Troppe riviste da leggere
Salve, sono Alberto del seminario di M…; stiamo ricevendo la vostra rivista senza esserci abbonati e pertanto vi chiediamo di interrompee la spedizione, sia perché in seminario siamo in 10 e ci arrivano 15 riviste a settimana (che pochi riescono a leggere), sia per aiutarvi a risparmiare carta e soldi. Grazie.
via email
È stata nostra politica, fin quasi dalle origini della rivista, inviae copie a tutti i seminari maggiori d’Italia per aiutare i futuri sacerdoti ad aprire i loro orizzonti alla missione universale. Nei seminari esisteva allora il Circolo Missionario, nel quale le riviste missionarie trovavano lettori entusiasti. Diversi membri di quei circoli hanno poi fatto la scelta missionaria a vita o sono partiti come Fidei Donum.
Ovviamente prendiamo atto che la situazione oggi è cambiata, i circoli missionari non esistono più e il numero dei seminaristi è ridotto.
Cancellare l’invio della rivista è un’azione di pochi secondi sul computer, ma una copia o mille o diecimila in meno non sono un risparmio, quanto piuttosto la condanna ad una morte lenta, relegati nel silenzio. Questa è una morte che non possiamo accettare perché abbiamo «qualcosa d’importante da dire», non per noi stessi ma per coloro a cui prestiamo la nostra voce: i poveri, i piccoli, gli esclusi, i popoli emergenti del sud del mondo e le nuove Chiese vive, spesso martiri, che stanno venendo a maturità. Le riviste missionarie italiane, in trent’anni, hanno subito una flessione tremenda: da oltre sei milioni di copie annue stampate e distribuite a fine anni Settanta, a meno di tre milioni di questi tempi. Un calo inevitabile nel contesto della scristianizzazione progressiva che la nostra nazione sta vivendo e della trasformazione in atto nel mondo della comunicazione. Forse anche un segno della mancanza di interesse ad approfondire la realtà di quello che un tempo era definito il «Terzo Mondo», privilegiando un tipo di informazione più visiva, turistica, veloce e meno responsabilizzante.
Naturalmente le riviste missionarie non stanno subendo passivamente la crisi attuale. Ci si rinnova con creatività e ottimismo affiancando allo stampato le pagine in rete. Molte testate della Fesmi hanno splendidi siti web; basti pensare al nuovo sito della Misna (www.misna.org).
Per quel che ci riguarda, vi invito a visitare il nuovo sito di Amico (http://amico.rivistamissioniconsolata.it) e il popolare www.consolata.org (ex www.ismico.org). I devoti del beato Giuseppe Allamano trovano un sito poderoso e documentatissimo su http://giuseppeallamano.consolata.org/.
In cantiere c’è anche il rinnovamento del sito di questa stessa rivista, a cui metteremo mano molto presto. Speriamo solo che voi, seminaristi della generazione internet, abbiate imparato a far scalo anche nei nostri porti (e nei ricchi siti delle varie riviste missionarie) quando navigate nella world wide web.
Elisabetta
Leggendo le righe scritte su Missioni Consolata da Elisabetta Borda sono rimasto entusiasta da quanto renda reale tutto ciò che descrive. La conosco da 20 anni e non l’ho mai più vista. Felice però che abbia proseguito nella/e missioni di cui mi aveva tanto parlato e che il suo enorme bene verso il prossimo si sia giustamente espresso. Un ringraziamento a tutti coloro che partecipano ad aiutare le persone e culture bisognose, cariche di foga per migliorare e non per soffocare il prossimo con tante inutilità! Vi sarei grato se le mie parole potessero giungere a lei che con tanta passione e sacrificio ci aiuta a tenere i piedi per terra e a valutare quanto ognuno di noi potrebbe fare per gli altri. Un saluto a Elisabetta e un arrivederci. Grazie.
via email, 18.02.2011
«Le righe» a cui lei si riferisce sono state pubblicate nel marzo 2006, un bel dossier dedicato all’Albania in cui Elisabetta contribuiva con diversi scritti e belle foto. Elisabetta ha finito da tempo il suo servizio volontario e fa ora l’insegnante in un paese del Piemonte. Non sono sicuro che sia tra i nostri lettori, ma abbiamo amici comuni che certamente le faranno avere copia di questo numero della rivista.
