La loro condizione è estremamente allarmante: gli albini, donne e uomini, bambine e bambini, sequestrati e fatti a pezzi per fare amuleti con la loro pelle e altri organi; crimini causati da credenze tribali ed enormi interessi economici. Ma qualcosa sta cambiando: un albino è stato eletto membro del parlamento tanzaniano nel partito di opposizione.
Fatti a pezzi, ammazzati, mutilati, scuoiati… solo per fae dei portafortuna. Questo è quello che accade quotidianamente da anni agli albini in Tanzania.
Le foto del mio reportage «I AM ALBINO» (che ha vinto il terzo premio al 38° Portfolio Internazionale Ateum) mostrano la vita degli albini nella loro cruda realtà, dalla paura di essere ammazzati ai tumori che li colpiscono; ma sono anche un inno alla forza e al coraggio che essi hanno nell’affrontare la vita. Lavorano, amano, si sposano, fanno figli che curano amorevolmente. In Tanzania c’è addirittura una squadra di calcio formata da albini; hanno un’associazione nazionale che si occupa di sensibilizzare la popolazione sulle loro condizioni, ma soprattutto sul fatto che essi sono africani, tanzaniani e vogliono vivere la loro vita liberamente come tutti i loro fratelli.
Ma non fanno notizia
Mentre l’informazione nazionale, europea, internazionale è impegnata a sgomitare per proporci ogni giorno un nuovo scornop, in Tanzania degli esseri umani sono ammazzati brutalmente per riti magici. Come può l’informazione mondiale chiudere gli occhi davanti a situazioni del genere, e turarsi le orecchie di fronte a chi chiede aiuto e a quei giornalisti locali che denunciano tale mattanza? Come giornalista, non posso che provare vergogna quando i grandi direttori dei nostri giornali, davanti alla denuncia di una situazione aberrante e allo sforzo di sensibilizzare l’opinione pubblica su ciò che accade ancora nel 2011 in una parte del mondo, mi rispondono che il mio reportage è ben fatto fotograficamente, ma non fa notizia!
L’Africa, come da anni viene ribadito, non fa notizia. I massacri di albini, grandi e piccoli, la pelle dei quali e altre parti del corpo vengono utilizzate per realizzare amuleti, gli enormi introiti economici dietro tali delitti, per non parlare di casi limitati a riti magici-tribali, non fanno notizia!
Mi vergogno di svegliarmi in un paese dove il giornalismo sociale è ormai così marginale.
Non dimenticherò mai le parole di Enzo Biagi: qualche mese prima che morisse, ebbi la fortuna di incontrarlo per la mia tesi di laurea; prima ancora di rivolgergli una domanda, mi chiese cosa volessi fare da grande. Orgogliosa e decisa, risposi: «La foto-giornalista! Voglio raccontare cosa accade nel mondo dalla prospettiva di chi non ha voce». E lui, dopo aver osservato la mia convinzione, mi disse: «Sarà difficile. Sarà il mestiere più duro del mondo. Non potrai mai farlo per guadagnare, ma solo per passione! Deve essere una passione! Io ho sempre detto che questo lavoro lo farei anche gratis».
Primo albino in parlamento
Era il 2007 quando sentii parlare per la prima volta che due albini in un villaggio erano stati trovati ammazzati, dopo essere stati scuoiati vivi. Mi sembrava così assurdo. In Tanzania?!
Si tratta di un’antica credenza tribale ancora persistente, anzi in forte aumento. Negli ultimi due anni, albini uomini e donne, bambini e bambine sono stati sequestrati, massacrati, fatti a pezzi, scuoiati per fare amuleti con la loro pelle bianca e altre parti del corpo.
Il fenomeno è esploso nella parte più povera e arretrata del Tanzania, nelle regioni di Singida, Mwanza, Shinyanga, al confine con il lago Vittoria, dove vivono minatori e pescatori convinti dagli stregoni locali che avere un amuleto fatto di pelle o parti di albino porti fortuna nel lavoro e nella vita.
