Due anni dopo: inizia l’era del presidente cantante
Il paese ha un nuovo presidente e un nuovo governo. Ottenuti con la benedizione delle comunità internazionale. Ma non della società haitiana.
Intanto la ricostruzione e il rispetto i diritti umani sono ancora idee lontane.
La svolta è storica, con il sapore di un ritorno al passato.
Reportage dal paese di Sweet Mickey.
«Ritornare a prima del 1986. Correggere i problemi degli ultimi 25 anni. È questo che intende fare Michel Martelly. Si tratta di un cambiamento sì, ma verso il passato». È il commento del giornalista Gotson Pierre sul nuovo presidente della Repubblica di Haiti.
«Ora l’oligarchia è ancora più forte, è tornata al potere e lo ha fatto sotto forma di una destra populista».
Le elezioni degli stranieri
Ma facciamo un passo indietro. Il 28 novembre 2010 al primo tuo di elezioni truccate e a bassa partecipazione, il popolare cantante di kompa Michel Martelly, Sweet Mickey per i fans, arriva solo terzo. Al primo posto la costituzionalista e docente universitaria Mirlande Manigat e al secondo Jude Célestin, candidato del presidente uscente René Préval e genero del medesimo. Ma solo Célestin può contare su una coalizione di partiti in appoggio (si veda MC gennaio 2011), gli altri due non hanno una base politica.
Le elezioni sono volute dalla comunità internazionale e dallo stesso Préval che vede il suo delfino in pole position. Nella realtà haitiana del dopo terremoto non ci sono le condizioni tecniche (il sisma del 12 gennaio 2010 ha ucciso 300 mila persone e oltre 1,3 milioni sono sfollate) né politiche. La Commissione elettorale provvisoria (Cep), organo «neutrale» incaricato di organizzare le consultazioni, è di fatto in mano al presidente uscente. Così i principali partiti politici non presentano candidati e i movimenti sociali haitiani invitano a boicottare lo scrutinio. Risultato: scarsissima affluenza alle ue, difficili condizioni di voto e brogli massicci.
«Le elezioni sono state una farsa: disprezzo assoluto della popolazione e risultati inattendibili. La maggioranza dei settori della società haitiana non le voleva in quel momento». Chi parla è Suzy Castor, storica, grande intellettuale, e co-fondatrice, insieme al marito, il compianto Gérard Pierre-Charles, di uno dei maggiori partiti haitiani, l’Opl (Organizzazione del popolo in lotta).
I sostenitori di Martelly – anche lui senza un partito, ma appoggiato da migliaia di fans – non accettano la sconfitta e scendono in piazza con violente manifestazioni.
Martelly è legato alla destra duvalierista e aveva sostenuto il colpo di stato del 1991 contro il presidente Aristide. Ha molto seguito e uomini fidati nelle popolose bidonville della capitale. Si rischia il caos totale nel paese devastato dal terremoto e in preda a un’epidemia di colera mai vista.
Elezioni «commissariate»
Le diplomazie Onu e soprattutto Usa si mettono in moto. Si decide una riconta di verbali di voto (non dei voti) per modificare il risultato del primo tuo. Lo scarto tra Célestin e Martelly è minimo (si parla di 6.800 voti), nulla in confronto ai brogli verificati e denunciati da organizzazioni di difesa dei diritti umani haitiane e di monitoraggio elettorale inteazionali.
Hillary Clinton fa un viaggio lampo a Port-au-Prince e convince René Préval a ritirare (informalmente) il suo candidato. La riconta (pilotata) delle «elezioni farsa» ribalta il risultato: Martelly si ritrova al secondo posto a spese di Célestin, che si ritira in buon ordine.
Al secondo tuo, rinviato al 20 marzo, Martelly surclassa Manigat con una percentuale di 67,7% delle preferenze. L’affluenza è sempre molto bassa, meno del 20% degli aventi diritto.
Intanto la coalizione di Préval, Initè, ottiene la maggioranza dei seggi a camera e senato.
