110 anni di missione, fedeli cambiando / Conclusioni
Piccola introduzione alla missione di domani
Yonas nel cortile
Yonas Ashenafi, nato in Etiopia, ha 33 anni. È, a tutti gli effetti, un missionario giovane e, da un certo punto di vista, anche un missionario simbolo di una missione che sta cambiando e che cerca di adeguarsi a un mondo in continua mutazione. Parlo di lui perché l’ho conosciuto personalmente nel Cauca, in Colombia, dove veniva a fare esperienze pastorali mentre studiava nel seminario di Bogotà. Si arrangiava con lo spagnolo, e con un po’ di altre lingue che aveva appreso negli anni precedenti, anche in Kenya, dove aveva fatto il noviziato. L’ho incontrato nuovamente anni dopo in Italia, mentre si preparava per essere missionario in… Polonia, dove oggi si trova. E domani, dove andrai ad annunciare il Vangelo, Yonas Ashenafi?
Una delle immagini usate per definire il mondo in cui viviamo, e in cui ci troviamo ad operare come missionari, è quella del cortile, spazio – in un passato neppure troppo remoto – condiviso tanto dalla gente di campagna quanto da quella di città. Nel cortile i bambini giocavano, i genitori lavoravano o «se la contavano» tirando tardi nelle sere d’estate. La missione odiea è chiamata a far parte di questo grande cortile dove si riuniscono le persone che credono e quelle che non credono, per vivere, lavorare e condividere valori e tradizioni. Le sfide missionarie superano oggi le barriere locali e richiedono la capacità di formulare nuove risposte che tengano conto di contesti territoriali, sociali e culturali più ampi.
La storia di Yonas rivela anche la grande complessità culturale in cui si dibatte la missione contemporanea. Venendo a contatto con persone e popoli di cultura diversa il missionario, da sempre, sa che deve imparare a interagire con la cultura locale, conoscendola e valorizzandola. Ma oggi c’è un fatto nuovo: la sfida dell’interculturalità è dentro le nostre comunità con confratelli provenienti da diverse nazioni e culture che vivono la stessa missione, bevono alla medesima fonte carismatica, riconoscono il beato Allamano come fondatore e padre. Nati come un gruppo di missionari piemontesi, oggi i missionari della Consolata sono una realtà multietnica e multiculturale.
Il vasto peregrinare di Yonas evidenzia però anche l’esigenza di mettere a punto la nostra organizzazione per adeguarla maggiormente alle sfide del presente. Oggi, l’Istituto dispiega le sue forze su un territorio molto ampio e differenziato, con un personale che, pur mantenendosi da qualche anno numericamente stabile (siamo circa un migliaio), rappresenta pur sempre un drappello molto piccolo di missionari in confronto ad una realtà enorme e complessa. Se vorrà venire in aiuto delle esigenze di Yonas, il Capitolo che i missionari della Consolata stanno celebrando dovrà obbligatoriamente affrontare anche una ri-organizzazione strutturale, possibilmente a base continentale e meno centralizzata, per dare delle risposte più flessibili a situazioni nuove e originali di specifiche aree geografiche.
Sarà questa la missione che ci attende? Ce lo diranno il tempo, le circostanze e, perché no, ce lo potranno anche suggerire gli altri agenti della missione. Oggi, infatti, non si può più fare missione «da soli», in questo mondo globalizzato non c’è spazio per i «lupi solitari». La missione appartiene alla Chiesa intera e occorre «fare rete» con tutti coloro che, a diversi livelli, condividono il nostro carisma, la nostra passione per la salvezza integrale di ogni essere umano.
Innanzi tutto le nostre sorelle, le suore missionarie della Consolata. L’esperienza missionaria in Mongolia e la comunità di vita a Nabasanuka, fra gli indios Warao del Venezuela, sono forse gli esempi più radicali di questa volontà di lavorare insieme, offrendo alla missione due interpretazioni complementari dello stesso carisma.
In questi ultimi anni è cresciuta anche l’esperienza dei Laici missionari della Consolata (Lmc), persone che si sono avvicinate alle nostre case e collaborano con l’Istituto perché si identificano con il nostro carisma missionario, vogliono abbeverarsi alla stessa fonte e incarnare nella loro vita l’ispirazione che viene dal nostro fondatore. Alcuni di essi sono partiti dedicando anni della loro vita ad esperienze missionarie sul campo. Altri non hanno in questo momento la possibilità di partire, ma cercano attraverso scelte spirituali concrete e un impegno nel quotidiano di testimoniare il loro entusiasmo missionario “consolatino”.
Non può però mancare una collaborazione anche con le forze della società apparentemente più lontane, ma con cui si condividono battaglie in favore della promozione della giustizia, della pace e della salvaguardia dell’ambiente. Sono i cosiddetti “uomini di buona volontà”, coloro che a vario titolo e in nome dell’umanità, si impegnano concretamente per dimostrare che un mondo differente, più sobrio, solidale e giusto, è davvero possibile.
Insomma, vai Yonas, che non sei solo. Insieme a noi e a tutti quelli che con noi collaborano c’è sempre il Signore a dirci quella che sarà la missione che ci attende domani.
Ugo Pozzoli