Di fronte ai continui servizi giornalistici e alle pressioni di attivisti dei diritti umani, nel 2008 il governo ha dichiarato illegali tutte le licenze degli stregoni del nord e vietato qualsiasi loro attività. «Sotto la nostra spinta il governo ha iniziato anche azioni di tutela degli albini» mi dice la presidente dell’Associazione albini del Tanzania, signora Shymaa Kway-Geer; per la sua determinazione nella lotta alle discriminazioni contro gli albini, il presidente Jakaya Kikwestern l’ha chiamata in Parlamento, primo membro albino in tale istituzione.
Non esiste una stima precisa, ma sembra che in Tanzania gli albini siano più di 300 mila. La malattia che li colpisce più frequentemente è il cancro alla pelle. Per essere curati devono recarsi a Dar es Salaam, presso l’Ocean Road, l’unico ospedale per la cura del cancro in tutto il Paese. Per chi vive al nord questo significa affrontare un viaggio di due, tre giorni.
«Noi siamo terrorizzati. Il governo ha predisposto schiere di poliziotti che scortano gli albini durante questi lunghi viaggi. Abbiamo paura di girare da soli, di essere aggrediti. Quando non vediamo tornare a casa i nostri bambini la preoccupazione aumenta. Io vivo con mio marito e i miei quattro figli. Di notte, se qualcuno bussa alla porta, io inizio già ad agitarmi; e i miei figli mi dicono: mamma, andiamo noi, tu non andare».
La presidente con il resto del consiglio direttivo e alcuni membri dell’Associazione mi ricevono nel loro ufficio: una stanza che l’Ocean Road ha messo a loro disposizione, anche per la massiccia presenza di albini in cura all’ospedale. Il mio sguardo fotografa articoli di giornali che arredano la stanza. Enormi raccoglitori traboccano di carte, documentazione e casi di aggressione ad albini.
Shymaa è seduta al tavolo di fronte a me, scrive il suo numero di telefono piegata e incollata su un foglio di carta. È molto miope, come la maggioranza degli albini. Vede pochissimo e, nonostante le grosse lenti montate sugli occhiali, ha bisogno di avvicinarsi al foglio quasi fino a toccarlo con il naso. Una delle tante conseguenze dell’albinismo, insieme ai tumori alla pelle, è proprio la miopia, che si sviluppa fin da bambini, causando loro enormi difficoltà a scuola: non tutti possono permettersi il lusso di un paio di occhiali.
A casa di Victor
Arrivo nella scuola del villaggio mentre il muezzin chiama alla preghiera. Victor è sulla porta della scuola, accecato dalla luce abbagliante di mezzogiorno. Ha gli occhi socchiusi, arriccia il naso e cerca di farsi ombra con la mano come per voler mettere a fuoco. Non mi conosce, ma sa di dover aspettare una mzungu (bianca) che vuole conoscere lui e la sua famiglia.
Mi avvicino e mi sorride solo quando sono a pochi centimetri da lui. Non sapendo cosa dire mi prende per mano. La sua mano è porosa, sembra di carta vetrata, mi graffia. È talmente ustionata dal sole da essere coperta da bolle indurite e fastidiose.
È un bel bambino. I lineamenti sono delicati; la pelle del viso e del collo è bianchissima, morbida, sembra curata o ancora troppo giovane.
Prendiamo una strada sterrata; si toglie le scarpe, ne lega i lacci tra loro e le appende al collo. I quadei e i libri li mette sulla testa e cammina spedito, ma si sente osservato. Timidamente inizia a farmi qualche domanda in inglese. Gli piace studiare. E mi dice che l’inglese è la sua materia preferita.
Passiamo in mezzo a bambini che giocano a pallone, accanto a donne che attizzano il fuoco per cucinare l’ugali (polenta). Tutti ci guardano e lui sorride e saluta, contento di essere importante agli occhi del villaggio perché ha con sé la mzungu.
Arriviamo finalmente a casa sua. La mamma è fuori che lava i panni e lui le si avvicina, gli sorride e subito si mette ad aiutarla. La casa di fango è immersa nel villaggio di Kibiti, accerchiata da alberi di mango che ne delimitano il perimetro.
Alla spicciolata arriva una squadra di ragazzine e bambini: sono i fratelli e le sorelle di Victor. La mamma mi dice di avere sette figli, due dei quali albini: Victor, che mi accompagna, e Oliver, il primo figlio, che lavora a Dar es Salaam.
