110 anni di missione, fedeli cambiando / Europa

Europa

Il boomerang missionario
Evangelizzatori da evangelizzare

Hola mami, qué tal? Tutto bene? Come ve la passate a Quito? Ti faccio arrivare questa mail attraverso Pedro, spero che te la stampi e abbia voglia di leggertela. Certo che da quando hanno inventato il computer la distanza tra l’Ecuador e l’Italia si è davvero ridotta. Io sto bene, non ti preoccupare. Lo so che ci siamo sentite da poco, ma volevo mandarti i saluti di una persona che non puoi non ricordare… Non ti immagini neppure chi ho incontrato l’altro giorno: padre Vittorio. Immagino lo stupore negli tuoi occhi: sì, proprio lui, il «nostro» padre Vittorio.
Ti ricordi? Per un po’, dopo che aveva lasciato la nostra parrocchia, avevamo provato a rimanere in contatto, ma sai come succede… ci eravamo persi. Quando sono emigrata in Italia, proprio non sapevo che anche lui fosse qui, credevo che fosse ancora in qualche altra zona dell’Ecuador. Invece no, domenica me lo sono trovato davanti, alla messa della comunità; sostituiva il nostro prete che era via e aveva approfittato del suo passaggio e del fatto che sapesse parlare spagnolo per invitarlo a celebrare la messa al posto suo.
Mi ha guardato in faccia e mi ha riconosciuto subito, nonostante gli anni e il fatto che mi sia presentata davanti a lui con i due bambini. Ieri sera è venuto a cena; volevo che incontrasse anche Carlos e desse una benedizione alla casa e a tutti noi, volevo raccontargli tante cose.
In realtà è stato lui a parlare. Sembrava avesse bisogno di sfogarsi un po’, di vuotare il sacco. Sai com’è da noi, non si fanno troppe cerimonie; siamo mezzi italiani ma dentro casa è come essere in Ecuador.
Padre Vittorio saluta tutti. Vorrebbe tornare a vedere come state e ad abbracciarvi, ma oggi come oggi è stato destinato a lavorare in Italia. Ci ha raccontato un po’ di cosa fa e di ciò che invece vorrebbe fare e non sempre riesce. È animatore missionario del suo Istituto, ovvero, così ci ha detto, dovrebbe andare in giro e raccontare la missione: gruppi giovanili, scuole, gruppi missionari, parrocchie… Il fatto è che si sente sovente un pesce fuor d’acqua. Prima di partire per l’America Latina si era già dedicato per un po’ a questo lavoro, ma erano altri tempi. Allora era più giovane e si sentiva realizzato a fare quel che faceva. Pare anche che i giovani fossero molti di più e più interessati alle attività che proponeva; adesso invece, ha detto proprio così, «andare in giro a parlare di missione è come succhiare un chiodo arrugginito»: nessuno sembra aver più voglia di ascoltare le sue storie. Ha detto che si sente un po’ a disagio, ma nello stesso tempo gli dà fastidio l’idea di rimanere a casa a far nulla.
Avresti dovuto vederlo… è ingrassato, e ti confido che ha perso un po’ di smalto. Ti ricordi la grinta che aveva? Come era sempre propositivo, capace di radunare gente e convincerla a darci dentro, ad impegnarsi? Quante cose abbiamo fatto insieme a lui. Gliel’ho ricordato, ma mi ha risposto che, anche se in Ecuador non erano sempre tutte rose e fiori, lui si sentiva più a suo agio lì nel vivere la vocazione missionaria. Il fatto è che in Italia si sente sì un prete, ma non un missionario. Non so cosa dirti, mi ha fatto un po’ pena vederlo così. Carlos ha provato a tirarlo su di morale e gli ha anche dato due dritte su come forse avrebbe potuto sentirsi il padre Vittorio di sempre se solo avesse continuato a fare quello che aveva fatto da noi a Quito: mettersi in ascolto della gente.
Cara mamma, a volte ti tengo nascoste un po’ di cose per farti stare tranquilla, ma l’Italia non è più il paese dei sogni di cui ti raccontavo in altre lettere, neanche per noi che almeno per un momento l’abbiamo visto e sperimentato come tale. La gente inizia a fare fatica anche qui, il lavoro sicuro non è più per tutti e vi sono persone, parlo di italiani, non di stranieri come noi, che diventando anziani diventano anche poveri. Carlos ha provato a raccontarlo a Vittorio. Sai, facendo il mediatore culturale ne vede certamente più di me, ma anche più del prete. Vittorio continuava a dire: «Sì sì, lo so» e ad annuire con la testa. In realtà sembrava che non lo sapesse veramente. Lo sapeva come qualcuno che lo ascolta nel telegiornale. Carlos lo ha invitato a collaborare al suo centro di incontro e può darsi che Vittorio si smuova e metta a disposizione le sue tante ricchezze, che si senta di nuovo in missione.
