Reportage dalle isole Raja Ampat, Papua occidentale
Epicentro mondiale di biodiversità, paradiso perduto, nuova Micronesia, ultima frontiera del diving, culla della creazione nel mezzo dell’oceano… sono alcune
definizioni dell’arcipelago Raja Ampat, a ovest della Papua occidentale (indonesia).
Il primo a tuffarsi in questo mare fu un olandese amante dell’avventura, alla ricerca di relitti dell’ultima guerra mondiale. Era il 1990, otto anni dopo accompagnò uno scienziato australiano che, dalla prima immersione, intuì di trovarsi in un ecosistema unico al mondo. È il mare di Raja Ampat, arcipelago all’estremo nord ovest dell’isola di Papua, la seconda più grande al mondo, la più misteriosa e inaccessibile.
Raja Ampat significa «quattro re»: nome risalente al 15° secolo, quando il sultano di Tidore, nelle Molucche, concesse il governo delle isole maggiori a quattro raja locali.
A causa della situazione politica in Indonesia, si dovette aspettare il 2001 per fare un primo sopralluogo, cui seguirono spedizioni scientifiche sotto l’egida di Conservation Inteational. Dal 2006 si sono avuti i primi risultati sorprendenti: nel mare di Raja Ampat sono state individuate 450 specie di corallo duro (più della metà delle specie esistenti al mondo), 600 specie di molluschi, più di 950 pesci di barriera. Forme di vita marina sono state recentemente scoperte dagli scienziati che si alternano sul posto e premono affinché la zona venga tutelata dall’Unesco.
L’eden In fondo all’oceano
Partiamo sotto la pioggia su un veliero in legno, costruito dai maestri d’ascia di Sulawesi, uguale a quelli usati un tempo da pirati e commercianti del sud est Asiatico. I primi giorni sono durissimi: odore di nafta del motore, mare mosso, fumo dei compagni a bordo mi fanno star male. Unico sollievo è tuffarsi in un mare che ogni giorno regala spettacoli di vita marina; ma prima conviene fare un sopralluogo e valutare i rischi, poiché le correnti marine a volte sono forti come fiumi in piena.
Finalmente mi immergo nel mare di Raja Ampat. Doveva essere una prova a 5-10 metri e invece rimango per quasi un’ora tra i 25 e i 30 metri. L’acqua è azzurra e limpida; a tratti è verde scuro, densa di plancton. La visibilità qua e là è scarsa, ma i colori e le forme dei coralli sono sorprendenti. Spettacolari sono le vaste lagune che racchiudono centinaia di isolotti calcarei, ricchi di vegetazione.
Vedo colori e forme di vita che mi riempiono di gioia. Subito mi passa accanto un napoleone gigante, poi altri pescioni, mentre una tartaruga fugge veloce. Coralli dalle forme stravaganti, tra cui il broccolo, col gambo bianco e fiore bordato di azzurro, le spugne tubolari verde acido e molti nudibranchi, la mia passione, piccoli e coloratissimi. Indescrivibile.
Adesso capisco quando dicono che Raja Ampat è il primo posto per la biodiversità e l’immersione.
Ciò che rende questo mare così ricco è lo straordinario habitat, fatto da estese barriere coralline, forti correnti, praterie di erbe marine, mangrovie intatte, lagune e baie tranquille con spiagge sabbiose dove si accumulano i principi nutritivi. L’estremo isolamento finora lo ha preservato. Però, purtroppo, sulle spiagge si sono accumulati rifiuti di plastica, portati dalle correnti da chissà dove; sul mare galleggiano isolotti formati da tali rifiuti non degradabili.
Raja Ampat comprende 2.500 tra isole e barriere coralline, dove i rari villaggi sono abitati per lo più da gente di Papua. Scuri di pelle, hanno capelli crespi, che nei bambini sfumano in biondo. Pare che questo scolorire dei capelli sia dovuto a una carenza di proteine. Gli uomini sono dediti alla pesca, che oggi non si pratica più con cianuro o dinamite.
Papua: paradiso a rischio
Sorong è il capoluogo della Papua occidentale. Dall’alto pare un esteso villaggio immerso nel verde con tante chiese; in realtà ha 247 mila abitanti ed è al centro dello sfruttamento di gas e petrolio, ovviamente da parte di compagnie straniere.
I missionari cattolici vi sono arrivati dalle isole Kei negli anni ‘30 del secolo scorso, in seguito alla scoperta di questo immenso territorio, che si credeva disabitato. Sorvolando per la prima volta la Nuova Guinea, protetta da coste alte e dirupate e da foreste impenetrabili, i primi esploratori si stupirono nel trovarvi fertili vallate, una civiltà contadina evoluta e un habitat di eccezionale interesse scientifico.
Papua si trova a est della linea Wallace e costituisce la transizione dalla regione asiatica a quella relativa all’Oceania, basata su elementi di tipo biologico. Per questo a Papua si trovano una flora e una fauna molto simili a quelle australiane, tra cui l’echidna, mammifero che depone le uova, e marsupiali come il wallaby e il canguro.
