Il territorio: Una distruzione continua
Capannoni vuoti, appartamenti vuoti (milioni!), seconde e terze case. E poi abitazioni abusive (soprattutto in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), spesso sanate con immorali condoni edilizi. L’edilizia selvaggia spacciata per «crescita economica» del Paese. Mentre si consuma il territorio italiano ad un ritmo impressionante, si deturpa irrimediabilmente uno dei più bei paesi del mondo e si prendono in giro gli italiani che vorrebbero essere onesti. Senza dimenticare che si costruisce senza considerare né il rischio sismico né quello idrogeologico. Come i quotidiani disastri sono lì a dimostrare. E allora spazio a «lacrime di coccodrillo», nuovi sprechi di denaro pubblico, nuove promesse…
Sempre più spesso, viaggiando in Italia, abbiamo la sensazione che le periferie delle città e dei grossi centri abitati si siano estese a tal punto, che talvolta diventa difficile capire dove finisce un agglomerato urbano e ne comincia un altro, se non grazie ai cartelli stradali. All’uscita da una qualunque città, l’immagine ormai più frequente non è quella suggestiva della campagna, ma quella di chilometri di costruzioni, per lo più capannoni (spesso vuoti), ma anche di interi agglomerati sorti nel giro di pochissimo tempo, dove fino a qualche anno prima c’erano prati e campi. Può capitare anche di vedere scheletri di case, la cui costruzione è iniziata e mai finita, oppure tronconi di strade, che portano a nulla, perché in corso d’esecuzione ci si è resi conto dei costi eccessivi che l’opera comportava. Si moltiplicano i centri commerciali (o i famosi outlet), i parchi di divertimento a tema, i parcheggi, le strade. Insomma si sta sempre più consumando il territorio. Al posto di prati e campi, il cemento, l’oro grigio che permette guadagni stratosferici ai costruttori ed ai politici, a scapito dell’ambiente, della qualità della vita e spesso della salute dei lavoratori dell’edilizia. Secondo il dossier di Legambiente «Un’altra casa?»(1), presentato il 15 luglio 2010, dal 1995 al 2009 sono state costruite in Italia 4 milioni di abitazioni, per un totale di 3 miliardi di metri cubi di edifici. Nel contempo, in Italia ci sono la bellezza di 5.320.288 case vuote!(2) Secondo il Movimento nazionale per lo stop al consumo di suolo(3) «non vi è angolo d’Italia, in cui non vi sia almeno un progetto a base di gettate di cemento, piani urbanistici e speculazioni edilizie, residenziali ed industriali, insediamenti commerciali e logistici, grandi opere autostradali e ferroviarie, porti ed aeroporti turistici, civili e militari».
NEL PAESE DELL’ABUSIVISMO E DEI CONDONI
In Italia, ci troviamo di fronte ad una vera e propria anomalia internazionale, a causa della mancanza di una politica per le aree urbane e per l’edilizia abitativa. Manca cioè un ministero dedicato a questi problemi, capace di monitorare e di fermare il consumo di suolo, fissando a livello nazionale un numero massimo di ettari di territorio trasformabili annualmente per usi urbani (ad esempio in Germania il limite massimo è di 10.950 ettari all’anno).
L’Italia è invece il Paese dei condoni edilizi, che inevitabilmente favoriscono l’abusivismo edilizio. Il primo condono del 1985, durante il governo Craxi, regolarizzò 230.000 abitazioni abusive, costruite nei due anni precedenti; il secondo del 1994, con il 1° governo Berlusconi, sanò 83.000 abitazioni abusive ed il terzo del 2004, con il 2° governo Berlusconi registrò 40.000 costruzioni abusive (con un incremento delle medesime, tra il 2001 ed il 2003 pari al 41%), mentre dell’introito previsto di 3,8 miliardi di euro non entrò nelle casse dello stato nemmeno un decimo. Sostanzialmente in due anni venne coperta di cemento illegale una superficie di 5,4 milioni di metri quadrati ed a fae maggiormente le spese furono le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa: la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia, dove è concentrato il 55% delle nuove case abusive. Il legame esistente tra i costruttori edili, la politica e la criminalità organizzata risale agli anni ’50 del secolo scorso.
