I giovani e la vita nell’Arca
Sempre più incuriositi dai due anni di formazione alla non violenza, la cosiddetta Fève (Formazione e sperimentazione alla vita comunitaria), ci rechiamo nella biblioteca comunitaria dove ci aspettano Marie e Vincent.
Ci troviamo davanti due ragazzi poco più che ventenni, dai tratti fini e dai modi gentili. Sono fidanzati e hanno deciso di affrontare insieme il percorso della Fève. Marie, 24 anni, è nata e cresciuta nell’Arca di St. Antornine, ma ha già sperimentato cosa significhi vivere al di fuori dell’abbraccio della comunità. «Quando cresci nella comunità non ti fai molte domande, non ti rendi conto di vivere in modo “alternativo”. Vedi tante persone. Alcune le conosci da sempre e sono la tua famiglia, altre restano per qualche anno, altre ancora passano e se ne vanno».
Anche lei se n’è andata, ma solo per un po’. Tre anni di psicologia all’università, Barcellona, Grenoble, l’adesione insieme a Vincent al movimento degli Squatters. In mezzo anche un’esperienza all’altra Arca, quella rurale della Borie Noble. Utile, questa, per imparare tanti mestieri manuali, trovare un proprio stile di vita, un saper-fare che garantisca il necessario sostentamento senza vincolarsi a un lavoro di routine, che Marie dimostra, anche in modo molto espressivo, di aborrire. «Vivere insieme non è facile, ho constatato quanti conflitti possano sorgere anche tra individui pieni di buona volontà. Gli spazi comuni sono luoghi di equilibri delicati. Per viverli senza conflitti bisogna darsi delle regole e maturare come individui. La Fève è stata concepita qui a St. Antornine da persone con l’esperienza adatta a comprendere e spiegare le difficoltà e gli ostacoli che si incontrano nelle relazioni di coppia, di famiglia o di comunità. In questo modo ci prepariamo al futuro, seminando il grano della nonviolenza dentro di noi con la speranza di essere un giorno adulti migliori, almeno di averci provato forse più seriamente dei nostri coetanei degli anni ‘70, che in molti casi hanno fallito nel tentativo».
Il mondo cambia, i giovani anche…
«La violenza distrugge i progetti collettivi», a parlare è ora il ventitreenne Vincent. «L’ho sperimentato nelle “occupazioni” e nei tentativi di comunità fatti in modo “artigianale” dai miei amici, ai quali mi sono avvicinato con curiosità e interesse negli anni passati. Qui stiamo imparando strumenti e antidoti a queste pulsioni, lavoriamo sulla qualità dei rapporti interpersonali, imparando le tecniche di comunicazione nonviolenta, anche di matrice americana, e i metodi di gestione dei conflitti e della riconciliazione».
Vincent è un geografo, il suo sogno di ragazzino era lavorare al «Departement National de Geographie». Le esperienze di vita, la maturazione personale e il mutato scenario del mondo del lavoro lo hanno cambiato. Politicamente si sente un anarchico, ma ha capito che vivere un’esistenza individualista, creare una famiglia chiusa su se stessa o difendere un salario fisso non è quello che desidera per sé.
Formazione e sperimentazione
Marie ci parla ancora delle Fève: «È un progetto nuovo, questo è il suo secondo anno. È un corso non ancora riconosciuto dallo stato, che si avvale però di formatori estei, psicologi e professori provenienti dal mondo delle Università. Il numero di partecipanti è variabile, ma non dovrebbe superare le 12 persone all’anno, con età non superiore ai 35 anni. L’ammissione è sottoposta al giudizio dei membri della comunità che verificano comportamenti e motivazioni nell’arco di una settimana di vita comunitaria, obbligatoria e propedeutica per chi desidera intraprendere questo cammino. La formazione avviene a settimane altee, nella prima si fanno le sessioni formative che durano circa tre giorni. Nela successiva si sperimenta ciò che si è appreso, vivendo e lavorando insieme agli stagisti e ai membri stessi dell’Arca. Ogni settimana, al martedì pomeriggio, interviene una psicologa, con cui ci si confronta sui problemi legati alla convivenza e ai rapporti interpersonali. Lo facciamo tutti insieme, senza false ipocrisie o remore di sorta, con i membri dell’Arca».
Decrescita economica e crescita interiore
Chiediamo, pragmaticamente, se il corso della Fève potrà dare sbocchi lavorativi per il suo futuro. La domanda è evidentemente quella sbagliata, non sembra essere apprezzata da Marie che ci risponde con una piccola smorfia sul volto.
«Forse sì, forse no. Alcune associazioni sono interessate a replicare un corso sulla nonviolenza. In generale c’è fermento e voglia di divulgare. Piuttosto all’interno della comunità si imparano molti lavori: giardinaggio, cucina, vasellame, cucito, questi sì utili per il nostro futuro e per le persone che sono vicino a noi».
Stiamo parlando con una ragazza che non avverte certo l’ansia di trovarsi un lavoro, che sente l’urgenza di una crescita personale più che economica. Ma, di fronte alla scelta di Marie come reagiscono gli amici e i conoscenti?
«In generale, quando parlo per la prima volta dell’Arca, cioè dell’eco sistema in cui sono cresciuta, le persone si spaventano, non capiscono o confondono il concetto di comunità, ad esempio, con “sesso libero’”. Li invito a conoscerci e chi viene qui, si trova sempre a suo agio, si diverte e resta piacevolmente sorpreso. La reazione dipende comunque da persona a persona: ci sono i ricettivi e ci sono gli scettici».
La spiritualità nelle giovani leve
Come vivono la spiritualità i giovani come te, cresciuti qui? «La ricerca spirituale vuol dire, per noi, soprattutto fermarsi e fare spazio, riflettere. Il rappel (richiamo), il suono della campanella durante la giornata, serve proprio a questo. È un suono che arriva improvviso e ci dice di fermarci un momento per dedicarci a noi stessi e fare un minuto di meditazione. I giovani amano molto questa cosa. La preghiera resta un gesto soprattutto privato, come nella società estea. Chi è cresciuto qui, in genere, ama molto i rituali, i bambini ed i ragazzi vanno sempre alla preghiera della sera. Ma c’è chi non ci va: mia sorella, ad esempio (ride…). Ma in generale gli aspetti ecumenici sono molto apprezzati».
Decidiamo di salutare Marie e Vincent con una provocazione. La Francia di oggi, come vi considera? Gli ultimi seguaci di una bella utopia o cos’altro?
Marie sorride ma evita il trabocchetto. «È una bella utopia, ma funziona, tant’è che le comunità dell’Arca esistono da più di 50 anni. Ci sono membri che hanno trascorso tutta la vita in queste comunità. In Francia c’è un buon movimento, spesso mirato a obiettivi specifici, che collimano con le battaglie molto concrete che anche le nostre comunità hanno “combattuto” in passato. L’anti Ogm e il localismo di Josè Bové è una di queste. C’è molta gente che conosce il pacifismo, ma sa poco di comunicazione nonviolenta, e di nonviolenza intesa soprattutto come lavoro dell’individuo su se stesso».
Come non darle ragione? L’Arca di Lanza del Vasto, profeta della nonviolenza, ha introdotto già dalle sue origini concetti ultra modei. Ha cercato «l’altro mondo possibile», la «decrescita felice», il sostentamento a chilometro zero, in tempi non sospetti. Ha perseguito con fermezza e caparbietà la promozione dell’essere umano, andando molto oltre i concetti di tolleranza e solidarietà.
Luca Cecchetto