Inchiesta: le nuove povertà / 2
Una mensa per i poveri in una grande città. Una come tante. Uomini che si affrettano a consumare un pasto caldo. Il disagio di chiedere di che sfamarsi. Lingue, molteplci e diverse. Ma anche dialetti nostrani. E volontari, che fanno in quattro per degli sconosciuti. Pennellate di povertà e solidarietà.
Via Cibrario a Torino è il confine tra i ricchi e i poveri, tra i bianchi e gli stranieri in genere. Forse nessun’altra via torinese ha questo ruolo di cerniera, oppure, dipende dai punti di vista, di barriera. A Nord Cit Turin, quartiere liberty molto elegante, abitato dalla buona borghesia sabauda. A Sud la vecchia classe operaia giunta dal meridione durante gli anni del boom economico, e gli immigrati arrivati negli ultimi anni. In via Cibrario la domenica mattina, davanti ad una casa di accoglienza vincenziana (San Vincenzo), si allunga una coda di uomini e donne che devono risolvere il problema del pranzo. Hanno fame? Probabilmente solo alcuni delle circa duecento quaranta persone che si ammassano sentono l’impellenza di riempire lo stomaco.
più mense che affamati?
Paolo Miglietta, presidente della mensa festiva vincenziana, racconta questa piccola fetta di poveri della città: «Il povero di Torino, sia esso italiano o straniero, non ha in genere problemi di fame. La città, con i suoi servizi di assistenza sociale laica e religiosa, offre una quantità di cibo molto superiore alla domanda, che comunque è in forte aumento. Paradossalmente la possibilità di usufruire di pasti spesso ipercalorici ha portato al paradosso dello sviluppo di patologie in chi usufruisce quotidianamente delle mense. In questo momento esistono tavoli di lavoro che studiano la creazione di diete bilanciate per evitare l’insorgenza, o l’aggravamento di malattie come, ad esempio, il diabete, piuttosto diffuso». La mensa vincenziana di via Cibrario, «capeggiata» da suor Angela, figura totemica che un po’ tutti i volontari raccontano nei loro discorsi, la domenica mattina assomiglia ad un caos ordinato. I tre saloni rimbombano di lingue che raccontano provenienze distanti. C’è il piemontese dei vecchi autoctoni che ormai sono di casa, l’italiano, molto rumeno, un po’ di arabo. Anche se questi ultimi sono più silenziosi degli altri. Si passa velocemente tra i tavoli per un saluto perché i poveri che mangiano alla «mensa dei poveri» raccontano già di per sé tutto, senza aggiungere parole.
volontari di ogni razza
Domenica quattro settembre c’è una gran ressa. Forse perché il gruppo di volontari può vantare una specialità? È formato da circa venti persone con storie molto diverse: pare che sia una caratteristica di questa mensa vincenziana.
La più giovane è una studentessa del «durissimo» liceo classico Cavour. In mano ha il vassoio del caffè e alla domanda: «Perché sei qua, mentre il novanta per cento dei tuoi coetanei è al centro commerciale» risponde: «È bello fare qualcosa per queste persone che sono in difficoltà. Mi fa stare bene».
E poi si sale con gli anni. Non solo anzianità anagrafica, ma anche di servizio: si arriva fino ai venticinque anni di volontariato. Tutti fanno un po’ tutto, anche se esistono le specializzazioni.
Gli ospiti hanno appena finito di mangiare e apprezzare un ottimo risotto, specialità preparata solo da questo gruppo di volontari. Tra chi lava piatti, spazza il pavimento, serve a tavola, chiacchiera con i commensali, cucina, condisce il risotto dentro pentoloni visti solo in caserma, prepara il caffè, apparecchia e sparecchia. C’è di tutto. Chi giunge dal Rotary Club e chi dalla contestazione politica degli anni Settanta, chi è religioso e chi la messa la frequenta saltuariamente. Una volta ogni quattro settimane i gruppi di volontari dedicano circa sei ore della loro domenica ai poveri, dalle dieci del mattino fino alle quattro del pomeriggio. E dato che è una mensa festiva un po’ tutti i volontari hanno lavorato a Natale, capodanno o in altre ricorrenze.
Racconta Giulia: «C’è una gran confusione durante queste feste e alla fine della notte la stanchezza e tanta. Ma è bellissimo, c’è una gran voglia di far festa qua dietro i fornelli e di là nei saloni».
Mentre i volontari lavorano tanto da sembrare un combattivo plotone di formiche rosse, nei tre saloni gli ospiti consumano rumorosamente il pasto scambiando quattro chiacchiere. Sono seduti molto vicini gli uni agli altri, e, come da clichè, alcuni di essi non si liberano dell’armamentario che si portano sempre con sé neanche quando mangiano.