Con un po’ di faccia tosta gli abbiamo suggerito che noi vedevamo tanti aspetti del suo paese in cui avrebbe potuto sentirsi davvero missionario. Basta guardarsi intorno. Noi per fortuna abbiamo ancora la nostra comunità e celebriamo con un po’ di gusto la nostra fede, ma la maggior parte delle parrocchie qui in giro sono abbastanza deprimenti. Mancano i giovani, le chiese si svuotano; i nostri stessi figli non hanno mica più voglia di venire con noi a celebrare, ma nello stesso tempo non è che vadano in chiesa con i loro compagni di classe. Qui c’è un sacco di lavoro per un missionario che annunci il Vangelo per davvero, perché molte persone con cui entriamo in contatto quotidianamente non hanno mai sentito parlare di Gesù, della Vergine Maria, di tutte quelle cose che padre Vittorio ci insegnava a catechismo. Se poi in questo paese si stesse davvero bene, uno potrebbe anche cercare di capire, ma qui la solitudine regna sovrana, c’è un sacco di menefreghismo… altro che «ama il tuo prossimo come te stesso». In questi giorni la crisi del Nord Africa ha fatto naufragare sulle spiagge italiane migliaia di disperati, ancora più disperati di come eravamo noi quando siamo arrivati in Italia. E questo non sarebbe un lavoro per padre Vittorio?
Carlos gliel’ha detto in tutti i modi, si risentiranno, speriamo riesca a convincerlo che un uomo come lui è in missione sempre, ovunque sia. Certamente può continuare a pensare ai bambini del nostro quartiere di Quito, che avranno sempre bisogno di una mano; ma mentre è qui, a contatto con la sua gente, il suo essere missionario non può frenarlo e impedirgli di andare incontro a chiunque gli si pari davanti.
Speriamo si consoli presto; la nostra porta è sempre aperta, così come lo sono le case di tanti amici che avrebbero bisogno di consigli e dell’appoggio di un uomo come lui.
Mamma, cosa sono i confini? Lo sai che io sogno di tornare da voi e anche Carlos non vede l’ora in cui potremo finalmente costruirci la casetta della nostra vecchiaia, in quel pezzo di terreno che abbiamo comperato fuori Quito. Ma Marisol e Diego, i tuoi amati nipoti, vedono l’Ecuador come il luogo delle loro vacanze: sono italiani; Carlos, ridendo, sosteneva che fossero persino più italiani di padre Vittorio. Nel palazzo dove viviamo ci sono italiani, rumeni, altre due famiglie latinoamericane e una coppia che viene dal Marocco. Gliel’abbiamo detto a padre Vittorio: forse dovresti venire a vivere qui, ad abitare nel confine che non riesci più ad attraversare.
Chao mamita, mi amor. Un beso grande y un abrazo bien apretado y amplio como el mar.
Tu hija
María Feanda
Europa: «terra di missione»
María Feanda non esiste, e padre Vittorio è un missionario (quasi) fittizio. Queste due figure non sono però totalmente inventate: esprimono entrambi una realtà che tocca il nostro continente.
Oggi, parlare di missione in Europa significa sottolineare un certo disagio nel mondo missionario tradizionale, al quale noi apparteniamo. Formati per mentalità e competenze ad andare in Africa, Asia o America Latina, ci costa dover pensare che la missione si è oggi trasferita anche a casa nostra. Questo fattore richiede un ripensamento integrale delle nostre presenze, una nuova pianificazione e una capacità di inculturarsi su un territorio che pensiamo di conoscere perché vi siamo nati e che invece, di fatto, soprattutto se siamo reduci da lunghi periodi all’estero, sembra non ci appartenga più.
È duro per un missionario ritornare a casa. La parola “avvicendamento”, termine con cui si definisce tecnicamente il rientro, è sempre suonata male alle orecchie dei più, anche a dimostrazione di un attaccamento alla propria comunità e al lavoro che in molti casi si porta avanti per anni.
Un tempo, i ritorni dei missionari all’ovile natio erano caratterizzati dall’attività di animazione missionaria e vocazionale: sensibilizzare e animare le comunità nostrane all’ideale missionario, entusiasmare e formare i giovani alla missione, nonché raccogliere fondi per le iniziative pastorali e di assistenza. Era ed è un’attività fondamentale, che continua e vede il contributo instancabile e generoso di molti benefattori, grazie ai quali seguitiamo a portare avanti la nostra opera di evangelizzazione e promozione umana. Essere missionari in Europa oggi, però, ci spinge ad offrire la nostra esperienza in aree che sono a tutti gli effetti di prima evangelizzazione.

Ugo Pozzoli

Ugo Pozzoli

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