Compagnie straniere hanno scoperto ben presto i ricchi giacimenti minerari e hanno aperto grandi miniere che hanno modificato l’ambiente. La maggiore si trova sotto un ghiacciaio a 4 mila metri. Il materiale viene incanalato verso il mare, dove viene caricato su navi dirette in Islanda. L’energia geotermica di cui è ricca l’isola consente la lavorazione a costi bassi, con personale polacco, a beneficio delle grandi imprese.
Lo sfruttamento del sottosuolo, (minerali, gas e petrolio), attira lavoratori da isole lontane, dove mancano possibilità di lavoro. È gente di tutti i colori, come si può vedere nel grande e affollatissimo mercato di Sorong. Molti visi dicono che ci sono stati incroci di popoli: cinesi, malesi, arabi, europei.
Indipendenza:
Un sogno proibito
I nativi sono molto scuri di pelle, con capelli crespi e naso grosso. Curiosi e gentili, sono stupiti di incontrare degli stranieri. Clementina e Josephina sono due robuste signore cattoliche, dai lineamenti tipici di Papua, venute a Sorong per un corso di aggioamento. Insegnano religione a Fak Fak, città portuale a sud est di Sorong. Ci rivediamo la sera prima di partire, presso la cattedrale di Kristus Raja (Cristo re).
Il sole è tramontato, il parroco Paul Tan mi accoglie, sorridente e bonario. «I miei nonni erano cattolici e arrivarono dalla Cina il secolo scorso approdando a Kaimana, cittadina della costa sud, dove avviarono un piccolo commercio. Ora vi è un aeroporto dove atterrano gli aerei che trasportano i tecnici delle compagnie petrolifere, che vengono poi trasferiti in elicottero sulle piattaforme in mare».
Paul mi conferma che le grandi risorse di Papua vanno in minima parte a beneficio della popolazione locale. Lungo la costa e nei profondi fiordi è presente anche la BP (la compagnia petrolifera del disastro nel golfo del Messico) e altre multinazionali, cui il governo corrotto di Jakarta ha concesso lo sfruttamento. Motivo di inquietudine è anche la continua immigrazione, che ha lo scopo evidente di far diventare sempre più indonesiana questa regione, di cultura e tradizioni molto diverse da Giava.
La popolazione si è sempre opposta alla penetrazione indonesiana. Dopo il conflitto mondiale si schierò a fianco dell’Olanda, che nel 1962, però, dovette ritirarsi dalla sua ex colonia su pressione americana. I movimenti di opposizione continuano a rivendicare la loro indipendenza, nonostante alcune recenti concessioni da parte del governo. Ma troppi sono gli interessi in gioco. Dure sono le repressioni da parte dell’esercito indonesiano: si parla di torture e orribili prigionie per chi sogna ancora l’indipendenza.
Padre Paul incontra e congeda un drappello di fedeli. «Questi parrocchiani – mi spiega – si rivolgono a me perché imponga loro le mani per guarirli dai loro mali, sovente di origine psichica; ma stasera non mi sento bene. Questo è un paese molto interessante. Devi ritornare e fermarti più a lungo: ti farò visitare le comunità cattoliche dei villaggi immersi nella giungla» mi promette salutandomi.
le mitiche isole Banda
Il volo di ritorno da Sorong a Jakarta fa scalo ad Ambon, capitale delle Molucche del sud. Ne approfitto per visitare l’arcipelago delle Banda, una decina di isole bellissime, delle quali solo cinque abitate: Banda Neira, Banda Besar, Ai, Run, Hatta. Disposte ad arco intorno al vulcano Api, suolo ideale per la noce moscata e altre spezie, un tempo erano un vero paradiso tropicale. Mercanti da tutto il mondo rifoivano gli abitanti di tutti i beni di cui le isole erano sprovviste, in cambio delle spezie, usate fin dal medioevo come farmaci e conservanti.
Le cose cambiarono con l’arrivo dei portoghesi nel 1512; fu peggio con i mercanti olandesi: presentatisi armati e minacciosi, imposero il monopolio commerciale delle spezie. I loro interessi furono poi insidiati dagli inglesi che, in loro assenza, si accaparrarono i commerci con le isole Ai e Run. Toarono gli olandesi e, per riprendere il monopolio, uccisero tutti gli abitanti di Banda Neira, salvo poche centinaia di persone fuggite nelle isole Kei. La forza lavoro fu sostituita da schiavi, provenienti anche da Papua, al servizio di coloni olandesi, detti perkeniers.
L’isola di Run rimase in mano inglese fino 1621, quando venne attaccata dagli olandesi, che distrussero tutti gli alberi di noce moscata. Nel 1667 gli inglesi accettarono di andarsene, in cambio di una piccola isola nel nord America, New Amsterdam, subito ribattezzata New York.
