Un’anasili del fenomeno
I matrimoni misti – intesi come unione tra una persona italiana e una straniera – sono ormai oltre il 15% del totale. Il fenomeno è dunque rilevante. Si tratta di un indebolimento del «controllo sociale» o di una conseguenza dell’integrazione e stabilizzazione della componente immigrata della società italiana? In ogni caso, diventare una coppia mista significa confrontarsi con mondi, tradizioni e modelli di comportamento diversi. Oltre che con pregiudizi, stereotipi e pressioni provenienti dalle famiglie d’origine e dalla società. Per tutto questo, rispetto ad un’unione «tra nativi», una coppia mista può risultare più fragile. Quando però essa ha successo, il beneficio ricade sull’intera collettività.
Secondo la professoressa Tognetti Bordogna dell’Università di Milano-Bicocca, pioniera del tema in Italia, «matrimoni o coppie miste» (di solito utilizzati in modo indifferenziato, nonostante le implicazioni legali evidentemente diverse) sono due termini che si riferiscono all’istituzione sociale per la quale due persone, tradizionalmente un uomo e una donna, di paesi diversi, background culturali diversi, religioni diverse o classi socio-economiche diverse, si uniscono in un legame sentimentale (anche se in tanti casi non necessariamente) che viene socialmente riconosciuto e che implica, d’accordo con le condizioni stesse dell’unione, effetti legali.
Queste unioni, sia formali che informali, non sono un fenomeno sociale nuovo. Quando ancora non esisteva il sistema degli Stati-nazione, quando i viaggi erano più difficili da realizzarsi per difficoltà nei sistemi di trasporto e quando la conoscenza e la comunicazione con altre regioni geografiche erano scarse, poteva essere considerato matrimonio misto anche quello tra due persone di diversa provenienza familiare (matrimonio fuori dal circolo dei cugini e altri parenti), di un’altra città (anche se vicina e con un background culturale non molto diverso), di diverse correnti all’interno di una stessa religione o di età particolarmente diverse (quando il matrimonio non era stato anticipatamente approvato dai genitori). Nella storia, casi illustri di unioni miste sono state, per esempio, quelle tra Cleopatra e Giulio Cesare, tra La Malinche e Hean Cortes (dalla cui unione nacque Martin Cortes, uno dei primi meticci nel Nuovo Mondo), e tra Luigi XVI di Francia e Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena. Studi archeologici e storici hanno evidenziato anche l’incidenza di unioni miste a livello popolare (dunque non solo tra i membri delle classi più alte delle società). Alcuni esempi sono quelli citati da Franco Marzatico1, tra membri di comunità etrusche e celtiche negli Appennini bolognesi, oppure quelli citati da Massimo Guidetti2 tra barbari e romani. In ambito letterario è anche possibile nominare per esempio due delle più famose opere di William Shakespeare, Otello e Romeo e Giulietta, nelle quali le coppie protagoniste sono caratterizzate da differenze razziali e familiari nelle società rispettivamente veneziana e veronese del Cinquecento.
L’elemento comune di queste unioni è che esse rappresentano una rottura evidente dei confini imposti dalle convivenze «tradizionali» e dei limiti – impliciti o espliciti – esistenti tra le classi sociali. L’elemento in continua trasformazione è invece costituito dalle categorie sociali che vengono prese in considerazione quando un rapporto di coppia viene definito come «misto». Oggi, ad esempio, il senso comune, i mass media e la società considerano matrimoni misti, quelli in cui un coniuge ha la cittadinanza italiana e l’altro è straniero (oppure con cittadinanza italiana, ma nato e/o cresciuto in un altro paese e quindi con un background culturale diverso). Queste unioni, passando dal 5,1% nel 1998 al 15% nel 2008, appaiono di estremo interesse poiché si pongono come elemento di «interazione» tra le diverse componenti della popolazione e come testimonianza del melting pot culturale che sta progressivamente contraddistinguendo anche l’Italia, paese di «nuova» immigrazione.
Il formarsi di coppie «miste», inoltre, è considerato generalmente un indicatore sia di indebolimento del controllo sociale delle comunità di appartenenza sui propri membri sia di integrazione nella società «di destinazione». La nuzialità dei cittadini stranieri, infatti, rappresenta uno degli indicatori più significativi del processo di stabilizzazione delle comunità immigrate nel nostro Paese. In questo modo, il matrimonio misto si presenta sia come un interessante laboratorio per l’approfondimento delle dinamiche che caratterizzano la relazione coniugale tout court sia come un luogo di sperimentazione e negoziazione di pratiche e significati culturali, sociali, religiosi, alimentari, etc. La mixitè3, infatti, comporta allo stesso tempo rottura e incontro rispetto a quelle che sono le differenze messe in gioco tra i partner; queste rotture e incontri (riferiti da diversi studiosi del tema come i processi ambigui che continuano a riprodursi non solo all’interno della vita ordinaria della coppia, ma lungo il percorso di vita dei loro discendenti) comportano a loro volta cambiamenti che possono toccare anche le famiglie dei partner e i gruppi sociali a cui questi appartengono. Da queste unioni derivano così importanti implicazioni sociali, psicologiche, giuridiche, religiose e anche economiche a livello collettivo.