Nuovi poveri
Ancora Paolo Miglietta racconta: «Un aspetto che anche dopo molti anni di volontariato con questi uomini e donne mi sorprende sempre è la loro fretta perenne. Pur avendo una giornata ricca di tempo libero sono sempre di corsa: devono entrare velocemente, sedersi velocemente, mangiare velocemente, andarsene velocemente. Come è ovvio questo racconta il disagio che prova, anche chi ormai è diventato un membro della famiglia,chiedere del cibo per sfamarsi».
Chi è seduto ai tavoli e mangia primo, secondo, contorno e frutta non rappresenta l’unica tipologia di utente della mensa festiva vincenziana. Costoro sono circa centoquaranta ed in tasca hanno una tessera rilasciata dai servizi sociali della Città di Torino, che certifica il loro stato di grave disagio e dà loro diritto ad entrare nella struttura e sedersi. Per chi invece rifiuta di passare attraverso i servizi sociali, altro momento problematico a livello psicologico soprattutto per i cosiddetti «nuovi poveri», esiste un servizio che distribuisce circa centoquaranta pranzi al sacco: panini, acqua o succo, un frutto.
La linea «intea» opera da circa quindici anni e chi ne usufruisce è un gruppo variegato: barboni italiani e lavoratori stranieri. Uomini che pur avendo un lavoro, non riescono a coprire i loro fabbisogni primari. Magari pagano l’affitto, in condivisione, ma i soldi per il cibo scarseggiano. Molti anche gli anziani, spesso soli. Idem per chi ha avuto problemi con la giustizia e, uscito dal carcere, non sa dove andare a sbattere la testa.
Il gruppo che usufruisce del pranzo da asporto invece è composto prevalentemente da ragazzi con problemi di dipendenza da sostanze, siano esse droghe o alcolici, e molte donne, mandate avanti dagli uomini che non hanno il coraggio di andare alla mensa dei poveri in prima persona. Il ricambio in questo gruppo, circa centocinquanta persone ogni domenica, è molto rapido. Assenti ad entrambe le distribuzioni, le famiglie, ma non perché il problema non esista. Per loro è previsto un apposito pacco che viene portato dai volontari direttamente a casa.
fame in aumento
Racconta Paolo Miglietta che la richiesta di cibo è in vigoroso aumento: «Se devo dare una data di inizio di questa tendenza è la primavera del 2011. Un incremento massiccio, composto per la maggior parte da lavoratori stranieri ma anche da tantissimi italiani che hanno esaurito ogni tipo di ammortizzatore sociale, compresa le rete famigliare». E questa di per sé è una novità in Italia. Lo Stato, per risparmiare, taglia i servizi sociali e delega alla famiglia. Questa, in balia della crisi e priva anch’essa di un supporto accettabile, non riesce più a sostenere gli anelli più deboli che la compongono. Il volontariato rappresenta così l’ultimo approdo per chi ha bisogno di aiuto in questa Italia sempre più sgangherata.
Per questa ragione la distribuzione di tessere è stata interrotta dato che non esiste più lo spazio fisico dove far sedere gli ospiti.
Alle due del pomeriggio di una uggiosa domenica di settembre chi aveva fame esce dalla mensa vincenziana e torna da dove era giunto. Le sale sembrano colpite da un violento terremoto. Le formichine passano all’attacco e rimettono tutto in ordine. Fuori capannelli di uomini e donne si fermano per le ultime chiacchiere e commenti.
Rapporto caritas-zancan sulla povertà
Sempre più poveri
Circa un quarto degli italiani è in caduta libera verso la povertà.
Mentre il 13,8% sono già classficati poveri.
Il nuovo rapporto Caritas – fondazione Zancan sulla povertà in Italia è stato presentato a Roma il 17 ottobre scorso, giornata mondiale di lotta contro la povertà. «Il titolo – Poveri di diritti – è fortemente evocativo» scrivono i curatori. «Un titolo che nasce da una semplice, ma scontata considerazione: alle persone che vivono in condizioni di povertà si pensa solo in termini di insufficienti risorse economiche, ignorando che eisste tutta una serie di altre privazioni che peggiorano lo stato di precarietà e ne impediscono il superamento. Il diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all’alimentazione, alla salute, all’educazione, alla giustizia – pur tutelati dalla Costituzione italiana – sono i primi a essere messi in discussione e negati».
E i risultati del rapporto lo dimostrano. I poveri nel nostro paese sono in aumento: nel 2010 8 milioni e 272 mila persone, ovvero il 13,8% della popolazione contro i 7,810 milioni dell’anno precedente.