Ne viene fatta una precisa descrizione nel libro «La colata»(4), dove si legge, ad esempio, che le associazioni criminali da sempre detengono il monopolio delle fabbriche di calcestruzzo, favorendo quindi le imprese edili peggiori ed obbligando spesso quelle, che lavorano onestamente a chiudere i battenti o ad emigrare. Leggiamo anche che nel 1995 Beardo Provenzano spedì un pizzino a Luigi Ilardo, reggente di Cosa nostra per la provincia di Caltanisetta, in cui era evidente il suo interesse per la «cava di Riesi», che non era solo un impianto per la produzione del calcestruzzo; con questo termine, infatti, Provenzano indicava la Calcestruzzi S.p.A., azienda leader a livello internazionale, appartenente all’epoca al gruppo Ferruzzi di Raul Gardini ed oggi alla Italcementi Group. In Campania, invece è presente la camorra, con il clan dei casalesi, che, secondo le inchieste della procura di Napoli, sono legati niente meno che al sottosegretario all’Economia del quarto governo Berlusconi, cioè Nicola Cosentino, per il quale nel novembre del 2009 viene chiesto l’arresto per concorso in associazione mafiosa, arresto poi negato dalla Camera dei deputati.
RISCHIO SISMICO E RISCHIO IDROGEOLOGICO
Il rapporto di Legambiente rileva anche la pessima qualità dell’edilizia costruita negli ultimi 15 anni, come è stato purtroppo tragicamente dimostrato durante il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 dal crollo di costruzioni recenti come la Casa dello studente, e durante quello del Molise del 31 ottobre 2002, che colpì S. Giuliano di Puglia in provincia di Campobasso, dove crollò la scuola del paese, uccidendo 27 bambini ed una maestra. Purtroppo nel corso degli anni si è continuato a costruire, spesso abusivamente, senza tenere per nulla in conto la fragilità del territorio italiano. Il Centro studi del Consiglio nazionale dei geologi, in collaborazione con il Cresme ha condotto uno studio sullo stato del territorio italiano, dal titolo Terra e sviluppo, decalogo della terra 20105, dove si legge che in Italia sono 6 milioni le persone, che vivono in zone ad alto rischio idrogeologico e 3 milioni quelle in zone ad alto rischio sismico. I cittadini, che vivono in zone a medio rischio, arrivano invece a 22 milioni. Il 10% del territorio italiano e l’89% dei comuni sono colpiti da elevata criticità idrogeologica, mentre l’elevato rischio sismico interessa quasi il 50% dell’intero territorio nazionale ed il 38% dei comuni. Inoltre, nel rapporto si legge che in Italia vi sono 1.260.000 edifici a rischio frane ed alluvioni; di questi 6.000 sono scuole e 531 sono ospedali. Della popolazione a rischio idrogeologico, il 19%, cioè oltre un milione di persone, vive in Campania, 825.000 in Emilia-Romagna ed oltre mezzo milione in ciascuna delle tre grandi regioni del Nord, cioè Piemonte, Lombardia e Veneto. Segue poi la Toscana. Il 40% dei cittadini vive invece in zone ad elevato rischio sismico e la maggior parte degli edifici residenziali è stata costruita prima dell’entrata in vigore della legge antisismica per le costruzioni del 1986. Tra le regioni a maggiore rischio sismico c’è la Sicilia, seguita dalla Calabria e dalla Toscana. Si calcola che lungo le superfici ad alto rischio sismico (come già detto, il 50% del territorio italiano) siano stati costruiti circa 6.300.000 edifici, di cui 28.000 scuole e 2.188 ospedali.
Secondo il rapporto di Legambiente, l’Italia, sulla carta, tutela il 47% del proprio territorio, ma nella pratica non vengono effettuati controlli. Ci troviamo pertanto di fronte alla totale inadeguatezza dei meccanismi di tutela sia dei beni paesaggistici, che degli aspetti idrogeologici, nonché dell’ambiente e della lotta all’inquinamento nelle aree urbane. Assistiamo ad una latitanza tanto del ministero delle Infrastrutture, che dovrebbe occuparsi delle questioni edilizie, quanto di quelli dell’Ambiente e dei Beni culturali; quest’ultimo dovrebbe occuparsi del danno provocato dall’edilizia selvaggia ad importantissimi siti archeologici(6).