Un presidente del passato
L’arrivo alla presidenza di Sweet Mickey legato alla classe dominante haitiana è un vero passaggio storico.
Si tratta del ritorno dell’oligarchia al potere dopo 25 anni di lotte e rivoluzioni dei movimenti sociali. Un’oligarchia che ha radici storiche nella rivoluzione di fine XVIII secolo, e che ha sempre mantenuto le distanze dal popolo, quasi non esitesse.
La novità è l’atteggiamento populista di Martelly, uno show man, che ama il bagno di folla, va in mezzo alla gente, inaugura scuole, fa promesse. Atteggiamento non sempre ben visto dagli altri esponenti dell’oligarchia.
Martelly ha anche amici scomodi, come il colonnello Michel François, il capo della polizia che assieme al generale Raoul Cédras aveva condotto il sanguinoso colpo di stato del 1991 (in tre anni fece circa 5.000 vittime, soprattutto tra i leader della società civile). Golpe organizzato e finanziato dagli Usa (Geroge Bush padre alla presidenza) per stroncare il sogno di libertà e auto determinazione dei movimenti sociali haitiani, gli stessi che rivoltandosi a Jean-Claude Duvalier, l’avevano fatta finita con la dittatura.
Continua Gotson Pierre: «In questa classe dirigente non c’è senso dello Stato, vogliono gestire la cosa pubblica come nel privato; riscontriamo un individualismo spinto. Martelly si appropria dello Stato come di un affare personale: un autocrate».
Suzy Castor, non vuole cedere al pessimismo: «Abbiamo un presidente che canta e danza. Ma in che direzione stiamo andando?
I consiglieri di Martelly sono in maggioranza ex macoute (qui inteso come duvalieristi, ndr) e pochi hanno esperienza delle cose di Stato. Qui, quando si raggiunge il potere, si mette su il proprio clan». E rincara Gotson: «Non c’è ancora coscienza di cittadinanza, il tessuto sociale è debole. La gente è pronta ad accettare quello che il potere fa. L’amministrazione è stata talmente assente negli ultimi anni, che adesso vedendo Martelly correre e mostrarsi in pubblico il popolo pensa: almeno questo si sposta, parla con noi di problemi reali».
Un paese da «ricostruire»
E la ricostruzione? L’oltre un milione di terremotati che vivono in condizioni drammatiche?
La Commissione a interim per la ricostruzione di Haiti (Cirh) voluta dalla comunità internazionale, con l’esclusione totale delle forze vive della società haitiana, e approvata da Préval, è ormai giunta a fine mandato. Ma i risultati sono tutt’altro che evidenti. «Abbiamo l’impressione che i soldi promessi non siano arrivati». Dice padre William Smarth, ottuagenario sacerdote associato alla congregazione dello Spirito Santo. Lui, uno dei pilastri morali del paese, ha «fatto» un pezzo di storia di Haiti.
«Per me la ricostruzione non è un problema di soldi ma un momento partecipativo di dibattito nazionale. Préval è stato nullo: si è preoccupato solo del potere, mantenerlo o mettere un fedele al suo posto. Questo mentre la gente è nel bisogno. Occorre ancora molta educazione politica.
Dopo il 12 gennaio 2010 è stato passivo, anche per questo ha perso consensi e il suo successore designato non è stato votato. Lui ha giocato con la comunità internazionale proponendosi come stabilità».
Si rattrista l’anziano prete a cui si deve la traduzione dei messali e del catechismo in lingua creola e un grande lavoro di formazione per le generazione future, che continua tuttora.
«Oggi è la comunità internazionale che dirige il paese: Usa, Francia, Brasile; con una certa rivalità tra loro. Il Brasile è più accettato dalla popolazione perché ha anche aiutato.
Ma non c’è alcuna realizzazione delle strutture di base. Ora gli stranieri sono stati forzati a provare un altro cammino con questo nuovo presidente.
