Una Chiesa a due polmoni

L’ecumenismo nel ministero di Giovanni Paolo II

«L’impegno della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico è irreversibile… è una delle priorità pastorali» del suo pontificato: lo ha detto spesso Giovanni Paolo II e lo ha realizzato concretamente con l’attività magisteriale, pastorale, spirituale.

Tra i milioni di persone accorse a Roma per dare l’ultimo saluto a Giovanni Paolo II (2-8 aprile 2005) c’erano anche migliaia di persone di varie confessioni cristiane e capi di differenti fedi religiose: non c’è dubbio che, agli occhi del mondo, in papa Wojtyla era scomparso un uomo che aveva speso la sua vita per promuovere l’unità e la pace.
Se il suo messaggio di unità era evidente al momento della morte, non era stato altrettanto compreso mentre il papa era ancora vivo. In realtà, Giovanni Paolo II era guardato con opposti sentimenti in fatto di ecumenismo, cioè l’impegno per portare tutte le chiese cristiane all’unità piena e visibile. Alcuni considerano negativamente i suoi 27 anni di cammino ecumenico, caratterizzato, secondo loro da crisi, ritardi, lentezze e immobilità.
Da parte sua, conoscendo bene la critica di coloro che, forse troppo ingenui, si aspettavano una facile riunificazione mediante compromessi, Giovanni Paolo II parlava di fiducia, pazienza, perseveranza, dialogo e speranza che devono caratterizzare il movimento ecumenico. Queste sono le parole chiave della sua enciclica Ut unum sint, destinata a mantenere salda la Chiesa cattolica nel suo cammino e nel suo impegno verso l’unità piena e visibile con le altre chiese cristiane. In tale enciclica egli insegna con chiarezza: «Il movimento a favore dell’unità dei cristiani, non è soltanto una qualche “appendice”, che s’aggiunge all’attività tradizionale della Chiesa. Al contrario, esso appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione e deve, di conseguenza, pervadere questo insieme ed essere come il frutto di un albero che, sano e rigoglioso, cresce fino a raggiungere il suo pieno sviluppo» (Uus 20).
Contributi all’ecumenismo
Giovanni Paolo II riprese gli impegni ecumenici da dove li aveva lasciati Paolo VI e li sviluppò ulteriormente. Nella costituzione apostolica Pastor bonus (28 giugno 1988), papa Wojtyla cambiò il Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani (stabilito da Paolo VI subito dopo il Concilio) in Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (Pcpuc), conferendogli maggiore stabilità e responsabilità, entrato in vigore il 1° marzo del 1989.
Nelle sue intenzioni, il Pontificio consiglio doveva avere un duplice ruolo: prima di tutto il compito di promuovere nella Chiesa cattolica un autentico spirito ecumenico, in linea con il decreto Unitatis redintegratio del Concilio Vaticano II. A tale scopo era stato pubblicato un Direttorio ecumenico nel 1967-1970; aggiornato nel 1993 col titolo Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo; nel 1995 fu promulgata l’enciclica Ut unum sint per tenere fermamente la Chiesa cattolica sul sentirnero dell’unità cristiana piena e visibile.
In secondo luogo, il Pontifico consiglio, secondo il volere del papa Wojtyla, aveva lo scopo di sviluppare il dialogo e la collaborazione con le altre Chiese cristiane nel mondo. Fin dalla sua creazione, il Pontificio consiglio stabilì anche una cordiale cooperazione con il Consiglio mondiale delle chiese (Cmc), il cui quartiere generale è a Ginevra. Dal 1968, 12 teologi cattolici sono stati membri della Commissione «Fede e ordine», dipartimento teologico del Cmc; così come ci sono membri incaricati di partecipare ufficialmente nelle varie commissioni per il dialogo bilaterale o multilaterale.
Giovanni Paolo II sostenne e incoraggiò dialoghi teologici inteazionali, che continuano con le seguenti chiese e comunioni cristiane mondiali: Chiesa apostolica armena, Chiesa ortodossa, Chiesa ortodossa copta, Chiese malabariche, Comunione anglicana, Federazione luterana mondiale, Alleanza mondiale delle chiese riformate, Consiglio metodista mondiale, Alleanza battista mondiale, Chiesa cristiana Discepoli di Cristo, Alcuni gruppi pentecostali.
I risultati di questi dialoghi sono stati variegati, spaziando dagli accordi dottrinali di vario grado su questioni controverse fino allo stadio finale dell’unione piena e visibile.
Con la Chiesa apostolica armena (che conta circa 3,5 milioni di fedeli), assente al concilio di Calcedonia (451) e per ciò divisa sulla dottrina cristologica, lo sforzo di unificazione è in uno stadio molto avanzato. Il credo cristologico comune è stato professato e sottoscritto; il Papa visitò l’Armenia nel 2001.
Sforzi ufficiali verso l’unità con la Comunione anglicana cominciarono subito dopo il Vaticano II con l’istituzione della Commissione internazionale anglicana-cattolica romana (Arcic). La prima commissione produsse i testi dell’accordo su Eucaristia e ministero ordinato. Tuttavia ci sono altre aree importanti non ancora sottoposte a studio e discussione. Nel 1982 Giovanni Paolo II e l’arcivescovo Robert Runcie stabilirono la seconda commissione «per esaminare, specialmente alla luce dei nostri rispettivi giudizi, le rilevanti differenze dottrinali che ancora ci separano» (La dichiarazione comune, Canterbury 29-5-1982).
