I dilemmi della famiglia biculturale

L’ora delle scelte

Come si comportano le famiglie miste con i propri figli? Anche in questo caso le possibilità possono essere le più diverse, a seconda che la coppia scelga di valorizzare entrambe le culture, di optare per quella italiana oppure di vivere nell’incertezza. Probabilmente, soltanto quando la cultura sarà vista come elemento dinamico e in evoluzione, potrà nascere una società «diversamente italiana».

Diverse ricerche condotte dagli anni ’90 ad oggi hanno mostrato che esistono tre differenti modalità di gestione delle differenze e delle appartenenze nelle relazioni della famiglia con i figli e con la società. Secondo Graziella Favaro, pedagogista che da anni si occupa di inserimento e successo scolastico di minori stranieri e figli di coppie miste, la famiglia mista può sentirsi: un gruppo cosmopolita; assimilata alla maggioranza; un nucleo instabile e in continua tensione a causa delle differenze esistenti tra le due culture di riferimento familiare.

la FAMIGLIA COSMOPOLITA
Nella prima tipologia familiare i coniugi vivono la propria appartenenza biculturale come un’occasione di arricchimento per sé, per gli altri e tanto più per i figli. In queste unioni le scelte importanti per la vita del figlio vengono rimandate in quell’età in cui il figlio potrà decidere da solo. Questo avviene, ad esempio, in molte coppie in cui la sfera religiosa non è ritenuta fondamentale (i cosiddetti «tiepidi») per cui vengono considerate altre le cose prioritarie da insegnare al proprio figlio. L’atteggiamento dei genitori è orientato alla valorizzazione di entrambe le culture in modo da far conoscere indistintamente tradizioni, valori, usi, al fine di mantenere vive le radici familiari e il sentimento di appartenenza di ogni individuo. Sotteso a questo approccio c’è spesso una conoscenza e un amore per l’altra cultura talvolta anche precedente l’incontro col partner e l’idea che non si sia così distanti, ma sia solo questione di «smussare un po’ gli angoli». Il figlio di queste coppie è quindi portato a vivere una situazione di doppia appartenenza non conflittuale, non considerando minoritaria né l’una né l’altra cultura.

la FAMIGLIA ASSIMILATA
Le famiglie miste che tendono invece all’assimilazione optano per l’accantonamento della cultura e delle origini del coniuge straniero in quanto considerate di intralcio o comunque non funzionali all’inserimento del nucleo familiare, e nello specifico del bambino, nella società in cui esse vivono. L’«invisibilità di un pezzo di storia familiare» sembra essere il prezzo da pagare per proteggere il figlio dalle possibili aggressioni di un ambiente e di un paese che appare discriminante e xenofobo.
È la voce diretta degli interessati che spesso conferma questo aspetto: «Se nel tuo compagno la diversità può essere proprio quell’elemento che attira, che incuriosisce, che stimola l’interesse… quando hai un figlio le cose cambiano perché vorresti solo che tuo figlio fosse il più possibile uguale a te…».

la FAMIGLIA INSTABILE
Le coppie appartenenti al terzo gruppo sono invece coloro che ancora non hanno trovato un’armonia intea e una collocazione nel più ampio ambiente sociale poiché non sono ancora arrivate ad elaborare le differenze alla pari, considerando di eguale valore ed importanza entrambe le culture di riferimento. Queste famiglie vivono in una situazione di continuo conflitto rispetto ad ogni scelta educativa ed identitaria: di conseguenza, le relazioni intee sono stressanti e conflittuali sia per i coniugi sia per i figli i quali vivono la loro appartenenza a due culture in modo problematico e, spesso, scelte orientate ad una piuttosto che all’altra cultura sono vissute come un tradimento nei confronti di uno dei due genitori. Le situazioni di disagio spesso possono evidenziare anche l’esistenza di una disparità nel potere decisionale dei due adulti che li induce a lottare per far prevalere una sola cultura e per trasmettere le tradizioni di un solo paese, il proprio.

