Verso la nuova revolución

Reportage dall’isola che sta cambiando

Per salvare il socialismo cubano occorre un cambiamento. Aperture verso libertà imprenditoriale e agricoltura famigliare saranno elementi importanti. Intanto 500mila impiegati pubblici saranno in eccesso. E dovranno riconvertirsi nei «nuovi» lavori.

Lo aveva detto Fidel Castro oltre dieci anni fa: rivoluzione è capire il momento storico, è cambiare tutto quello che deve essere cambiato. E oggi a Cuba siamo in piena rivoluzione. Si sta delineando un sistema misto, dove il ruolo dello stato andrà riducendosi e l’iniziativa privata acquisirà maggiore spazio, ma garantendo la supremazia della pianificazione rispetto al mercato.  Per quanto si vogliano addolcire le definizioni, il processo prevede,  tra l’altro, l’incorporamento al settore privato nei prossimi cinque anni di 1,8 milioni di lavoratori. Il governo di Cuba, lo scorso gennaio, ha già avviato una revisione dell’organico del personale pubblico in cinque ministeri e le previsioni sono di un taglio di 500.000 impiegati statali entro la fine dell’anno. Mentre in altri paesi si parlerebbe di 500.000 disoccupati, a Cuba si preferisce chiamarli «lavoratori disponibili».
Raul Castro in un discorso al parlamento Cubano (Anpp, Assemblea Nacional por el Poder Popular) il primo agosto 2010 aveva annunciato l’espansione dell’esercizio del lavoro in proprio e la sua utilizzazione come un’ulteriore alternativa occupazionale per i lavoratori in esubero, eliminando una serie di divieti vigenti per la concessione di nuove licenze e per la commercializzazione di determinate produzioni, rendendo più flessibile la contrattazione di forza lavoro. Il 18 dicembre era tornato sul tema ribadendo che il 2011 sarebbe stato segnato dall’introduzione graduale e progressiva di cambiamenti strutturali e di concetto nel modello economico cubano. Tali cambiamenti serviranno per preservare il socialismo e rinforzarlo, aveva detto il leader.

Tempo di riforme
Quello a cui Raul si riferisce non è una riforma del sistema socialista – e ci tiene a fare il pignolo sull’uso dei termini – ma la sua attualizzazione.
Nella seconda metà di aprile si è riunito all’Avana il sesto Congresso del Partito comunista cubano (Pcc) a distanza di «soli» tredici anni dal precedente del 1997. La frequenza media è di un Congresso ogni sette anni (il primo si era svolto nel 1975). Il Congresso, organismo supremo del partito, del quale determina gli orientamenti politici e le linee guida, è basato sull’approvazione dei «Lineamenti»1 della politica economica e sociale del partito e della rivoluzione, ovvero un nuovo volto per l’isola. Il 6° Congresso è stato composto da mille membri, eletti a livello di comitati municipali e distretti.
Incontriamo uno storico funzionario pubblico cubano – che preferisce rimanere anonimo – nonché membro del partito comunista dalla sua fondazione: «I cambiamenti saranno faticosi per il mio paese, ma sono indispensabili. Forse si è aspettato troppo, avremmo dovuto capire prima che stavamo commettendo alcuni errori. Per esempio, non è giusto che ci sia così tanto lavoro in nero, e che la gente onesta, laureati e devoti compagni, guadagnino molto meno che un tassista o di chi ruba parte della produzione per rivenderla sottobanco. Anche a livello di quadri dirigenti, alcuni hanno sempre operato per il bene, ma altri non hanno saputo gestire le risorse. Penso sia corretto che adesso, chi non è efficiente o chi non dimostra impegno, possa essere licenziato». Gli chiediamo quale sarà la difficoltà maggiore nell’affrontare i tanti cambiamenti previsti dai Lineamenti e con sicurezza risponde: «La parte più difficile sarà convincere il popolo della necessità di prendere certi provvedimenti, perché se capiranno che il socialismo deve cambiare per il bene di tutti, allora appoggeranno il piano di riforma. Il regime non abbandonerà mai a se stessi i bisognosi, chi è solo e non può lavorare avrà sempre la tessera di razionamento e un sussidio. Però bisogna avvalorare meglio le necessità e le possibilità reali dello stato, e occorre rimboccarsi le maniche».

