God Bless America!

La «religione civile» statunitense

Gli Stati Uniti, melting pot sociale, hanno avuto bisogno di un collante. È così nato il «culto alla nazione», con i suoi riti, profeti, luoghi e scritture sacre. E gli Usa di oggi celebrano e proteggono queste tradizioni.

Gli Stati Uniti sono la nazione che meglio è riuscita nel corso della storia ad incarnare una profonda religiosità civile e a farla convivere con le più diverse forme di religiosità «spirituale». Fino all’articolo (1967) di Roberth Bellah, Civil Religion in America, che ha coniato il termine «religione civile», gli studi precedenti avevano cercato di dimostrare come lo stato-nazione e la sua idea nazionalistica secolarizzante fossero ritenuti i successori del sentimento comunitario religioso. L’articolo di Bellah però, scritto soprattutto per giustificare l’intervento americano in Vietnam, ha dimostrato come proprio il nazionalismo possa assumere vesti religiose e come ci sia perfettamente riuscito negli Stati Uniti. Il melting pot degli americani, venuti da tante terre diverse, funziona, secondo il sociologo, perché tutti – pur mantenendo nella maggior parte dei casi la loro religione d’origine – adottano una «religione civile» che ha i suoi simboli e i suoi riti: la bandiera, l’inno, le feste, le parate, il culto della presidenza. Tutti siamo abituati, ad esempio, ad udire benedizioni come il famosissimo God bless America alla fine dei discorsi dei presidenti. Il merito della religione civile americana, secondo Bellah, sta non solo nell’aver saputo evitare i conflitti con le «religioni religiose», ma anche nell’aver trovato creative forme di convivenza e sovrapposizione. Sono stati costruiti, infatti, simboli potenti di solidarietà nazionale che sono riusciti a mobilitare livelli profondi di motivazione personale per il raggiungimento di traguardi nazionali. La religione civile, inoltre, non è assimilabile a un generico «culto della nazione americana», ma si può intendere come «una comprensione dell’esperienza americana alla luce di una realtà ultima ed universale».

I riti americani
Ma dove è oggi più visibile la religione civile e con che strumenti è più facile conservarla e trasmetterla di generazione in generazione? Di sicuro nei discorsi dei presidenti e in tanti simboli, riti e feste nazionali sacre che scandiscono il ritmo stagionale dei cittadini americani: l’Indipendence Day, il Thanksgiving Day, il Veterans Day e il Memorial Day. Ma anche nei tanti luoghi sacri nazionali oggi preservati grazie al lavoro del National Park Service. Questo ente nasce  nel 1916, proprio con lo scopo di custodire il patrimonio storico (e naturalistico) della nazione, prendendosi cura dei luoghi in cui la storia è avvenuta, secondo l’idea che, si legge nel sito: «La storia è ovunque, è parte di ciò che noi eravamo, di ciò che siamo e di ciò che saremo». La religione civile, infatti, è ciò che unisce nel profondo un popolo e le sue istituzioni, è la «narrazione» della sua vicenda storica e della sua tradizione culturale. La storia e il servizio offerto dai parchi storici, dunque, si inserisce nel più ampio orizzonte dell’educazione del cittadino americano. Diversi sono infatti i servizi offerti dai parchi per studenti ed insegnanti perchè è attraverso la trasmissione della memoria storica e la conoscenza di alcuni luoghi di importanza simbolica, che si crea e si sostiene l’orgoglio e un forte senso di appartenenza nazionale.

