Futuro sempre più incerto
La mossa con cui Pechino ha deciso di trasferire nella provincia dell’Hebei l’ex segretario del Partito comunista in Tibet potrebbe significare un cambio di priorità nella dirigenza cinese. Abbandonate le vette dell’Himalaya, il «mastino» Zhang Qingli, fautore di una linea d’intransigenza contro le aspirazioni autonomiste dei tibetani, che definì il Dalai Lama «un lupo con la veste monacale», dovrà ora amministrare la culla del cattolicesimo cinese.
È nell’Hebei, provincia settentrionale che circonda le municipalità di Pechino e Tianjin, che vive un quarto dei circa 12 milioni di cinesi fedeli alla Santa Romana Chiesa. Il nuovo incarico darà pertanto a Zhang un ruolo di primo piano nello scontro che negli ultimi mesi ha visto opposta la Repubblica popolare al Vaticano. «È un atto simbolico. Pechino ha il pieno controllo e la situazione è già di per sé molto dura. Nella provincia vescovi e sacerdoti della Chiesa sotterranea sono scomparsi o sono stati rinchiusi nei laogai, condannati ad anni di lavori forzati» afferma padre Beardo Cervellera, direttore dell’agenzia d’informazione missionaria Asia News.
Neppure le scomuniche hanno persuaso il vertice della Chiesa ufficiale cinese a desistere dalle tre ordinazioni episcopali senza mandato papale che negli ultimi dieci mesi hanno allargato il solco tra Pechino e Roma. Atti «in contrasto con la Chiesa universale», aveva commentato a luglio il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi.
La divisione risale agli anni Cinquanta del secolo scorso, quando la Cina comunista e la Santa Sede ruppero le relazioni diplomatiche con l’espulsione del nunzio apostolico, Antonio Riberi, e con l’inizio della pratica delle ordinazioni autogestite durante il periodo maoista. Da allora i rapporti dello Stato cinese con i fedeli sono gestiti dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi (Ccpa), cui sono affiliati circa 5 milioni di fedeli secondo i dati foiti dalla stessa organizzazione, e dalla Conferenza episcopale della Chiesa cattolica, approvate dal governo. Entrambe riconoscono l’autorità spirituale del Papa, ma non il suo potere a nominare i vescovi. Ed entrambe sono opposte alla Chiesa clandestina che riconosce il primato di Roma.
Studiosi e analisti ritengono tuttavia che le pratiche della Chiesa ufficiale siano un rebus per gli stessi cattolici cinesi. In un editoriale intitolato La Chiesa non può servire due padroni, pubblicato sull’agenzia cattolica UCANews, il direttore del dipartimento degli Studi sul Cristianesimo dell’Accademia cinese delle Scienze Sociali, Ren Yanli, ha sottolineato alcune delle contraddizioni in seno alla pretesa autonomia da Roma. Ad esempio, dichiararsi «indipendente» e allo stesso tempo «in comunione con il successore di Pietro». L’articolo si apre con l’auspicio che i cattolici siano allo stesso tempo buoni cittadini, rispettosi delle leggi dello Stato e buoni cristiani fedeli ai dettami della Chiesa. Le ordinazioni irregolari, scrive lo studioso, rischiano tuttavia di danneggiare la tanto agognata «società armoniosa», propagandata dal presidente, Hu Jintao, e dal primo ministro, Wen Jiabao. Possono rientrare nel novero dei cosiddetti «incidenti di massa», le manifestazioni di un centinaio di seminaristi che tra novembre e dicembre dell’anno scorso protestarono davanti all’ufficio della Commissione per gli Affari etnici e religiosi proprio dell’Hebei, contro la nomina di un rappresentante del governo a vicerettore dell’istituto dove studiavano. «Nella scelta non sono coinvolti sacerdoti o vescovi», dissero allora i manifestanti contattati da Asia News, temendo che con la scelta dei funzionari i valori spirituali fossero messi in secondo piano rispetto alla politica. Alla fine la protesta ebbe la meglio e Tang Zhaojun fu rimosso dall’incarico.
Negli ultimi mesi il clima è andato però deteriorandosi. Restrizioni sono state imposte a missionari europei che da Hong Kong hanno cercato di entrare nella Repubblica popolare. Un viaggio finora senza grossi problemi, prima che la strada fosse sbarrata a padre Bruno Lepeu, superiore dei Mep (Missions Etrangères de Paris) nell’ex colonia britannica; così come a padre Franco Mella del Pime (Pontificio istituto per le missioni estere), 62 anni, un «pendolare» fra Hong Kong e il continente, cui a fine luglio funzionari dell’immigrazione a Shenzhen, nella provincia meridionale del Guangdong, hanno negato il visto per la prima volta in 20 anni.