Economia cercasi
Nel documento all’esame del Congresso si ripete con costanza quasi ossessiva la parola «spreco» e si insiste sulla diffusione di nuovi meccanismi di razionalizzazione delle risorse. Raul Castro coglie con lucidità il punto e spiega come «una delle barriere più difficili da superare nell’obbiettivo di formare una visione diversa – e  lo riconosce pubblicamente nel discorso del 18 dicembre scorso – è l’assenza di una cultura economica tra la popolazione, inclusi non pochi quadri dirigenti, i quali, dimostrando un’ignoranza supina nella materia, nell’affrontare problemi quotidiani adottano o propongono decisioni senza valutare un istante quali costi e quali effetti si producono, e senza sapere se esistono fondi allocati nel bilancio dello stato».
Il messaggio è chiaro: in tutti gli ambiti, dalla salute alla cultura, dall’impiego pubblico alle imprese statali, bisogna tagliare gli esuberi, migliorare l’efficienza e spendere meno.
Anche agli occhi di un semplice viaggiatore straniero sbarcato sull’isola, appare evidente che la maggior parte della gente negli ultimi cinquanta anni non ha saputo – o potuto – sviluppare alcuna forma di imprenditorialità.
I cubani vedono nei turisti la loro principale fonte di guadagno, ma non conoscono alcuna logica relativa alla qualità del servizio, all’ampliare l’offerta o a migliorare la prestazione, né comprendono il rapporto qualità-prezzo per gli standard della regione, così che Cuba risulta molto più cara rispetto a paesi quali Messico, Nicaragua, Repubblica Dominicana, che offrono servizi di qualità superiore. A ciò si aggiunge una marcata passività, un’attitudine all’aspettare che il cambiamento sia portato da altri e che risolvere i problemi più gravi, come l’impatto della recente crisi economica, ci pensi il regime.
Vicente, ha una storia tipicamente cubana: negli anni Ottanta venne mandato in Russia a studiare «tecniche di comunicazione dei sistemi satellitari militari» all’Università di Leningrado (l’attuale San Pietroburgo).  Quando gli mancava un solo anno per raggiungere la laurea, venne rispedito a Cuba: non ci sarà più bisogno di sistemi satellitari militari gli hanno detto, la guerra fredda sta per finire. Rientrato nel suo paese ha fatto di tutto, dal cameriere al manovale, e adesso da qualche mese ha aperto una piccola cabaña (pensione) sulla costa di Remedios, dove offre servizi basici per turisti nazionali. «La mia sensazione è che lo stato voglia imporre sempre maggiori tasse a chi vuole avviare attività economiche in proprio, per prendersi la sua fetta di guadagno e fronteggiare la crisi. Ufficialmente hanno detto che amplieranno le possibilità di lavoro privato ma in pratica, per quanto mi riguarda, hanno già aumentato le tariffe per la concessione delle licenze e le imposte sul reddito. Però, per chi ha iniziativa, questo è il momento in cui provarci, a fare qualcosa di diverso, che non sia emigrare o aspettare le rimesse dei familiari all’estero. Almeno ora se vogliamo metterci in proprio possiamo farlo sotto il buon auspicio del partito e in totale legalità».
Martino Vinci, esperto di sviluppo rurale per il Pnud (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo), lavora all’Avana da diversi anni, e conferma le grandi aspettative di novità: «Cuba potrebbe non essere più la stessa dopo questo anno, stiamo vivendo un nuovo salto storico ma bisognerà vedere se i cambiamenti previsti saranno di sostanza e non solo di forma. L’autonomia non si ottiene con un decreto ma si costruisce con la partecipazione di tutti.
I principali limiti del sistema agricolo cubano, e ricordiamoci che Cuba è un importatore netto di alimenti, risiedono nella contraddizione esistente tra un modello produttivo reale che è sempre più decentrato e non statale (le cornoperative) ed un altro ancora centralizzato, di pianificazione, commercializzazione dei prodotti e assegnazione dei mezzi di produzione. È un sistema che non premia chi è più efficiente, non distribuisce in base ai livelli di produttività, ma introduce molti livelli di intermediazione e quindi non può essere sostenibile. I Lienamienti vanno esattamente verso una direzione opposta all’attuale, concedono maggiore spazio alla piccola produzione non statale, riducono il peso dello stato sia nella gestione sia nella produzione e danno maggiori responsabilità ai governi locali nella pianificazione del settore. La diversificazione produttiva è una scelta ormai senza ritorno, così come la rinuncia alla monocultura della canna da zucchero».