CUBATURA DELLE MIE BRAME
Anziché limitare la costruzione di nuovi edifici, con ulteriore consumo del territorio, nel marzo 2009 venne proposto dal governo Berlusconi il cosiddetto «Piano casa», che aveva lo scopo di portare rimedio alla crisi economica, incentivando l’edilizia, grazie al permesso di ampliare la cubatura delle proprie abitazioni fino a 300 metri cubi (100 metri quadrati) e di elevare ogni fabbricato di 4 metri oltre il limite dettato dalle norme urbanistiche vigenti. Inoltre, secondo questo piano, sono possibili i cambi di destinazione d’uso; se si abbatte si può ricostruire più grande del 35% e non c’è più bisogno di alcuna concessione edilizia, per iniziare i lavori, ma basta produrre una segnalazione certificata d’inizio attività, che dovrebbe riguardare atti, autorizzazioni, permessi e nulla osta per eliminare ogni ostacolo o controllo per le imprese e perfino il silenzio assenso, nel caso di autorizzazioni paesaggistiche. In pratica tutte le procedure di controllo erano ridotte all’autocertificazione. Poiché le regioni rivendicarono la loro competenza in materia ed inoltre poiché nel mese di aprile 2009 si verificò il terremoto dell’Aquila, che riportò in discussione le norme antisismiche, questo decreto legge non vide la luce, così come concertato, ma venne data la possibilità ad ogni regione di legiferare sulla sua falsa riga, per cui quasi tutte le regioni vararono gli aumenti di cubatura, che, secondo i calcoli del Wwf, potrebbero portare ad un milione di stanze in più ed in qualche caso ad un effetto condono sotto mentite spoglie.
DANNI ALL’AMBIENTE E ALL’AGRICOLTURA
L’edilizia selvaggia rappresenta un gravissimo danno sia per l’ambiente, che per i beni paesaggistici e culturali. In particolare, per quanto riguarda l’ambiente, oltre a sottrarre superficie alla produzione agricola (si calcola che in 40 anni siano andati persi 5 milioni di ettari di terreni agricoli), la cementificazione dei suoli produce pesantissime conseguenze sull’ecosistema: difficoltà di ricarica delle falde acquifere, aumento dei deflussi superficiali (e quindi del rischio di alluvioni), contaminazione da inquinanti, maggiore conversione dell’energia solare in calore sensibile, diminuzione dell’evapotraspirazione (con aumento dell’«isola di calore»), asfissia del sottosuolo (cioè la conversione dell’ambiente ipogeo da aerobio ad anaerobio)(7). Quest’ultimo punto è particolarmente grave, se si pensa che il suolo impiega in media 100-200 anni, per formare un sottile strato di materiale organico stabilizzato da vegetali pionieri, ma ci vogliono circa 500 anni perché questo strato raggiunga lo spessore di 2,5 centimetri, mentre per lo sviluppo di un suolo maturo è necessario un ulteriore millennio. È pertanto evidente che ricoprire con del cemento un suolo fertile comporta un danno irreversibile per millenni e, di conseguenza, la privazione, per le generazioni future, della base per il proprio sostentamento.
IL TURISMO E PROLIFERAZIONE DEGLI «OUTLET»
La cementificazione selvaggia danneggia anche il turismo, altro settore trainante dell’economia italiana. Basti pensare alla moltiplicazione, in molte località di villeggiatura, delle seconde (o terze!) case, lasciate vuote per buona parte dell’anno, con la conseguente riduzione di queste località a veri e propri paesi fantasma. Capita infatti che la costruzione di nuove case nei paesi turistici faccia lievitare i prezzi, inducendo spesso i residenti con reddito modesto a spostarsi in zone economicamente più accessibili. Nel contempo, i centri turistici non riescono a realizzare lo stesso guadagno che otterrebbero con meno seconde case, ma qualche struttura alberghiera in più, capace di ospitare un maggiore numero di persone per tutto l’anno. Inoltre il danno, che viene prodotto dalla cementificazione, a livello paesaggistico è spesso incalcolabile. Eppure vengono proposti e, purtroppo, spesso approvati dei progetti sempre più devastanti, come quello che prevede la costruzione di un gigantesco residence con annesso parcheggio da 2.400 posti, più piscine coperte, centro benessere, centro congressi e negozi assortiti niente meno che sulla Marmolada, nella frazione di Malga Ciapela. Oppure come quello che prevede la costruzione di un autodromo a Roma Eur. In Italia sono sempre più numerosi i progetti per nuovi stadi (richiesti da molte società della serie A del calcio), che naturalmente vengono accompagnati dagli immancabili centri commerciali ed aree residenziali limitrofe.
A proposito di centri commerciali, crescono come funghi gli outlet, giganteschi discount delle grandi firme, dove la gente si riversa in massa, dopo avere percorso chilometri d’autostrada ed essersi sottoposta talora a code estenuanti, per assicurarsi capi firmati in sconto. Il più grande d’Italia è quello di Serravalle, in provincia di Alessandria.
Gli outlet rappresentano veramente l’apoteosi della finzione, perché vengono spesso costruiti come dei finti paesi, con case finte, il cui unico scopo è quello di ospitare negozi dalle vetrine scintillanti. Il tutto naturalmente in linea con la filosofia oggi dilagante, per cui conta molto di più l’apparire che l’essere. Ovviamente la costruzione di questi non luoghi si porta via migliaia di ettari di terreno, anche in considerazione del fatto che devono essere corredati di parcheggi e serviti spesso da nuove strade.