Dalle colonne del Quotidiano del popolo, voce ufficiale del Partito comunista, invece è partita una dura reprimenda contro il Vaticano, in un pezzo di commento dal titolo Il Cattolicesimo si deve adattare alle condizioni locali. «Sebbene il potere temporale della Chiesa sia ora concentrato nei 44 chilometri quadrati della Città del Vaticano – si legge – esso continua a esercitare un’influenza sproporzionata rispetto alla sua piccola stazza. Nomina cardinali in altri paesi, i suoi preti più importanti all’estero godono dell’immunità diplomatica e possono interferire negli affari di stati sovrani». E ancora alla Chiesa è chiesto di «adattarsi e capire la potenza di una nazione come la Cina e le sue differenze culturali», per non correre il rischio di essere considerata più interessata a «mantenere il proprio potere temporale che a far fronte alle necessità spirituali dei suoi fedeli cinesi».
«Tutti tentativi per dividere i cattolici ufficiali e sotterranei, che negli anni, prima papa Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI, hanno contribuito a riavvicinare» ha commentato padre Cervellera. Un’unità simboleggiata dalla Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina in coincidenza con la festa e il pellegrinaggio al santuario della Madonna di Sheshan, vicino a Shanghai, il 24 maggio. Una Giornata indetta dallo stesso Benedetto XVI nella sua lettera ai cattolici cinesi del 2007, cui il governo ha risposto aumentando le misure di sicurezza e le pattuglie attorno al santuario e impedendo anche a molti cattolici ufficiali di recarvisi in pellegrinaggio.
Un cablogramma del consolato statunitense a Chengdu, nel Sichuan, tra gli oltre 250mila documenti riservati della diplomazia Usa diffusi da WikiLeaks, dà un’idea di come operi la Chiesa ufficiale. Si descrive la situazione a Yibin, diocesi con 140 anni di storia e 40mila fedeli, all’epoca dell’invio del cablo presieduta dal vescovo Chen Shizhong, riconosciuto, si sottolinea, sia da Pechino che da Roma. L’interlocutore parla di un clima religioso «armonioso», in cui convivono cristiani, taoisti e buddisti. Lamenta tuttavia la mancanza di preti, molti dei quali costretti a gestire più di una parrocchia, ma enfatizza più volte la libertà di religione di cui dice gode la diocesi. Una cautela, commenta il diplomatico, che non si capisce bene se derivi da una reale convinzione o dalla presenza durante l’incontro di un funzionario dell’Ufficio locale per gli Affari esteri. Il documento continua con una serie di precisazioni che sembrano contraddire la totale libertà di cui sembrerebbero godere i fedeli. Prima di prendere i voti, chi vuole farsi prete deve infatti passare un esame pubblico. Inoltre il governo non permette che si istituiscano parrocchie troppo piccole perché, a detta della fonte, difficili da gestire e a rischio «disordini». Nel documento si accenna anche al sostegno economico del governo per la costruzione o la ristrutturazione della curia vescovile. Sottolineando inoltre un investimento di oltre 20 milioni di yuan (2 milioni di euro) dell’amministrazione provinciale del Sichuan, fatto tra il 2004 e il 2005 per la ristrutturazione del Sichuan’s Catholic Theological College, dove chiunque volesse seguire la vocazione deve studiare.
Altro cablo altra provincia. In un documento datato febbraio 2007, si parla del Guizhou, e in particolar modo di Guiyang. Qui, spiega la fonte, i fedeli alla Chiesa sotterranea sono pochi, mentre è obiettivo delle gerarchie ufficiali spingere all’unità tra i due gruppi senza fare troppe distinzioni. «Se veramente credono in Dio, speriamo nell’unità» spiega, e sottolinea di non essere a conoscenza di sacerdoti o credenti agli arresti, ma ammette ostacoli alla libertà di movimento. La sfida più difficile per la Chiesa è, secondo l’interlocutore, intercettare l’interesse dei più giovani. I fedeli sono per la maggior parte anziani e per avvicinare anche i ragazzi alla religione nella provincia sono state organizzate «letture di gruppo» (in cinese du shu hui) incentrate sugli insegnamenti della Bibbia.
Le stesse preoccupazioni per lo scarso interesse delle nuove generazioni emergono anche dalla conversazione con una suora che lamenta inoltre le difficoltà per la Chiesa nel recuperare terre e proprietà espropriate negli anni Sessanta e Settanta, durante la Rivoluzione Culturale. Dispute che spesso i governi locali risolvono con la forza e la coercizione, come nel caso di una suora cattolica e un sacerdote picchiati mentre cercavano di reclamare due proprietà un tempo appartenute alla Chiesa di Kungding, sempre nel Sichuan. Sebbene negli anni il governo centrale ha più volte rimarcato i diritti dei legittimi proprietari, l’Associazione patriottica e il ministero degli Affari Religiosi mettono ostacoli sulla strada di chi cerca di riottenerle.
Spostando l’attenzione a nordest, nel resoconto di una cena al consolato a Shanghai a Pasqua del 2009, le condizioni per i cattolici sono definite buone, sebbene sullo sfondo si staglino le difficili relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e Pechino. Anche in questo caso la maggiore preoccupazione è formare una nuova leva di giovani religiosi, mentre l’età media dei più alti prelati supera gli ottanta. «È quindi fondamentale concentrarsi sull’educazione dei ragazzi -sottolinea un vescovo presente all’incontro -. Se la Chiesa non riuscirà a farsi capire da chi ha sei o sette anni, allora in futuro mancherà chi ritiene la fede più importante dei soldi».
Andrea Pira