ECOSOFIA
Ho letto la lettera “Tigri e leoni” di Francesco Rondina (MC 03/2011). Finalmente qualcuno che si occupa del male fatto dall’uomo a tanti esseri senzienti! Le estinzioni aumentano, splendidi esseri viventi scompaiono per sempre, le foreste vengono abbattute, e la Chiesa non dice quasi niente, o veramente troppo poco. Un avvicinamento alle posizioni del movimento dell’ecologia profonda (o ecosofia) non guasterebbe, anche se si vogliono mantenere chiare le differenze. Non mi risulta che sia mai stato detto che abbattere una foresta è “un peccato”.
Ben pochi sanno che sul quotidiano La Repubblica del 14 maggio 2007 è stato pubblicato un articolo dell’esponente vaticano Navarro-Vals intitolato “La questione ecologica”. Poco prima era stato richiesto dal Vaticano all’Associazione Eco-Filosofica di Treviso il testo in italiano del “Manifesto per la Terra” redatto da Mosquin e Rowe, eminenti studiosi canadesi di biodiversità. Pur ribadendo con (troppa) forza la posizione antropocentrica, che assegna all’uomo un ruolo del tutto speciale su questa Terra, l’esponente vaticano manifestava una certa possibilità di avvicinamento alle posizioni dell’ecologia profonda, sulla base di un comune rifiuto dello scientismo-materialismo cartesiano e del riconoscimento di una profonda spiritualità, presente anche nel movimento ecosofico. C’era tuttavia anche una giustificazione dello sfruttamento della natura da parte dell’uomo: il dualismo veniva conservato, o confermato. Comunque nessuno ne ha più parlato, o quasi.
Auspico comunque un avvicinamento e un colloquio fra la Chiesa cattolica e le posizioni ecocentriche, come opposizione comune al materialismo e al meccanicismo.
Invito poi vivamente a leggere e meditare il “Manifesto per la Terra” sul sito www.ecospherics.net.
Grazie per l’attenzione.
via email, 11.03.2011
FILATELIA
MISSIONARIA
Vorrei farvi conosce il sito www.filateliareligiosa.it che raccoglie articoli scritti a commento di vari francobolli – annulli postali di natura religiosa.
C’è un capitolo specifico che raccoglie numerosi articoli relativi ai santi piemontesi con particolare riguardo alle ricorrenze – manifestazioni che hanno ricordato le iniziative dei Missionari della Consolata in tutto il mondo. Riteniamo che queste notizie possano essere gradite specie nei Paesi di missione dove sono presenti numerose suore e missionari (che abbiamo anche avuto occasione di incontrare nei viaggi in Kenya, Tanzania e ora in Etiopia con Padre Adolfo De Col).
Certo che potrà essere gradito conoscere l’interesse, anche filatelico, nei confronti della Vostra Opera missionaria. Con simpatia,
via email
La malga di
Kizabavra
Gentile Sig.ra Bianca Maria Balestra,
vorrei complimentarmi in primo luogo con il suo articolo (MC 02/2011) che mi pare una sintesi perfetta di quello che è la Georgia di oggi. Ci fa inoltre molto piacere che lei abbia apprezzato l’intervento di cooperazione realizzato che è in primo luogo un vero scambio di esperienze e di conoscenze per entrambe le parti. Abbiamo cominciato nel 2005 a fare questo piccolo caseificio con i partner finanziari che lei conosce, ma non avremmo avuto la fortuna di arrivare ai risultati che lei ha potuto toccare direttamente con mano se le persone che hanno partecipato volontariamente alla successiva formazione in loco non fossero andate ogni anno a parlare, consigliare e spingere gli operatori locali verso nuove forme e metodi di produzione. Speriamo che l’iniziativa continui, noi certamente anche quest’anno avremo due nostri esperti presso la malga per circa 10 giorni, inoltre per la fine di maggio abbiamo organizzato un viaggio di studio con l’Associazione degli Agronomi e Forestali di Belluno proprio a Kizabavra. (La ringrazio) a nome di tutto il gruppo di bellunesi per l’articolo che ha scritto. Siamo a disposizione comunque se volesse approfondire altri aspetti di questo progetto.