Largo all’agricoltura familiare
A livello di politiche agrarie, si erano visti segni importanti di cambiamento già con un decreto del luglio 2008, che prevedeva la concessione dei terreni incolti ai contadini che avessero dimostrato volontà di produrre e la disponibilità dei mezzi minimi per intraprendere l’iniziativa. Vinci spiega: «La distribuzione delle terre è in corso, ha raccolto grande consenso, ma non soddisfa ancora la grande domanda generata tra la popolazione. Del milione di ettari previsti, ne sono stati distribuiti circa 700mila e i risultati sono visibili ad occhio nudo. Tuttavia i problemi sono ancora molti. I nuovi produttori spesso non hanno adeguato accesso ad assistenza tecnica, finanziamento e mezzi di produzione, con forti rischi di abbandonare il loro progetto prematuramente. La terra è concessa in usufrutto gratuito per dieci anni alla sola condizione di mantenerla in produzione».
Gli chiediamo se non ci saranno rischi nell’introdurre meccanismi vicini all’economia di  mercato: «Non si va verso l’eliminazione dei prezzi sussidiati né verso un mercato dominato solo dall’offerta e dalla domanda. Si aspira a introdurre un sistema più equo di distribuzione dei sussidi, non più generalizzati, e a una coesistenza più armonica tra prezzi determinati dal mercato e prezzi regolati dallo stato. Il problema principale risiede nella necessità che i prezzi si adeguino maggiormente ai costi reali, soprattutto se verranno eliminati i sussidi per l’accesso ai mezzi di produzione. Allo stesso tempo occorrerà garantire l’accesso agli alimenti fondamentali adeguando i prezzi alla capacità di acquisto della maggior parte della popolazione. Se si riesce a stimolare davvero l’offerta, attraverso un incremento sostanziale della produzione, i rischi saranno ridotti. Attualmente la maggiore pressione sui prezzi dipende dal fatto che sul mercato non esiste sufficiente offerta di determinati prodotti alimentari e questo crea speculazioni e distorsioni».
Tra i cambiamenti presentati nel piano di riforma ve ne sono alcuni che più di altri rompono con il passato: per esempio, la legalizzazione della compra vendita immobiliare, da sempre severamente vietata a Cuba. Il funzionario intervistato ci spiega che di fatto, non si fa altro che legalizzare pratiche che erano già ampiamente diffuse: «I cubani hanno sempre trovato il modo per comprare e vendere case o auto, ma lo facevano di nascosto e con sotterfugi; è un bene che oggi accettiamo la realtà e andiamo avanti».  
Altro punto critico previsto è la soppressione graduale della tessera di approvvigionamento. Non è più sostenibile fornire servizi e assistenza a tutti, senza distinguere chi ne ha realmente bisogno. Come viene spiegato nel documento esaminato dal Congresso, il socialismo è parità di diritti e di opportunità, ma non è uguaglianza. Gli atteggiamenti patealisti dello stato vanno evitati e si deve riscattare il valore del lavoro come mezzo indispensabile per rispondere alle necessità quotidiane.
«Bisogna cancellare per sempre la nozione che Cuba sia l’unico paese al mondo dove si può vivere senza lavorare» aveva gridato Raul Castro, introducendo il vento di cambiamento che anticipava il documento di riforma. «Il lavoro è un diritto e un dovere e dovrà essere remunerato in modo conforme alla quantità e qualità. Il salario diventerà uno stimolo per incrementare la produttività, la disciplina e la motivazione». Si punta su un sistema meritocratico, piuttosto che di favoritismi.
Non c’è alcun dubbio che la posta in gioco per Cuba sia molto elevata: la battaglia economica costituisce oggi, più che mai, il dovere principale e il centro del pensiero ideologico dei dirigenti, perché da essa dipende la sostenibilità del sistema socialista.

Ermina Martini

1- Il documento «Lineamentos» della politica economica e sociale del Partito e della Rivoluzione è reperibile in www.pcc.cu

Ermina Martini

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