L’inquietudine è che si appoggi ad un’ala molto conservatrice, una destra non intelligente, ovvero le vestigia di Duvalier. Ma non è più la stessa epoca – continua il sacerdote costretto all’esilio dal dittatore nel 1969 e molto attivo nei movimenti sociali e nella chiesa di base – non possiamo restare con la gente di Duvalier».
Scava nel passato, quasi rivedesse i Volontari della sicurezza nazionale (al secolo Ton ton macoute) sfilare al passo dell’oca con gli stivali lucidi: «Haiti ha acquisito due capisaldi democratici dalla rivolta dell’86. Primo: il diritto di parola, solo dopo grande sacrificio. La stampa però è ancora debole non fa un lavoro di formazione politica. Secondo: la lotta per i diritti delle donne, che sono migliorati, nella vita e nella politica.
Un altro punto importante è la volontà dei genitori affinché i bimbi vadano a scuola. Fino al 1960 non si preoccupavano di questo, soprattutto per le bambine. Adesso si rendono conto che se i figli non sanno leggere e scrivere non hanno via di uscita».
Il ritorno dei dinosauri
E Jean-Claude Duvalier ha fatto di nuovo parlare di se, tornando, a sorpresa, nel paese il 16 gennaio 2011, dopo 25 anni di esilio. Un durissimo colpo per i movimenti sociali, donne e uomini che avevano lottato per rovesciare la dittatura e che, molto spesso hanno famigliari vittime del suo sanguinario regime. Duvalier deve essere giudicato per crimini contro l’umanità ed è oggi sotto libertà vigilata a Port-au-Prince (in realtà si muove liberamente). Un giudice d’istruzione della capitale sta trattando il caso e si aspetta un segnale forte della giustizia haitiana contro l’impunità.
Un mese dopo il ritorno di Duvalier anche Jean-Bertrand Aristide, fuggito nel 2004 in seguito a una rivolta popolare, fa il suo rientro ad Haiti, aumentando ulteriormente la confusione. «Aristide mantiene un basso profilo pubblico. Però incontra molte persone, fa riunioni. Quando è rientrato ha detto di volersi interessare all’educazione» racconta Gotson Pierre. «Il suo partito Fanmi Lavalas non ha più preso posizioni, faceva più uscite pubbliche prima del ritorno».
Diritti sotto terra
Scettiche sul processo di ricostruzione anche le attivissime associazioni di difesa dei diritti umani.
Da alcuni mesi sono iniziate le espulsioni forzate di terremotati accampati in modo informale un po’ ovunque in capitale e in altre città colpite dal terremoto.
«È una questione molto preoccupante e si verifica in continuazione. Una violazione della Costituzione haitiana, nel suo articolo 22 che protegge il diritto alla casa e il diritto delle persone sfollate all’interno del proprio paese, ma anche di convenzioni inteazionali ratificate da Haiti». Chi parla è Antonal Mortimé, giovane segretario esecutivo della Piattaforma di organizzazioni haitiane per la difesa dei diritti umani (Pohdh), la maggiore rete nazionale che raggruppa otto organizzazioni di difesa dei diritti umani ad Haiti.
«Come piattaforma stiamo lavorando in una quarantina di campi dove formiamo le persone affinché rivendichino loro stesse i propri diritti, ma ciò non impedisce che in certe zone, in particolare nella regione metropolitana, si verifichino frequenti espulsioni che causano violazioni sistematiche dei diritti della persona. Questo avviene talvolta con la complicità di agenti di certe municipalità o ancora di grandi proprietari appoggiati dal governo.
Lo stato haitiano dovrebbe farsi carico e accompagnare queste persone affinché trovino un luogo dignitoso per reinstallarsi».
Ma i terremotati sloggiati non ricevono un habitat decente. In alcuni casi i campi sono ricollocati in altre zone, dove però le condizioni non sono differenti dai campi di origine.
