sono opposte (per lo meno apertamente) alla scelta dei figli: «Un’opposizione aperta di genitori e familiari di fronte alla decisione di un parente si configura, al giorno d’oggi, abbastanza remota, inattuale perfino come ipotesi». Allo stesso tempo, però, molti individui intervistati hanno sperimentato diverse attitudini e/o comportamenti di rifiuto e disapprovazione più sottili («di gentilezza, ma con distacco») da parte dei genitori e di altri parenti, in particolare rivolti al partner straniero.
Laddove però i partner stranieri vengono più facilmente accettati, questo è dovuto a due caratteristiche comuni delle famiglie: un atteggiamento di curiosità e di apertura alla diversità (spesso percepita come qualcosa di esotico), oppure una percezione del partner straniero come un possibile aiuto nei lavori di casa, nella cura dei parenti anziani, o come compagnia per il figlio, in molti casi divorziato o vedovo.

LE SECONDE GENERAZIONI
Un’attenzione particolare va rivolta alle famiglie dei partner stranieri, soprattutto per quelli appartenenti alle seconde generazioni ossia i «figli di immigrati e non gli immigrati», come si definiscono essi stessi nel blog della Rete G2-seconde generazioni1. Questi giovani spesso non hanno compiuto alcuna migrazione, o, anche se nati all’estero, non sono emigrati volontariamente, ma sono stati portati in Italia da genitori o da altri parenti. Hanno compiuto in Italia tutto o parte del loro processo di socializzazione, ma rimangono talvolta esclusi dalla concessione della cittadinanza e – rischiando di essere considerati stranieri sia nel paese di origine dei genitori sia in quello di destinazione – possono riprodurre forme di downward assimilation2, anche in ambito matrimoniale. Questi individui però, proprio per la discontinuità del proprio percorso di crescita rispetto a quello dei genitori e per la diversa posizione sociale nonché per l’esperienza nella società italiana, possono anche rappresentare un fattore di profondo cambiamento degli assetti sociali.
La società stessa è ormai in buona parte transnazionale e globalizzata e appare sempre più insostenibile per i giovani figli di immigrati doversi integrare o assimilare in un modello culturale precostituito, chiuso nei confini di una nazione o di una comunità. Le seconde generazioni ricercano, al contrario, forme di riconoscimento identitario plurali, stratificate e fluide, che consentano di rendere conto in modo più adeguato di un’esperienza quotidiana caratterizzata da complessità e capacità di adattarsi a contesti mutevoli e in costante trasformazione. Esse sperimentano pratiche di multiculturalismo quotidiano, ossia un insieme di strategie che vengono usate in modo contingente e che articolano ironia, mimetismo, ostentazione, enfasi ed erranza, che permettono a ognuno di costruire la propria individualità e differenza, rivendicata ormai su scala sopranazionale, linguistica, religiosa, etc., e in riferimento a gusti, estetiche, simboli e tradizioni che travalicano i confini di uno Stato.

TRA LA CULTURA EREDITATA E QUELLA ACQUISITA
I giovani, soprattutto quelli nati in Italia, infatti, pur riconoscendosi per certi aspetti sostanziali (soprattutto nello stile di vita, nelle abitudini, nella libertà e nelle opportunità a disposizione) come italiani non sono facilmente disposti a negare o occultare altre forme di riconoscimento (soprattutto per ciò che concee i valori, le tradizioni e i legami familiari). Le seconde generazioni incarnano, dunque, spesso non senza fatica e conflitti, le due culture, quella ereditata dai genitori e quella acquisita in Italia. E spesso il confronto/scontro con la propria famiglia e la loro comunità di appartenenza avviene rispetto ad alcune scelte fondamentali come quella del partner.
Il formarsi di coppie miste, infatti, può essere percepito come un indicatore di indebolimento delle comunità di appartenenza e un motivo di vergogna per la famiglia in cui questo avviene, segno del «fallimento» nell’educazione dei figli (ma soprattutto delle figlie).
Un esempio interessante viene descritto da una ragazza musulmana nel blog delle seconde generazioni Yalla Italia3: «Dover affrontare i propri genitori e presentare il “prescelto”, è di per sé imbarazzante, figuriamoci poi se quest’ultimo non ha tutti i requisiti necessari al posto giusto, gli manca un “pezzo”, insomma, un lieve difettuccio che “cozza” con i canoni del bravo ragazzo, preferibilmente arabo e assolutamente musulmano. Un diversamente musulmano? No! Apriti cielo. Sacrilegio, tragedie greche e anche telenovelas venezuelane, tutte insieme. Si inizia con un: “Ma con tutti quelli che ci sono al mondo proprio uno non mussulmano?”, per poi infierire su quel poco di sicurezza rimasta: “Sei proprio scesa in basso”, e ancora infliggerti un: “Perché ci hai fatto questo? Sparleranno tutti di noi”».
Nel racconto della ragazza questo sembra emergere come l’aspetto peggiore, quello che conta di più o, meglio «che conta di più per loro – i genitori e la comunità – che per noi», poiché provoca il giudizio su se stessi e la propria famiglia: «Ed ecco che gli amici, la società, i compagni di preghiera, i tuoi parenti o serpenti, insomma tutti sono lì pronti a giudicare sia te, facendoti sentire “sbagliata”, sia la tua famiglia che non è riuscita a compiere il miracolo di crescerti “come si deve”».
E così le seconde generazioni sono chiamate, per l’ennesima volta nella loro vita, a mediare, negoziare e definire pratiche e spazi di riconoscimento, modelli di comunicazione e forme di identificazione che tengano conto non solo dell’identità nazionale, ma che includano anche le lealtà ai legami familiari, alla religione, e ad una presunta e continuamente rielaborata appartenenza etnica e culturale.

DECOSTRUIRE PER COSTRUIRE
Se da un lato le attitudini e i comportamenti dei genitori (italiani e non italiani) verso le coppie miste hanno spesso un forte carattere strumentale e/o stereotipato, dall’altra l’esperienza di moltissime coppie miste mostra che i successi sono possibili e che gran parte dell’accettazione, della condivisione e del sostegno alla scelta del figlio si costruisce attraverso la conoscenza del partner e della sua cultura. Quando abbiamo chiesto a Marta e Manuel, coppia italo-dominicana in attesa di un bambino, di immaginare loro figlio tra 20 anni in una relazione «mista», hanno inizialmente mostrato di avere le stesse perplessità dei loro genitori. Poi si sono guardati, sono scoppiati a ridere e si sono corretti: «Prima di giudicare cercheremo di conoscere la persona di cui nostro figlio si è innamorato. Non vogliamo che sia vittima degli stessi stereotipi o pregiudizi di cui siamo stati vittime noi».
Se davvero così sarà, è allora possibile sostenere che davvero i matrimoni misti sono segnali di integrazione. Essi aiutano a sviluppare idee e comportamenti che potranno «decostruire» stereotipi e pregiudizi che troppo spesso non permettono di costruire relazioni umane e di coppia su cui fondare una società realmente inclusiva e rispettosa delle differenze.

Claudia Zilli Ramirez e Viviana Premazzi

Claudia Zilli Ramirez e Viviana Premazzi

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