LE SCELTE EDUCATIVE
Se nella coppia la differenza, la diversità dell’altro può essere occasione di arricchimento, nella relazione con il bambino far prevalere cultura, abitudini, valori di un genitore, può far emergere sentimenti di perdita e rinuncia. Ecco, dunque, che nelle coppie miste le scelte educative per i figli sono il banco di prova di una negoziazione (o della mancanza della stessa) all’interno della coppia e tra la coppia e l’esterno (famiglie di origine, società di accoglienza). Per tutto questo, per le famiglie miste, l’educazione dei figli è uno degli ambiti più difficili da gestire ed il passaggio famiglia – scuola diventa estremamente delicato.
L’ingresso nella scuola matea, in particolare, segna per i bambini anche il primo confronto con il gruppo, e dunque il confronto con la diversità: il gruppo è il luogo in cui è possibile elaborare la dialettica appartenenza – individuazione, entrambe necessarie allo sviluppo psichico e alla crescita sociale. Il bambino, infatti, nel confronto con gli altri scopre la sua diversità (e le sue somiglianze), mentre gli adulti si trovano a rapportarsi con un’istituzione che ha regole che spesso richiedono un’esplicita dichiarazione della propria scelta sul figlio: l’alimentazione, la lingua, la religione.
Seguendo Favaro, si possono distinguere tre tipologie di scelte dei genitori che ricalcano i gruppi precedentemente individuati: i cosmopoliti; gli assimilati; gli instabili.
I primi sono quei genitori che cercano, attraverso spazi e decisioni quotidiane, di costruire, per i loro figli, legami e appartenenze plurali, senza che vi siano fratture e distanze. Del secondo gruppo fanno parte i genitori che tendono a fare scomparire ogni traccia di memoria e di appartenenza alla cultura altra (quella straniera). Infine, ci sono coloro che oscillano tra scelte ambivalenti e conflittuali che ricadono con effetti talvolta estremamente negativi sul bambino.

«NON SONO MICA UN’EXTRACOMUNITARIA!»
Dal punto di vista dell’istituzione scolastica, invece, è importante da un lato evitare il rischio di non considerare la doppia origine di questi bambini (dato che non sempre la diversità di origini è accompagnata e annunciata da un’evidenza percepibile a prima vista). Dall’altra, occorre non cadere nell’errore di definire «diverso» chi poi nella realtà non lo è, di valorizzare un’appartenenza culturale non sentita o sentita in modo personale (e spesso più complesso) dall’interessato e che è opinabile sia compito della scuola conservare e tramandare.
In una scuola di Milano, ad esempio, quando una ragazzina, figlia di un’egiziana e di un italiano, si è sentita proporre di seguire un corso di arabo a scuola, ha replicato un po’ stizzita: «Non sono mica un’extracomunitaria!». Diventa sempre più importante, inoltre, dato l’aumento delle seconde generazioni, figli di stranieri nati sul territorio italiano, evitare il rischio di reificazione delle culture e di imposizione al bambino «di origine straniera», ma nato e cresciuto in Italia, di una cultura che spesso sente sua tanto quanto, se non meno, quella italiana. Da questo punto di vista è emblematica la storia che l’antropologo Marco Aime racconta a conclusione del suo libro Eccessi di culture1 (la storia a sua volta gli è stata raccontata da don Piero Gallo, parroco di San Salvario, quartiere di Torino caratterizzato da una forte presenza di immigrati): «In una scuola matea del quartiere, frequentata da molti bambini maghrebini, le maestre hanno deciso di preparare il couscous. Hanno cercato la ricetta “originale” per cucinarlo secondo la tradizione. I bambini erano contenti. Poi una maestra ha chiesto ad un piccolo di origini marocchine: “Ti piace?” “Sì”. “È come quello che fa tua mamma?” e la risposta del bambino è stata: “Quello di mia mamma è più buono perché mette uno strato di couscous e uno di tortellini, uno di couscous…”».
È pertanto fondamentale ricordarsi che la cultura non è qualcosa di statico, ma è un processo creato e ricreato dall’incontro tra individui ed è perciò in continua trasformazione ed evoluzione. Le coppie miste e le istituzioni educative sono chiamate a sperimentare congiuntamente pratiche creative nuove e a beneficiare dei successi degli uni e degli altri, sfidando preconcetti e definizioni per la costruzione di una nuova società «diversamente italiana».

Viviana Premazzi

Viviana Premazzi

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