La nascita della nazione
Il principale luogo sacro nazionale che celebra l’origine degli Stati Uniti d’America è di sicuro la colonia di Plymouth in Massachusetts. Qui, infatti, quattro secoli fa, sbarcarono i primi Padri Pellegrini, dopo un duro viaggio attraverso l’Oceano Atlantico. Oggi a Plymouth c’è la Plymouth Plantation, un «museo vivente» che mostra l’insediamento originario della colonia attraverso una ricostruzione del villaggio inglese del XVII secolo. Nella sezione del museo ad esso dedicata, gli attori parlano, si comportano e vestono in modo adeguato per il periodo. Gli abitanti della colonia raccontano la dura vita degli inizi, ma anche il sogno, la fede e la perseveranza che li accompagnava nella costruzione di una nuova società basata su diritti e libertà.
Tra i passaggi decisivi nello sviluppo della religione civile in America, il primo e, forse, più importante, è legato alla rivoluzione americana (1775-1783). Partita dalla capitale del Massachussets, Boston, con la rivolta del tè, la rivoluzione ha consacrato la figura di George Washington a «Mosè nazionale» in grado di guidare il suo popolo verso la liberazione. Non c’è nessun altro periodo della storia americana, durante il quale così forte si sia sentito il dovere e il diritto di creare un nuovo mondo, una nuova società, come durante la rivoluzione americana. Thomas Paine catturò lo spirito del tempo, usando, ancora una volta, riferimenti «religiosi», quando scrisse: «Abbiamo in nostro potere la possibilità di far ricominciare il mondo, ancora una volta. (…) La nascita di un nuovo mondo è a portata di mano». Oltre all’appello per la creazione di un mondo nuovo, la rivoluzione ha prodotto profeti (come George Washington, Thomas Jefferson e Thomas Paine, tra gli altri), martiri, rituali, bandiere, festività e vacanze sacre, e pure una «Sacra Scrittura»: la Dichiarazione di indipendenza e la Costituzione.
Il Minute Man Historical Park, tra Lexington e Concord, in Massachusetts, è il luogo in cui è cominciata la Rivoluzione, il 19 aprile 1775 (A Revolution begins – A Nation is bo). I visitatori hanno la possibilità di attraversare il campo in cui è stato sparato il colpo che dette inizio alla rivoluzione: «The shot heard round the world» (il colpo che si è udito in tutto il mondo), riprendendo una frase che è poi divenuta la strofa iniziale dell’Inno di Concord di Ralph Waldo Emerson e che già dimostra l’importanza e la carica simbolica attribuita all’evento. Quel colpo, sparato forse accidentalmente, dà inizio alla rivoluzione americana e ai successivi scontri tra i due eserciti: la milizia e l’esercito regolare britannico che avevano combattuto fianco a fianco pochi anni prima nella guerra franco-indiana. È il momento fondante della ribellione, quando prende vita ed esce allo scoperto dopo una serie di azioni segrete. È anche la prima volta che un esercito composto di miliziani sfida il più potente esercito dell’epoca.
Nel parco è presente una statua dedicata al Minute Man, il soldato della milizia, che diventa il simbolo di una battaglia e dell’impegno per l’affermazione degli ideali di democrazia e libertà, contro chiunque, anche se più grande e potente, come nel caso dell’esercito britannico, voglia negarli o metterli in discussione.

Il «non ritorno»
Moltissimi sono i parchi celebrativi della rivoluzione americana ed un altro che merita attenzione è il Saratoga National Historical Park: A Crucial American Victory (Una vittoria americana cruciale). A Saratoga, infatti, nell’autunno del 1777 le forze americane incontrarono, sconfissero e costrinsero alla resa l’esercito britannico, segnando «il punto di svolta della rivoluzione americana», espressione con cui la battaglia di Saratoga è poi stata conosciuta e tramandata. Saratoga ha, infatti, rinnovato le speranze di indipendenza e, nell’epica che circonda la rivoluzione, «ha cambiato per sempre il volto del mondo». Il forte significato simbolico della battaglia di Saratoga sta nel fatto che l’imponente esercito inglese fu costretto ad arrendersi agli americani, cioè, ancora una volta, a coloro che volevano creare un nuovo mondo basato su libertà, democrazia e giustizia.
La religione civile sembra finora aver garantito un’unità culturale, basata sulla conquista e la difesa della democrazia, sulla libertà e l’uguaglianza di diritti e di doveri, per un popolo dalle diverse fedi e culture. Ma in un momento storico caratterizzato dalla globalizzazione e dallo sviluppo di società sempre più complesse e multiculturali permane il dubbio se la religione civile possa ancora essere il collante in grado di tenere insieme una nazione. E se gli americani saranno ancora in grado di riconoscersi come cittadini di questo Paese.

Viviana Premazzi

Viviana Premazzi

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