Dal 1983 in poi l’Arcic 2 lavorò sulle rimanenti questioni riguardanti l’autorità e altri temi di vita ecclesiale, producendo i testi degli accordi su Salvezza e Chiesa (1986), Chiesa come comunione (1990), Vita in Cristo (1993) e Il dono dell’autorità (1998). Tuttavia, il processo verso l’unità piena e visibile con la Comunione anglicana si è scontrato con reali ostacoli, come l’ordinazione delle donne al presbiterato ed episcopato e in seguito di persone con unioni omosessuali.
Intenso fu pure il dialogo con le chiese luterane, sia negli Stati Uniti che in Europa, che produsse testi di vari accordi reciproci. L’ultimo e più importante è la Dichiarazione congiunta della Chiesa Cattolica e della Federazione Luterana Mondiale sulla dottrina della giustificazione, firmata ad Augusta il 31 ottobre 1999 dalle autorità di entrambe le chiese.
Il dialogo con le chiese ortodosse proseguì con l’aiuto della Commissione internazionale. Nell’ultimo decennio il dialogo continuò a trattare importanti questioni di attualità e produsse nel 1993 a Balamand in Libano il documento: «L’uniatismo, metodo d’unione del passato, e la ricerca attuale della piena comunione». L’uniatismo come via per raggiungere l’unità oggi è stato rigettato, mentre è stata riconosciuta l’esistenza delle Chiese cattoliche orientali come parte della Chiesa cattolica. Papa Wojtyla aveva sperato ardentemente nella piena unità visibile con le Chiese ortodosse per il Giubileo del 2000. Ma non avvenne. Sperava di visitare la Russia, patria della più forte e grande ortodossia, ma neanche questo gli riuscì.
Il dialogo con le chiese riformate è stato particolarmente creativo, in ambiti come la missione, l’ermeneutica, la giustificazione, la riconciliazione della memoria e la revisione storica di certi periodi dolorosi del passato, l’identificazione della Chiesa come sacramento e creatura del mondo. Il frutto del primo dialogo è il documento La presenza di Cristo nella Chiesa e nel mondo (1977); il secondo stadio di tale dialogo ha prodotto la dichiarazione: Verso una comune comprensione della chiesa (1990).
Giovanni Paolo II
apostolo di unità  
Papa Wojtyla è certamente un apostolo dell’unità; cercò e incoraggò l’unità tra le chiese cristiane; la convinzione dell’unità già esistente sia tra i cristiani, in quanto accolgono Cristo come Signore e salvatore, sia tra gli esseri umani, in quanto figli dello stesso Dio creatore, lo spingeva a cercare i leaders di altre religioni nei suoi giri attorno al mondo. In ogni visita pastorale inevitabilmente incontrava i capi religiosi locali. Parlò agli ebrei nel 1986 nella sinagoga di Roma: primo papa a rivolgersi agli ebrei nella loro sinagoga dopo la rottura nel primo secolo; pregò al Muro del pianto a Gerusalemme durante il Giubileo del 2000; visitò la moschea di Damasco nel 2001, spiegando concretamente la comune fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Con questi gesti simbolici ha impresso un chiaro orientamento al cammino ecumenico. L’unità che cerchiamo come cattolici non è un’unione superficiale o semplicemente di lavoro a spese della verità. Infatti, non c’è salvatore all’infuori di Cristo e la pienezza della fede cristiana si trova solo nella chiesa cattolica. Tutto ciò è insegnato è ribadito in modo netto nella dichiarazione Dominus Iesus. L’unità che la chiesa cerca non è un falso «irenismo», ma scaturisce da un onesto desiderio e impegno per la pienezza di fede e verità. Il compromesso, quindi, non è la strada per l’ecumenismo; mentre la ricerca sincera e il dialogo è la via da percorrere.
Il Papa ha evidenziato che l’unità delle Chiese non può essere forzata. I cristiani credono che la piena unità visibile delle Chiese nell’unica Chiesa di Dio è dono di Dio e non può essere imposta solo con sforzi umani. Con tale convinzione, il credente si sente ancorato alla ricchezza spirituale della propria tradizione e, al tempo stesso, sganciato da qualsiasi indebito attaccamento a propri sforzi. Questo ci fa fare maggiore affidamento nella preghiera, così che il dono dell’unità possa essere concesso alle chiese (cf Uus 21-27). Per questo ogni anno a gennaio si celebra la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Venerdì 8 aprile 2005, quando il mondo si riunì per seppellire il tanto amato e apprezzato apostolo dell’unità e della pace, assistemmo alla recita di preghiere funebri, dopo la celebrazione eucaristica, da parte dei cardinali cattolici delle chiese orientali. Questo commovente rito come pure la presenza di numerosissimi leaders di altre comunità cristiane mostrò al mondo che l’unità delle Chiese è una possibilità reale.
Forse ciò per cui Giovanni Paolo II aveva tanto sperato, desiderato e pregato – la piena unità visibile delle chiese a Est e a Ovest – diventerà una realtà grazie alle sue benedizioni e preghiere in cielo, così che la Chiesa di Cristo respiri con tutti e due i polmoni, quello orientale e quello occidentale.
Più tardi, secondo i tempi di Dio, la piena unità visibile dell’unica Chiesa sarà resa visibile con l’abbraccio dei cristiani delle comunità della riforma e post-riforma. Intanto, continuiamo a pregare con Gesù «perché siano tutti una sola cosa come tu sei in me e io sono in te» (Gv 17,21), e proseguiamo con «fiducia, pazienza, costanza, dialogo e speranza», parole chiave del nostro cammino ecumenico, lasciateci dal beato Giovanni Paolo II.

George Kocholickal sdb
Professore di ecclesiologia ed ecumenismo
Tangaza College (Nairobi)

George Kocholickal