Nell’attesa dell’aereo per Banda Neira leggo l’autobiografia di Des Alwi, nipote di Said Baadilla, appartenente alla famiglia più influente di Banda, almeno fino al 1930. «Des era mio padre, è stato sepolto due mesi fa a Banda Neira» mi dice una signora, che mi invita nell’albergo di famiglia. Tania, questo è il suo nome, ci ospita in un edificio che sembra uscito da un album di foto del secolo scorso e ci guida alla visita dell’isola.
Banda Neira è un’isola molto piccola con eleganti edifici coloniali olandesi e strade tranquille ombreggiate da alberi frondosi. Accanto alla moschea sorge la scuola per bambini indigeni, fondata da Hatta e Syahrir, due nazionalisti esiliati in quest’isola nel 1936 dal governo coloniale olandese, ma che nell’esilio continuarono la loro lotta per l’indipendenza dell’Indonesia: nel 1945 Hatta divenne il primo vice presidente nel governo repubblicano, guidato da Sukao, e Syahrir divenne primo ministro l’anno seguente.
Baadilla
Tania è nata a Hong Kong e vive a Jakarta, come tutti i ricchi delle Molucche. Ha studiato in Svizzera e in America, come i suoi fratelli, che dovrebbero arrivare a giorni: è in gioco l’eredità di Des, un uomo d’affari che ha visto la sua vita prendere una decisa svolta quando, bambino di Banda Neira, ebbe la fortuna di conoscere Hatta e Syahrir: quest’ultimo lo adottò insieme ad altri bambini.
Il bisnonno di Tania si chiamava Said Baadilla, nome andaluso di famiglia marocchina. Era chiamato «re delle perle» del mare di Aru, per aver fatto fortuna con tale commercio insieme a quello delle spezie. Era stato nominato cavaliere della corona olandese, per aver regalato alla regina Guglielma una perla grande come un uovo di piccione.
«Le mie nonne erano cinesi – mi spiega Tania, che ha l’aspetto e la grinta delle donne che hanno in mano l’economia del sud est asiatico -. Dicono che tutti veniamo dalla Cina e il colore della pelle dipende dal secolo in cui sono arrivati i nostri avi».
Baadilla è un nome che ricorre spesso a Banda Neira, dove vivono cugini rivali in affari e in lotta per le eredità. Alcuni di essi stanno lavorando giorno e notte per ultimare la costruzione del primo distributore di benzina, in un terreno accanto alla villa di Des, appena restaurata per ospitare il Presidente tra due settimane.
Finora la benzina viene venduta in bottiglie.
All’ombra del vulcano api
L’isola si risveglia dal torpore tropicale, due volte al mese, quando giunge la grande nave che collega Banda Neira con Ambon e Papua. Allora si scatenano le moto, che passano nelle vie ingombre dai carretti dei facchini, dalle bancarelle di cibo, dagli scaricatori e dai viaggiatori che salgono e scendono spingendosi senza pietà.
Quando la nave riparte deve girare su se stessa nel bacino del porto, chiuso dal vulcano Api: un cono perfetto, che fa da sfondo a tutte le immagini dell’isola. L’ultima eruzione avvenne 20 anni fa e sulla colata che sprofonda in mare sono cresciuti coralli giganteschi, dalle strane forme.
Anche le isole Banda sono un paradiso per le immersioni, dove si scoprono fondali e pesci preziosi, che si possono vedere solo qui. Il pesce mandarino, per esempio, tutti i giorni alle 11 e alle 17 risale dalle acque del porto, strisciando sulle rocce nere fino al bordo del molo, per farsi ammirare nella sua livrea elegante a disegni blu e arancione.
Ai è un’altra bellissima isola dove la famiglia Baadilla passava le vacanze. Qui si ricorda lo sterminio dei suoi abitanti, perpetrato nel 1615 dagli olandesi, dopo la sconfitta subita ad opera degli isolani, addestrati dagli inglesi per contrastare i rivali. Gli abitanti che non poterono fuggire, come nel caso di Banda Neira, vennero sostituiti da schiavi e prigionieri.
L’abitato si allunga a breve distanza dalla spiaggia di sabbia fine e le case sono circondate da giardini fioriti e piante tropicali. Vicino ai ruderi di un antico forte inglese incontro una donna anziana, che presenta un grosso tumore tra gola e petto. Non vi è assistenza medica di stato in Indonesia, nessuno si prende cura di chi non può pagare; l’aspettativa di vita è molto bassa.
Ritoo a Banda Neira e passo a salutare la dottoressa che tiene un ambulatorio nella sua casetta. Qualche anno fa fu coinvolta in un incidente aereo. Il bimotore si schiantò sulla breve pista dell’aeroporto durante un forte temporale. Tra i feriti solo la dottoressa, di origine giavanese e appassionata di sport subacqueo, rimase colpita alla spina dorsale e ora presta servizio seduta in carrozzella.
Claudia Caramanti