Con i più cordiali saluti.
Giuseppe Pellegrini
Via email, 17.03.2011
FONTANE SENZ’ACQUA
Caro Gigi,
da settembre 2010 stiamo razionando l’acqua perché non piove dal giugno scorso. Sono sei mesi che questo problema mi angoscia. Sto preparando un terzo invaso in foresta, della capacità di 120 milioni di litri d’acqua, anche se non so dove e come trovare i soldi, ma la Divina Provvidenza ha sempre provveduto.
Grazie per gli aiuti che i lettori mi stanno mandando per le fontane (dopo l’articolo pubblicato su MC 09/2010). Ma il problema è avere l’acqua da dare alle fontane.
Grazie.
Questo laconico messaggio è arrivato accompagnato da alcune foto, tra cui questa foto della diga numero due: quasi vuota! (vedi qui sotto).
Per fortuna il 19 marzo scorso sono ricominciate le piogge, speriamo siano abbondanti, ma non troppo. Grazie Peppino!
IL SIGNIFICATO DI MISSIONE OGGI
Fin da bambini sogniamo l’Africa e le opere dei missionari. Siamo partiti a settembre e l’impatto con la realtà ha purtroppo tradito le attese. Veniamo ospitati presso il Catholic Hospital of Wamba, opera della Consolata nel nord del Kenya. Il fulcro della missione è l’ospedale, ben integrato nel difficile territorio dei Samburu, che garantisce assistenza adeguata mediante personale prevalentemente locale. Il contrasto è provocato dai vertici della missione e dallo stile di vita che hanno imposto nella guesthouse. Questi “cattolicissimi missionari”, figure poco preparate alla gestione di un progetto nel Terzo mondo, hanno fatto dell’Africa la loro America. La contraddizione è lampante: dentro giardini fioriti, campo da tennis privato, viali ordinati, fuori strade polverose e abitazioni fatiscenti. Dentro tre piatti per pasto, quattro ricche portate italianissime, bibite americane e birra keniota, fuori bambini scalzi, giovani ubriachi e vecchi affamati. Sono queste le cose che ci hanno scandalizzato, più che le criticate tradizioni delle popolazioni autoctone.
Il nostro viaggio si è infine concluso a Korogocho dove abbiamo vissuto pezzi di “missione vera”, conoscendo persone che quotidianamente si spendono a fianco di poveri e emarginati. Oggi il significato di missione impone, secondo noi, innanzitutto di andare alle radici della povertà per abbattere i sistemi che la provocano. Scrive Zanotelli: “ Per me è fondamentale il legame inscindibile tra fede e vita, fede ed economia, fede e politica…”.
Cuneo, 21.03.2011
Mi piace che abbiate sentito il bisogno di scrivere le vostre impressioni, e proprio su quell’ospedale di Wamba al quale abbiamo già dedicato parecchi interventi su questa rivista. Quel che mi dispiace è che non abbiate avuto in loco un interlocutore che vi aiutasse a chiarire i dubbi e lo «scandalo» che vi hanno fatto dare giudizi pesanti sui missionari di Wamba in confronto a quelli di Korogocho. Conoscendo bene sia la realtà di Wamba che di Korogocho, mi permetto di fare alcune precisazioni.
1. Wamba è a oltre 300 km di distanza da Nairobi, e fino a pochi mesi fa gli ultimi 100 km erano sterrati (oggi lo sterrato è solo di circa 50 km); Korogocho è alla periferia di Nairobi.