Suo marito, molto malato, non è albino. «Lo era suo nonno – mi anticipa quasi a voler spiegare come due figli siano nati albini e gli altri cinque no -. Non ho mai pensato, nemmeno per un secondo, che Victor o Oliver potessero essere una disgrazia. Amo tutti i miei figli allo stesso modo. Mio marito e io li abbiamo allevati senza pregiudizi; anzi, gli altri cinque sono istintivamente diventati più protettivi nei confronti di Victor, soprattutto in questi anni. Se ne sentono tante. Meno male che noi viviamo in un piccolo villaggio e la gente vuole bene a Victor, lo aiuta e lo protegge. Non credono a queste superstizioni. Victor è un bimbo buono, generoso, molto dolce ed è ben voluto da tutti. Lui va a scuola con gli altri bimbi del villaggio, li aiuta a fare i compiti, gioca con loro, va al catechismo ed è stato anche scelto dal parroco come chierichetto. Gli piace studiare e dice che da grande vuol fare il medico per guarire tutti i bambini. Io sono orgogliosa di Victor e di Oliver come di ognuno dei miei sette figli. Quello che sta accadendo in Tanzania è vergognoso; ognuno di noi tanzaniani deve reagire e aiutare le famiglie dove ci sono albini, affinché finisca questa tragedia assurda. I nostri albini sono figli del Tanzania come gli altri. Sono africani bianchi e il governo deve impegnarsi nel far capire alla gente che sono esseri umani e che è assurdo pensare che possiamo vincere la nostra povertà con un amuleto fatto con le parti di una persona, un loro fratello per giunta».
Vita da fantasma
Too a Dar es Salaam e incontro il segretario generale dell’Associazione albini del Tanzania, Samuel Mugo, che mi mostra la bozza di una proposta di ricerca che l’associazione ha elaborato, per stabilire le cause che sono all’origine delle uccisioni e ha fatto appello al governo perché questo dichiari la situazione come emergenza nazionale. Stanno facendo pressione su leaders religiosi, giornalisti e attivisti dei diritti umani affinché facciano sentire la loro voce e convincano i membri del governo che la strage degli albini è socialmente e moralmente ingiustificata.
«Inoltre un’altra sfida che gli albini devono affrontare – continua Samuel – è la discriminazione sul posto di lavoro, poiché sono disprezzate le loro qualifiche e competenze. Meno male che all’Ocean Road ci sono albini che lavorano come infermieri e negli uffici. Ma nei villaggi dell’interno i bambini albini non vengono mandati a scuola; sono emarginati e condannati a un futuro di lavori manuali spesso sotto il loro peggior nemico: il sole bollente che cuoce la loro pelle».
Gli domando come, secondo lui, si possano uccidere e scuoiare delle persone come fossero animali, per fae degli amuleti magici. «Forse per istinto o per nostra cultura: quando una persona si trova davanti a privazioni, per prima cosa cerca spiegazioni e consigli dai guaritori tradizionali con la speranza di scoprire la causa dei problemi e delle sfortune e i relativi rimedi. Il più delle volte la soluzione consiste nel cercare scorciatornie che possano risolvere i mali, causando però maggiori problemi alla società. Di recente nel Paese sono venuti a galla 2 mila casi di commercio di organi umani. E in Africa, l’albinismo suscita da sempre pregiudizio. Un africano bianco è considerato e definito uno zeru zeru, fantasma o spettro. E si è trasmessa la convinzione che un albino sia dotato di poteri soprannaturali».
«Ero in giro per le strade di Dar es Salaam, mi hanno bloccato in tre e hanno provato a tagliarmi un dito del piede; per fortuna è arrivata una donna che si è messa a gridare» mi racconta Musa mentre mi mostra i segni dell’aggressione.
superstizioni e crudeltà
All’Ocean Road incontro Veronica mentre sta allattando il suo bellissimo Fredy, subito dopo il trattamento di chemioterapia: un tumore alla pelle la sta disintegrando fisicamente; ma Fredy, di cinque mesi, è bene in salute. Le dico che è pericoloso allattarlo a causa della sua chemioterapia. Mi risponde che tra il farlo morire di fame o per danni dovuti alla sua chemio, non sa cosa sia peggio. Come tante altre donne, è stata abbandonata dal marito quando aveva iniziato a stare male e l’unica eredità lasciatagli è questo bimbo che ama. Ma lei sta morendo. E non è la sola.
