La vergogna della fame
La povertà, il sottosviluppo e quindi la fame sono spesso il risultato di atteggiamenti egoistici che partendo dal cuore dell’uomo si manifestano nel suo agire sociale, negli scambi economici, nelle condizioni di mercato, nel mancato accesso al cibo e si traducono nella negazione del diritto primario di ogni persona a nutrirsi e quindi ad essere libera dalla fame. Come possiamo tacere il fatto che anche il cibo è diventato oggetto di speculazioni o è legato agli andamenti di un mercato finanziario che, privo di regole certe e povero di principi morali, appare ancorato al solo obiettivo del profitto? L’alimentazione è una condizione che tocca il fondamentale diritto alla vita. Garantirla significa anche agire direttamente e senza indugio su quei fattori che nel settore agricolo gravano in modo negativo sulla capacità di lavorazione, sui meccanismi della distribuzione e sul mercato internazionale. E questo, pur in presenza di una produzione alimentare globale che, secondo la FAO e autorevoli esperti, è in grado di sfamare la popolazione mondiale.
udienza alla Fao, 1 luglio 2011
Verso metà giugno ho cominciato a ricevere notizie della grave situazione di fame in Kenya, soprattutto nel Nord, dove anche nella «mia» Maralal (è stata la prima missione per me) la gente muore letteralmente di fame a causa di un lunghissimo periodo di siccità. So cosa vogliano dire siccità e fame: ero là nel 1992 quando sconvolsero la vita della gente e nella missione distribuivamo razioni a oltre 2000 persone ogni settimana e acqua ogni giorno a più di 700 famiglie. In quel frangente molto bestiame morì, ma non le persone. Ora, 20 anni dopo, la siccità ha colpito ancora e non solo muore il bestiame, ma con esso le persone, senza che ci siano scorte sufficienti, senza un efficace piano di aiuti, con il prezzo del cibo alle stelle e le solite speculazioni sulla pelle della gente. Questo mentre il Kenya (ma non è l’unico paese africano a farlo!) continua ad esportare fiori verso l’Europa (20% del mercato), latte (anche in Italia), verdura fresca per i supermercati londinesi e granaglie – svuotando le sue riserve – verso altri paesi africani che pagano meglio.
Per contro, viaggiando nella nostra bella Italia si nota facilmente come le aree incolte siano in aumento. Chi è troppo piccolo per l’agricoltura non coltiva più, chi è grande riceve invece sussidi per non coltivare oppure, invece di produrre per cibo, produce per il ben più redditizio mercato della cosiddetta bio-energia, che di «bio» (vita) ha davvero poco.
Poi sento da amici panettieri dell’esorbitante quantità di pane che sono costretti a buttare ogni giorno perché non «fresco di giornata», e dello spreco delle mense aziendali, scolastiche e pubbliche che non possono riciclare il cibo inutilizzato, e dei ristoranti e supermercati che buttano via quantità industriali di prodotti ancora perfettamente commestibili a causa di date di scadenza iperprotettive, spesso più utili alle tasche dei produttori che alla salute dei consumatori. Senza poi dimenticare le tonnellate di prodotti (dal latte alle arance) mandati bellamente al macero per non abbassare i prezzi di mercato, ed i magazzini nazionali e comunitari che hanno riserve di cibo ben inferiori a quanto previsto dalla legge e dal buonsenso perché costa troppo gestirle.
E c’è di peggio: il cibo è diventato preda della speculazione in borsa, con investitori senza scrupolo e senza controllo che ne fanno salire artificialmente il prezzo. E allora si capisce il perché delle «rivolte del pane», della rabbia dei poveri, delle morti per fame. Quale povero, guadagnando due dollari al giorno (se li guadagna!), può permettersi di pagae uno per un solo chilo di farina? E la farina da sola non basta, ci vogliono acqua pulita, carbone, olio, verdura, frutta, carne, sale, zucchero… che diventano lussi impossibili. Quante persone può saziare un chilo di farina, se le sazia?
È semplicemente un’oscenità che dopo tanto parlare, tanti dispendiosi ed enfatici summit a tutti i livelli per debellare la povertà entro il 2015, continuino a morire di fame uomini e donne in molte parti del pianeta. È il fallimento della politica che invece di servire il bene comune si è arresa alla logica del profitto, del più forte e di chi, ancor oggi, continua a pensare che una minoranza ricca abbia il diritto di accaparrarsi tutto, perché il mondo è fatto di dominatori e dominati, padroni e schiavi, benestanti e poveracci, di chi elargisce il lavoro e di chi deve ringraziare di avere il privilegio di lavorare anche se sottopagato, precario, sfruttato e perennemente indebitato.
Qualcuno certo dirà: «Non sono discorsi da missionari questi! Questo è fare politica!»
Forse, però vada a dirlo ai tanti missionari, missionarie e volontari che sul fronte della fame, della guerra, della povertà devono seppellire i morti…
Gigi Anataloni