«L’Oim (Organizzazione internazionale dei migranti, ndr) ha appoggiato lo Stato a spostare questi campi fuori città, sulla strada verso Nord. Ma qui non c’è elettricità, non ci sono strutture per cure mediche, per l’educazione. Si è lontani dai luoghi di lavoro, con condizioni di trasporto pessime e c’è molta promiscuità. Inoltre sono zone a rischio smottamento, inondazione e contaminazione con colera» continua Antonal.
Sulla costruzione fisica delle case la piattaforma fa pressioni affinché la Cirh si faccia da parte e gli haitiani prendano il controllo del processo della ricostruzione con tutti i mezzi che la commissione ha in mano, ovvero che lo Stato haitiano possa affrontare il problema della casa, nella prospettiva del diritto all’habitat, all’accesso alla terra e ai servizi sociali di base.
Finalmente … il governo
Dopo due tentativi andati a vuoto (bocciati dal parlamento), il presidente Michel Martelly è riuscito, nell’ottobre scorso, ad avere la fiducia dal parlamento per il governo guidato da Garry Conille. Diplomatico e funzionario dell’Onu, Conille è stato consigliere di Bill Clinton nella sua veste di inviato dell’Onu per Haiti. Clinton è anche il presidente della Cirh. In molti, dietro a questa ratificazione, vedono ancora una volta gli interessi della comunità internazionale a gestire la «cosa pubblica» nel paese.
«Osserviamo alcune iniziative inquietanti del governo Martelly-Conille – incalza Antonal Mortimé – È la prima volta dal 1987 che c’è una compagine governativa così numerosa: tra ministri e segretari di stato sono 37. Troppi per un paese senza soldi.
Inoltre è stata annunciato la creazione dell’esercito ad Haiti, senza alcuna consultazione nazionale, non sono stati implicati gli altri poteri, come il legislativo.
Le Forze Armate d’Haiti si sono spesso macchiate di crimini e sono state all’origini di numerosi colpi di stato. Il presidente Jean-Bertrand Aristide, riportato ad Haiti dagli statunitensi dopo il putsh del generale Cédras, nel 1995 aveva soppresso l’esercito. La sicurezza intea e delle frontiere fu da allora affidata alla polizia nazionale e alle missioni militari dei caschi blu Onu che si sono succedute.
«Noi non abbiamo una posizione pregiudiziale sulla questione, ma siamo molto inquieti sul processo che Martelly ha cominciato per ripristinare l’esercito. Ad esempio, contrariamente alla convenzione sull’uguaglianza dei sessi, ha già detto che sarà composta da soli uomini. Inoltre l’iniziativa è stata discussa con la comunità diplomatica, nelle grandi ambasciate, Usa, Canada, Francia, Messico e Brasile. Il parlamento non è stato informato, quando invece è co-depositario, secondo la Costituzione, della sovranità nazionale. C’è la Minustah (Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione di Haiti) il cui mandato è stato rinnovato fino all’ottobre 2012. La questione dell’esercito è legata alla presenza dei militari stranieri, perché si tratta del processo di sviluppo generale del paese per dare una risposta all’insicurezza, e alla ricostruzione».
Preoccupate le organizzazioni per i diritti umani anche per la rinascita dei servizi segreti: «Temiamo che si faccia una retromarcia fino all’epoca Duvalier. Sarà costituito il Sin (Service d’intelligence national) che avrà come missione di sorvegliare i luoghi divertimento, i media, i tribunali, le frontiere, ecc. Abbiamo già osservato un aumento delle perquisizioni su alcune strade. Il controllo della stampa, ad esempio, va contro la Costituzione, garante della libertà di espressione». Martelly parla delle sue grandi priorità: ristabilire lo stato di diritto, l’educazione, l’ambiente e il lavoro. «Nel suo comportamento e nelle sue dichiarazioni, anche nei confronti dei media, non sentiamo che gli stia a cuore lo stato di diritto o l’educazione. La società civile globalmente non è stata consultata su questi grandi temi. Il presidente, per certe decisioni, è passato a lato della Costituzione».
Marco Bello