Le sue amiche vogliono fermamente essere fotografate per far vedere al mondo come è ridotto un albino aggredito dagli uomini o dal tumore alla pelle. Sono letteralmente sfigurate, eppure si mettono in posa con i loro bimbi in braccio. «Voi giornalisti dovete dirlo, dovete raccontarlo al mondo – mi grida Greta -. Ci sono antiche credenze ancora diffuse come quella che si possa guarire dall’aids avendo rapporti sessuali con ragazze albine, non facendo altro che aumentare gli stupri e il contagio. I bambini, che sono la maggioranza poiché la vita media di un albino è 40 anni, rischiano continuamente di essere uccisi e mutilati dei genitali, che i sicari rivendono a prezzi altissimi per riti tribali».
Di fronte alle loro storie, non posso fare a meno di domandarmi se sia giusto che questi sfortunati, che passano tutta la vita a difendersi dal sole, oltre alle sofferenze provocate da piaghe, scottature, tumori della pelle, dopo l’emarginazione e le difficoltà sempre maggiori, siano costretti a vivere la loro quotidianità nel terrore di essere mutilati e scuoiati vivi!
Greta, prima di finire il suo sermone, avvicina i suoi occhi ai miei, raccontandomi quanto devono soffrire soprattutto negli attimi prima di morire; leggenda vuole che le parti dei loro corpi utilizzate nei riti magici, siano tanto più efficaci quanto più forti siano state le urla durante la mattanza.
Affari e riscatto
Si calcola che in Africa ci sia un albino ogni 5 mila abitanti (in Europa uno ogni 60 mila). In alcuni paesi, come Congo, Uganda, Malawi, Kenya, Mozambico la percentuale degli albini è maggiore che in Tanzania e le credenze e pratiche magiche nei loro riguardi non sono meno drammatiche.
Dietro i crimini contro gli albini, non ci sono solo pregiudizi e superstizione. Sembra che gli introiti derivanti da tale mattanza siano troppo grandi per essere fermati. Secondo fonti della polizia tanzaniana un cadavere di albino può essere venduto per una somma che va dai 75 ai 400 mila dollari.
Proprio in Tanzania, nel mese di agosto 2010, un cittadino keniano è stato catturato e condannato per direttissima a 17 anni di carcere per aver cercato di sequestrare un giovane albino (subito messo sotto scorta) allo scopo di rivenderlo per 220 mila euro.
Una giornalista tanzaniana, Vicky Ntetema, corrispondente della Bbc, è costretta a vivere sotto scorta perché minacciata di morte per aver denunciato il coinvolgimento di stregoni e poliziotti nelle uccisioni di albini.
Le denunce sono giunte anche al Parlamento europeo che, con una risoluzione del 4 settembre 2008, ha sollecitato le autorità tanzaniane ad avviare un’indagine su tali crimini e ha invitato il governo a «tutelare i diritti degli albini tanzaniani attraverso politiche d’inclusione, parità di accesso a istruzione e assistenza medica di qualità, a offrire loro una protezione sociale e giuridica adeguata; promuovere una migliore formazione degli operatori sanitari e seminari per insegnanti e genitori per far capire come sia importante che i bambini albini siano protetti dal sole».
Il presidente tanzaniano Kikwestern, come presidente anche dell’Unione africana e quindi maggiormente sollecitato dalle associazioni di diritti umani, è stato «costretto» ad adottare forti misure di sicurezza a favore degli albini.
Ma il riscatto maggiore per l’Associazione nazionale degli albini e di tutti gli albini del Tanzania è arrivato il 3 novembre 2010: per la prima volta nella storia, per volontà popolare, alle elezioni presidenziali è stato eletto in Parlamento un albino 52enne, Salum Khalfani Bar’wani, candidato del partito di opposizione Fronte civico unito (Cuf). Nonostante i tanti brogli elettorali denunciati, ha battuto alle ue l’avversario della maggioranza che da 15 anni ricopriva il seggio. «Questa è stata decisamente una vittoria rivoluzionaria per tutti gli albini di questo Paese» ha commentato Bar’wani.