I sostenitori dello «sviluppo» a suon di costruzioni normalmente accampano la tesi della creazione di nuovi posti di lavoro, ma appare evidente che i posti di lavoro creati dall’apertura dei cantieri sono a breve termine, spesso in nero e caratterizzati da una scarsissima tutela della salute, come dimostra l’elevatissimo numero di incidenti nei cantieri. L’edilizia è infatti al primo posto per il numero di morti sul lavoro. È invece sempre più evidente l’equazione tra cemento e potere, dimostrata dall’apparente ineluttabilità delle «Grandi opere», che trovano d’accordo tutti i partiti, al punto che si parla di «partito trasversale degli affari».
E NEL MONDO…
Quando parliamo di grandi opere, in Italia ci riferiamo soprattutto all’«alta velocità», al «Ponte sullo Stretto di Messina», al «progetto Mose» per Venezia oppure alla costruzione di nuovi tratti autostradali. Dando invece un rapido sguardo alla situazione mondiale, vediamo che tra le grandi opere ha un posto di primo piano la costruzione di gigantesche dighe, come quella delle «Tre Gole», inaugurata in Cina nel 2006, opera faraonica definita «La Grande Muraglia del terzo millennio», perché è una delle poche opere dell’uomo visibili dallo spazio. Questa diga sbarra il corso del fiume Yangtze e la sua costruzione ha comportato lo sfollamento di 1.200.000 persone. Sono attualmente numerosi i progetti di questo genere a livello mondiale. Basti ricordare quello della diga Gibe III in Etiopia, lungo il fiume Omo, oppure quello della diga di Belo Monte in Brasile, lungo il corso del fiume Xingu, in piena foresta amazzonica, i cui lavori di costruzione sono già partiti. In entrambi i casi si tratta di progetti devastanti a livello ambientale e sociale, poiché porteranno all’alterazione irreversibile di interi ecosistemi ed all’allontanamento delle popolazioni native, per le quali i fiumi rappresentano la principale fonte di sostentamento, così come la principale via di trasporto. Le comunità locali obbligate a spostarsi andranno ad aggravare il fenomeno dell’urbanizzazione, finendo nelle periferie delle grandi città ed aumentando il livelli di disoccupazione e di povertà.
Spesso dietro la costruzione delle grandi dighe mondiali ci sono imprese italiane, come la (chiacchieratissima) Impregilo per le dighe Chixoy (Guatemala), Katse (Lesotho) e Yacuretà sul fiume Paranà tra Argentina e Paraguay, oppure la Salini Costruttori, nel caso della Gibe III in Etiopia. La Impregilo è controllata dalla Igli Spa, appartenente alle famiglie Gavio, Benetton e Ligresti e, in Italia, è impegnata nella realizzazione dell’«alta velocità» e nel progetto del «Ponte sullo Stretto di Messina» Tra i finanziatori delle grandi dighe c’è sempre la Banca mondiale e, nel caso della Gibe III, il governo italiano, che ha in corso di valutazione il finanziamento. Come troppo spessp capita, la conclusione è amara: grandi affari per pochi e povertà garantita per molti.
Rosanna Novara Topino
NOTE
1 – L’ottimo dossier di Legambiente è scaricabile, in formato PDF, dal sito: www.legambiente.it.
2 – Legambiente su dati Istat e ministero dell’Inteo.
3 – Si veda il sito del movimento: www.stopalconsumoditerritorio.it.
4 – Garibaldi, Massari, Preve, Salvaggiuolo, Sansa, La colata. Il partito del cemento che sta cancellando l’Italia e il suo futuro, Chiarelettere Editore, Milano 2010.
5 – Lo studio è scaricabile, in formato PDF, dal sito: www.consiglionazionalegeologi.it.
6 – Non si può dimenticare, ad esempio, la distruzione dei resti di una casa di epoca romana, rinvenuti in piazza Vittorio a Torino, durante gli scavi per costruire un parcheggio sotterraneo, che è stato portato a termine comunque prima delle Olimpiadi invernali di Torino, 2006.
7 – L’evaporazione dell’acqua da una qualsiasi superficie determina un abbassamento della temperatura della superficie stessa. Quindi, una copertura di cemento o asfalto impedisce un’adeguata evapotraspirazione del terreno, determinando un aumento di calore. Il cemento inoltre impedisce una buona ossigenazione del terreno, per cui nel sottosuolo le specie vegetali ed animali aerobie (cioè che consumano ossigeno) sono destinate a soccombere. Progressivamente diminuirà quindi la materia organica presente nel sottosuolo, con un aumento del rischio di desertificazione.
Rosanna Novara Topino