Da una prospettiva sociologica è interessante considerare la distanza che può esistere tra i paesi d’origine dei due coniugi (distanza culturale, economica, politica, demografica, etc.), che si traduce, all’interno dei nuclei familiari, in un’unione tra individui che sono stati socializzati a differenti modelli di comportamento (su divisione dei ruoli tra i sessi, educazione dei figli, rapporti con le famiglie d’origine), e spinge a riconoscere che ci sono, in alcuni casi, differenze «più diverse» di altre.
Gli studi già effettuati su queste nuove forme familiari hanno evidenziato la possibilità di una suddivisione in tre livelli dei problemi specifici che le coppie miste debbono affrontare: il livello interindividuale, il livello intercomunitario e quello interstatale.
Certamente, per ogni individuo, il diventare coppia richiede di «fare i conti» col proprio passato, ed è pur vero che ogni nuova coppia -indipendentemente dal proprio background -, si trova a compiere un lavoro di «rinegoziazione» di situazioni in precedenza regolate per ognuno dei due partner da principi e tradizioni legate alla propria famiglia e alla propria origine. Nella coppia mista si confrontano due individui che, nella loro socializzazione, hanno interiorizzato due mondi diversi, probabilmente due concezioni diverse del matrimonio, ognuno con una propria definizione della realtà. È evidente però che lo sforzo richiesto ai partner sarà direttamente proporzionale alla distanza dei loro mondi rispettivi. In questi ambienti familiari sarà quindi particolarmente rilevante la capacità di gestione della doppia appartenenza e il grado di conoscenza, per entrambi i coniugi, della cultura e del mondo dell’altro. È però importante tenere presente che i comportamenti nella coppia mista non sono ascrivibili né a modelli culturali del paese d’origine né a modelli presenti in Italia, ma sono molto spesso oggetto di un processo di reinterpretazione.
Diversi studiosi parlano della coppia mista come di un «corpo a corpo interculturale», proprio perché un matrimonio di questo tipo richiede la rinegoziazione di una quantità impressionante di situazioni, prima regolate diversamente. L’esperienza di alcuni consultori interetnici ha evidenziato come la vera comprensione tra i coniugi sia frutto di una capacità comunicativa che conduca entrambi alla conoscenza della lingua e della cultura dell’altro. Conoscere il mondo del partner è infatti fondamentale perché aiuta a non perdere la propria identità, a sviluppare una maggiore competenza nel prendere insieme le decisioni e nel risolvere i conflitti, a sviluppare relazioni soddisfacenti con la famiglia d’origine del proprio coniuge. L’esigenza di arrivare a una nuova «definizione della realtà», ad una mediazione fra modelli culturali, è quindi da ritenersi fondamentale per la riuscita e la stabilità del rapporto coniugale. Per questo le coppie miste vengono definite «laboratori interculturali» in quanto il confronto con «l’altro» non è teorico, ma reale e quotidiano.
Il secondo livello di interazione è quello delle relazioni tra le comunità. Tanto più i due sposi appartengono a comunità tra loro lontane, per tradizione, lingua, cultura, religione, tanto più sarà difficile per tali gruppi accettare o per lo meno condividere la decisione di un proprio membro di sposarsi al di fuori del gruppo. La scelta di un partner straniero, infatti, viene spesso letta come provocazione nei confronti dell’educazione ricevuta e del proprio gruppo di appartenenza, come gesto di negazione del legame familiare e sociale in quanto ci si pone fuori dai confini del «territorio simbolico» della comunità d’origine. Di frequente il matrimonio misto è quindi elemento di isolamento dal contesto e dal sistema relazionale d’origine dei membri della coppia: le coppie cambiano amici, allentano i legami con le rispettive famiglie. È a partire dalle famiglie di appartenenza degli sposi e dagli amici che si manifestano infatti pregiudizi, stereotipi, pressioni.
Al terzo livello di «problematicità» troviamo i rapporti tra i due Stati di cui i partner sono cittadini, e in particolare i legami esistenti o mancanti tra i rispettivi sistemi giuridici. Questo livello è importante quale tutela non solo dell’istituzione famiglia, ma dei singoli componenti della stessa. A volte la chiarezza giuridica manca sin dal momento della ufficializzazione dell’unione. La mancanza di accordi a livello giuridico si rileva particolarmente importante in caso di custodia dei figli, eredità, divorzio.
Anche a causa dei problemi evidenziati, le coppie miste possono risultare più fragili rispetto a quelle «tra nativi» e dunque più a rischio di rottura e fallimento. Tuttavia, esse si configurano anche come importantissimi luoghi di incontro, dialogo e sviluppo di pratiche interculturali che possono coinvolgere non soltanto la rete familiare dei coniugi, ma l’intera comunità.
Claudia Zilli Ramirez e Viviana Premazzi