Accade a kombinat

Premessa

A 20 anni dalla caduta del regime comunista, a quasi 15 dai disordini del 1997, dovuti alla grave crisi finanziaria delle «piramidi», Kombinat è diventato un luogo effervescente di vita, dove l’arte dell’arrangiarsi, della sopravvivenza e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo può evolvere nelle direzioni più impensabili. È stupefacente la capacità, almeno apparente, di convivenza sociale che regna in questa caleidoscopica realtà dove, nel comprensibile desiderio di una vita migliore a qualunque costo e in tempi rapidi, vi è una massadi persone impegnate nella lotta per la sopravvivenza, a fronte di pochi, più ricchi e più furbi, altrettanto impegnati nel trae i maggiori vantaggi. A Kombinat convivono vecchi abitanti e nuovi immigrati da diverse parti d’Albania e gli «sfortunati» (o esclusi, come i Rom) provenienti da altre zone di Tirana: tanti gruppi che si tengono distinti, pur non avendo conflitti visibili.
Naturalmente, pur nella convivenza dichiarata, permane una diversità tra abitanti di vecchia data e nuovi arrivati. Nei primi vi è fierezza e orgoglio per essere stati i costruttori di Kombinat, fabbrica e quartiere, e tanta nostalgia e amarezza per com’è ora: essi avevano creduto nel sogno di una «nuova» Albania e, ora più degli altri, rimarcano amaramente il degrado e l’abbandono in cui versa il Paese.
I nuovi arrivati sono giunti con la speranza che qui qualcosa in qualche modo si possa trovare o possa accadere, e comunque hanno abbandonato l’isolamento della campagna e delle montagne, per vivere il «benessere» della città. Ma tra questi vi è anche emarginazione, disperazione, che a volte portano all’alcornol, alla droga e alla prostituzione; vi è povertà economica e morale, che a volte porta all’inaccessibilità alla scuola e al sistema sanitario. Molti vivono in abitazioni di fortuna e non risultano neanche iscritti nelle liste dell’anagrafe comunale: hanno solo elaborato strategie di sopravvivenza per esistere in un’area deindustrializzata.

Il grande desiderio e bisogno di comunicare della gente può essere interpretato come un modo per esorcizzare la sindrome di abbandono da parte delle istituzioni e il senso di precarietà che minaccia non solo le esistenze individuali, ma l’intera dimensione collettiva. Con il vecchio regime, gli albanesi vivevano in un ambiente certamente non confortevole, come tenuti sotto chiave, ma almeno socialmente sicuro e «protettivo».
Oggi, i cittadini di vecchia data e i nuovi inurbati a Kombinat stanno scontando un disorientamento e tale da far rimpiangere l’organizzazione sociale e, ancor più tra i meno abbienti, il sostegno sanitario e assistenziale del regime passato.  
Occorre traghettare la società albanese verso un sistema in cui lo Stato possa nuovamente essere riconosciuto come garante di legalità e governabilità; uno Stato che ponga al centro della propria attività lo sviluppo del Paese e il benessere sociale dei suoi cittadini tutti.
È quello che l’Ong Col’or (Camminiamo oltre l’orizzonte) realizza dal 2003, lavorando in Albania in generale e con gli abitanti di Kombinat in particolare. In questi anni essa ha realizzato numerosi progetti che spaziano da attività a favore delle famiglie, al sostegno alla locale associazione di donatori di sangue, fino ad attività di formazione professionale e avviamento al lavoro per i giovani in difficoltà.

    Paolo Rossi       

Paolo Rossi

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