Ma ancor più eclatante è che le «persone impoverite», in caduta verso condizioni sempre peggiori sono il 25% degli italiani.
Rispetto al panorama europeo siamo i peggiori: sono a rischio povertà o esclusione sociale il 24,7 % degli italiani, contro il 21,2% dell’area Euro e il 23,1% dei paesi dell’Ue.
L’occupazione è diminuita in un anno di 153mila unità, mentre la disoccupazione di lungo periodo è in aumento.
Il primo dei diritti negati è quello alla famiglia: «la povertà colpisce con particolare violenza le famiglie numerose, con più di due figli. Senza un adeguato sostegno, le famiglie non saranno incentivate a fare figli e le ripercussioni a livello demografico saranno pesanti». In questo senso l’ottusità dell’attuale governo è palese: il Fondo per le politiche della famglia è stato decrementato da 185,3 milioni nel 2010 ai 31,4 milioni previstri nel 2013. In contro tendenza con i diversi altri governi europei.
Diritto al lavoro: in Italia sono il 56,9% i cittadini tra15 e 64 anni con lavoro regolarmente retribuito. Una percentuale tra le più basse dell’Occidente. Parlando poi di giovani si scopre che l’occupazione è scesa dell’8% nel 2009 e del 5,3% nel 2010 con un tasso di disoccupazione che ha toccato il 27,8%. Mentre solo il 47% delle donne ha un lavoro (60% in Francia) e guadagna il 16,8% in meno di un uomo di pari livello.
Ma il rapporto punta anche il dito sui «Soldi spesi male». I dati evidenziano che gli enti locali continuano a investire tante risorse assistenzialistiche nel contrasto della povertà, ma con scarsi risultati. C’è una prevalenza della logica di emergenza, per la quale si preferisce erogare contribuit piuttosto che attivare servizi. Ma, sottolineano i curatori: «Questo modo di rispondere alla povertà non incentiva l’uscita dal disagioma , anzi rischia di rendere coico il problema».
La maggior parte della spesa pro capite per combattere la povertà è riservata a contribuiti economici una tantum a integrazione del reddito familiare.
Nel rapporto viene chiesto un «cambiamento di rotta»: «La prima strada da percorrere è quella di incrementare il rendimento della spesa sociale. La seconda è di recuperare i crediti di solidarietà destinandoli in via prioritaria a occupazione di welfare a servizio dei poveri». Ovvero creare servizi per i poveri dando lavoro ad altri potenzialmente poveri. Si ipotizzano alcune centinaia di miglia di impieghi.
Il divario resta elevato tra le regioni italiane, quelle che spendono di più (Nord) investono fino a 9 volte di quelle che spendono di meno (Sud).
Molto interessanti sono i dati provenienti dai 195 centri di ascolto Caritas. Il numero complessivo delle persone ascoltate è aumentato, negli ultimi 4 anni, di quasi 20%. Aumentano gli italiani che si rivolgono ai centri di ascolto, con particolare incidenza al Sud, mentre la presenza di «nuovi poveri» è crescita del 13,8% in 4 anni.
Da questi dati di «terreno» si deduce che: «Il raggio di azione della pvertà economica si sta prograssivamente allargando, e coinvolge un numero di persone e famiglie tradizionalmente estranee al fenomeno». Gli operatori della Caritas notano che «La crisi ha prodottu un notevole incremento di fenomeni di sottoccupazione e lavoro nero, aggravando una serie di aspetti negativi della flessibilità del lavoro».
Anche l’emergenza abitativa, contrapposta al diritto alla casa, è in aumento. Un problema aggravato dalla scarsità di risposte di governo e amministrazioni locali. I problemi abitativi sono aumentati del 23,6% negli ultimi 4 anni.
Molti più giovani si rivolgono oggi ai centri di ascolto Caritas, mentre una nuova povertà tra gli immigrati, anche di lunga data, si è fatta strada. In particolare i nuclei famigliari che si erano ricongiunti e che ora non riescono a soddisfare le spese in forte aumento, devono ripensare a loro progetto migratorio.
Le risposte ecclesiali a questa devastante tendenza sono molteplici. Da quelle più tradizionali come le mense dei poveri (al gennaio 2010 era presenti 449 mense socio-assitenziali) agli strumenti più modei, come microcredito per famiglie e imprese, botteghe solidali, carte magnetiche di spesa, progetti di «consulenza casa». Ai fondi diocesani di emergenza. Le nuove iniziative, nell’ultimo anno sono aumentate del 39,6%.
Caritas Italiana, Fondazione Zancan,
«Poveri di diritti, rapporto 2011 su povertà ed esclusione sociale in Italia», ed. Il Mulino, pp. 272, € 22,00.
Marizio Pagliassotti