Attenzione contro indifferenza
Il messaggio quaresimale del Papa è finalmente arrivato, anche se all’ultimo minuto, pochi
giorni prima della Quaresima. Il tema è preso dalla lettera agli Ebrei (10,24): «Prestiamo attenzione
gli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone». Tre i punti
sottolineati: l’attenzione contro l’indifferenza, la reciprocità contro l’individualismo materialista,
lo stimolo al bene contro l’appiattimento e la mancanza di speranza.
Sono parole attualissime in questa nostra società di grandi brontoloni individualisti e senza speranza.
Cito abbondantemente dal messaggio con qualche povero commento per sintetizzare in
questa paginetta dell’editoriale un testo che merita di essere letto nella sua interezza (si trova facilmente
in www.vatican.va).
«Il verbo che apre la nostra esortazione (fare attenzione, ndr.) invita a fissare lo sguardo sull’altro,
prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti
alla sorte dei fratelli. Spesso, invece, prevale l’atteggiamento contrario: l’indifferenza, il
disinteresse, che nascono dall’egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto per la “sfera privata”.
Anche oggi risuona con forza la voce del Signore che chiama ognuno di noi a prendersi cura
dell’altro. Anche oggi Dio ci chiede di essere “custodi” dei nostri fratelli (cfr Gen 4,9), di instaurare
relazioni caratterizzate da premura reciproca, da attenzione al bene dell’altro e a tutto il suo bene.
Il grande comandamento dell’amore del prossimo esige e sollecita la consapevolezza di avere
una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio: l’essere fratelli in umanità e, in
molti casi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell’altro un vero alter ego, amato in modo infinito
dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di frateità, la solidarietà, la giustizia, così come
la misericordia e la compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore».
Quest’attenzione ci porta ad avere a cuore il bene totale dell’altro: fisico, morale e spirituale. È un
antidoto contro il «cuore indurito» che rende ciechi alle sofferenze e bisogni altrui. Presi dai nostri
problemi, dalla crisi economica, dalla morsa del gelo, dal degrado sociale e dalla paura, noi
tutti siamo davvero a rischio di ritrovarci col cuore «indurito», cieco ed intristito. «Non bisogna tacere
di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per
semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri
fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene».
Per reagire a questa situazione occorrono reciprocità e solidarietà. L’«attenzione» è dare e ricevere,
scambiarsi doni, aiuto, sostegno, stimoli. Diventa gareggiare nel bene, rallegrarsi e ringraziare
dell’azione di Dio in mezzo agli uomini. «I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia,
vivono in una comunione che li lega gli uni agli altri come membra di un solo corpo. Ciò
significa che l’altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza.
Tocchiamo qui un elemento molto profondo della comunione: la nostra esistenza è correlata
con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche
una dimensione sociale».
Da ultimo il Papa ci invita a «stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone: camminare insieme
nella santità». Sembra quasi un invito assurdo in questo nostro mondo, parlare addirittura
di santità in tempi in cui si fa fatica a vedere oltre il muro di neve che ci circonda, in cui si è persa la
capacità di sognare e il sopravvivere sembra la regola principale.
«Prima santi», diceva il beato Giuseppe Allamano. Puntare alla santità oggi non vuol dire essere
persone che vivono fuori del mondo, ma essere in questo mondo con una carica di speranza, di
energia, di rinnovamento unica. È una carica che fa reagire all’appiattimento, alla mediocrità, alla
disperazione. Rende capaci di ottimismo, «fa gareggiare nella carità, nel servizio e nelle opere
buone». Non per buonismo, ma per sete di giustizia, di solidarietà, di un nuovo modo di fare politica,
di nuove relazioni dove la persona e non il profitto sia al centro, perché la persona è immagine
di Dio. Vivere da santi è allora vivere, non semplicemente lasciarsi vivere.
Gigi Anataloni