Ai lettori
Quando qualcosa va male, normalmente, si incolpa il tempo o il governo. Ma con chi prendersela
se i primi mesi del 2012 sono stati tempi di mietitura per sorella morte che ha
presentato il biglietto di ritorno a Casa a un buon numero di missionari (8) e missionarie
della Consolata (5)? Tredici in meno di due mesi sono tanti! Tutte persone che hanno dato
molto, anzi, tutto per la missione.
Penso a questo mentre sento il mio superiore generale commentare le statistiche dell’Istituto. A
fine 2011 i missionari della Consolata erano in tutto poco più di mille, di cui italiani solo 364, con
un’età media di sessantasei anni. Ora sono solo 356, di cui uno studente di teologia e un novizio.
E mi guardo intorno. Tanti di questi 356 sono ora in Italia, consumati da anni di vita spesa senza
pensare a se stessi, bisognosi di cure e assistenza e un po’ sconsolati nel vedere che non ci sono
giovani italiani a cui passare il testimone. «Eppure», dice un missionario novantaseienne, «la vocazione
missionaria è la più bella di tutte. Dovessi rinascere, vorrei ancora essere missionario».
Chissà se rinascendo oggi in questa nostra Italia, davvero rifarebbe la scelta di essere missionario!
Non sembra proprio una delle scelte più di moda.
Il 29 aprile sarà la giornata di preghiera per le tutte le vocazioni, in particolare quelle sacerdotali
e di vita consacrata. Occorre pregare affinché ogni cristiano risponda con generosità alla sua
specifica vocazione e perché ogni vocazione, specialmente quella al sacerdozio, sia veramente
missionaria. La missionarietà – direbbe il beato Giuseppe Allamano – è la perfezione del sacerdozio.
C’è bisogno di chiedere a Dio – non solo il 29 aprile – che «mandi operai nella sua vigna»,
perché troppi vignaioli hanno già superato l’età della pensione da un pezzo e non ce la fanno più.
In Italia siamo ancora privilegiati. Secondo le statistiche c’è ancora un sacerdote ogni 2.000 abitanti
circa (ogni 1.250 se contiamo anche i preti religiosi). In più, la domenica, abbiamo solo l’imbarazzo
della scelta per andare a messa. Però la situazione sta cambiando rapidamente. «La
chiesa cattolica [in Italia, ndr.] non è mai stata così forte, non ha mai avuto un consenso così ampio
(anche tra chi non crede). Eppure si avvia verso l’estinzione: per mancanza di preti. Lo dice
uno studio socio-demografico della Fondazione Agnelli, benedetto dai vescovi italiani», così
scriveva Gianni Barbacetto nel suo sito nel 2009. La situazione non è certo migliorata oggi, a tre
anni di distanza.
Che fare? Disperarsi? Rassegnarci? Ovviamente niente di tutto questo. La Chiesa è passata anche
attraverso crisi peggiori durante due millenni di storia e continua a vivere e rinnovarsi perché
è opera di Dio e non di uomini. Ciò non significa che dobbiamo starcene con le mani in mano
in attesa che faccia tutto Dio. Certamente è Lui che chiama e manda, ma ha bisogno della nostra
collaborazione. Le vocazioni non è un affare del Vaticano o dei vescovi, ma della Chiesa e quindi
«mio» in quanto sono cristiano. La «mia» Chiesa ha bisogno di sacerdoti, religiosi, suore, ministri,
catechisti, animatori e missionari per vivere, celebrare e annunciare. Una Chiesa locale che
non ha più vocazioni deve davvero interrogarsi sulla qualità della sua vita di fede, chiedersi se
l’evento della risurrezione di Gesù abbia in essa ancora la forza rivoluzionaria delle origini, se
sia ancora vissuta come una «buona notizia» per cui vale la spesa lasciare tutto e andare fino
agli estremi confini del mondo per condividerla con tutti. Non è forse che siamo diventati tutti un
po’ idolatri, schiavi del nostro benessere e quindi incapaci di quella gratuità e abbandono fiducioso
che il «vieni e seguimi» di Gesù richiede?
Aprile è tempo di Pasqua, memoria della resurrezione del Signore, la «buona notizia» che continua
a cambiare il mondo e la nostra vita. Diventiamone giorniosi testimoni! Allora i missionari non
saranno più una specie in via di estinzione.
Buona Pasqua.
Gigi Anataloni