Editoriale
Quando l’ultimo giorno di settembre 1964 lasciai casa per entrare in seminario, mia madre aveva le lacrime agli occhi, e non di gioia. Era al nono mese di mio fratello e il mio aiuto in casa (ero il «più grande» di sette [più uno]) sarebbe stato una benedizione. Anni dopo, alla mia ordinazione, il fotografo colse altre lacrime sul suo volto, di gioia stavolta, quella stessa gioia quieta e profonda che traspariva in lei ogni volta che poteva venire con me, anche se non glielo chiedevo, per una messa o una celebrazione. L’immagine della consolazione, contenta per il figlio.
Ho rivisto lei, quel suo sorriso contento, pensando alla Madonna Consolata di cui ricordiamo la festa il 20 di questo mese, Colei che è così colma di consolazione da diventare Consolatrice. Consolazione è rallegrarsi per il bene fatto da altri e realizzato in altri, è vedere la bellezza, sperare contro ogni speranza, vivere la primavera, giornire delle cose buone. Consolazione non si coniuga con invidia, pettegolezzo, gelosia, egoismo e violenza. Consolazione si declina con pazienza, mitezza, comprensione, cooperazione, attenzione, cura, solidarietà, gratuità. Consolazione porta pace, gioia, rispetto, fiducia, stima, apprezzamento. Consolazione non è solo dare, ma anche capacità di ricevere, attitudine questa che forse è la più carente nella nostra vita comunitaria ed ecclesiale.
Lo stile missionario della Consolazione è quello di chi non spegne il «lucignolo fumigante», coglie il positivo anche nelle situazioni più dure, offre una possibilità a chi lo ha già fregato tante volte, benedice i nemici, collabora con chi la pensa in modo diverso, si rallegra per il bene fatto dagli altri, incoraggia chi prova a far qualcosa di buono e nuovo, corregge – non ammazza – chi ha sbagliato, dà speranza ai disperati, accoglie gli emarginati … ups, che stia parlando di Uno che è finito in croce 2000 anni fa? «Andando, evangelizzate», ci ha detto, Lui che è la Consolazione attesa dalle genti. Consolare ed essere consolati: ecco un modo speciale di essere «buona notizia» in questo nostro mondo così pieno di paure, sospetti e rabbie.
I missionari e le missionarie della Consolata, che sono convinti di avere il «carisma» della consolazione come elemento distintivo tra tutti gli altri missionari, concluderanno i capitoli generali proprio il giorno della festa della «loro» Madonna, il prossimo 20 giugno, dopo aver dedicato sei intere settimane a capire cosa significa – in questo oggi – essere missionari di Cristo secondo il carisma della Consolata, nella versione data dal Beato Allamano (vedi il dossier di questo numero). Il desiderio (su cui invitiamo tutti ad unirsi in preghiera) è che abbiano il coraggio del loro «carisma» in questo mondo sempre più tentato di diventare come una colonia di ricci ossessionata dalla paura e dal mito della sicurezza, per continuare a rilanciare il messaggio di Gesù con lo stile che il Beato Giovanni Paolo II ha così ben sintetizzato all’inizio del suo pontificato: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!» (22 ottobre 1978).
È in questo spirito che si guarda con angoscia a quanto succede in Libia e negli altri paesi attorno al Mediterraneo, e che non si possono condividere le paure di chi vorrebbe erigere barriere nel Mare nostrum, come se la causa di tutti i nostri mali venisse solo da fuori. «No alla guerra! – diceva Giovanni Paolo II al Corpo Diplomatico il 13 gennaio 2003 -. La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l’esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell’uomo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi». Chi ci guadagna da questa guerra fatta col contagocce, giocata sulla pelle dei libici e manovrata da non così oscuri interessi?
Grazie a tutti coloro che in questa nostra Italia hanno il coraggio di andare contro il politicamente corretto e il clamore mediatico e, con silenziosa discrezione, continuano a compiere azioni di accoglienza, amore, giustizia, pace e compassione sia verso gli immigrati sia verso gli stessi italiani che più soffrono a causa della crisi sociale e civile che stiamo tutti vivendo.
Gigi Anataloni