2. Per fare gli acquisti di cibo e materiale necessario per l’ospedale, da Wamba si va a Isiolo (100 km) o Meru (140) o Nanyuki (150) o Nairobi (300 e rotti) con il rischio di essere fermati a mitragliate dai banditi di strada. A Korogocho il primo supermercato e/o centro commerciale è solo alla periferia dello slum.
3. A Wamba l’acqua viene da un pozzo scavato dalla missione, è molto salmastra e per essere potabile va bollita e filtrata. Tutta l’acqua usata viene poi riciclata per i servizi igienici, l’orto e i giardini. A Korogocho l’acqua arriva dall’acquedotto municipale, anche se a singhiozzo e non dovunque, ed è potabile.
4. La Coca Cola bevuta a Wamba è prodotta in Kenya e, se avete notato, ha un sapore più forte della nostra. La birra del Kenya è tra le migliori del mondo. Bibite e birra si trovano in abbondanza in ogni angolo del Paese, compreso Korogocho, e una coca, all’ingrosso, costa circa 15 centesimi di euro, probabilmente a Wamba un po’ di più visti i problemi di trasporto.
5. Wamba si trova a circa 1.200 m di altezza, in una regione semiarida, calda e prona alla siccità, dove temperature sopra i 30° sono normali. Korogocho è a 1.700 m, con un clima fresco, piogge relativamente abbondanti e temperature medie attorno ai 20-25°.
6. Il campo da tennis privato, che tanto vi ha scandalizzato, è stato costruito dal medico che ha fondato l’ospedale e lo ha gestito per quasi quarant’anni, come aiuto per mantenere la sua sanità mentale e fisica, visto che l’ospedale gli richiedeva una presenza «24/7» senza sostituti, tui e ferie.
7. I giardini sono frutto del buon gusto e dell’amore al bello che ci caratterizza; rendono l’ospedale un ambiente accogliente e rasserenante, combattono la polvere dilagante nei periodi di siccità e offrono una scusa per dare lavoro ai locali. Sono costituiti soprattutto da siepi di buganvillea che tutti potrebbero coltivare, anche gli abitanti del villaggio, se non fosse che nella tradizione dei pastori nomadi Samburu l’idea del giardino proprio non esiste.
A Korogocho i giardini di Wamba non sono possibili, ma la missione è una struttura solida e sicura, certo non precaria come le baracche che la circondano.
8. La casa dove voi siete stati è normalmente usata dai medici che si recano a servizio dell’ospedale per brevi, intensi periodi di interventi specializzati. Venendo dall’Italia, oltre alle medicine necessarie, si portano anche ogni ben di Dio, che viene poi usato per tutti gli ospiti. In più a Nairobi si trova con molta facilità ogni prodotto italiano. I medici che fanno dieci ore o più di interventi ogni giorno, hanno bisogno anche di una nutrizione adeguata che non può essere garantita dalla dieta locale a base di té e latte al mattino e mezzogiorno, e polenta e cavoli o granoturco e fagioli la sera.
A Korogocho, in pochi minuti di macchina si può raggiungere una pizzeria, un ristorante italiano o la casa provinciale dei missionari.
9. Se dopo quarant’anni di esistenza l’ospedale e le strutture ad esso connesse fossero nelle stesse condizioni delle case del villaggio o delle manyatte Samburu, sarebbe un fallimento. Quanto alle critiche a certe tradizioni delle popolazioni autoctone, bisognerebbe forse spenderci dentro qualche anno, aver visto centinaia di bambini morti per malaria perché «curati» a casa e portati all’ospedale quando è troppo tardi; aver ricucito ferite, curato fratture o estratto pallottole; aver speso tempo, soldi ed energie per curare le conseguenze della circoncisione femminile; aver visto il muto dolore di tante donne e madri; aver sepolto giovani promesse – uccise dall’Aids -, che avevano ottenuto una qualifica professionale a spese della missione; aver fatto una visita al cimitero dell’ospedale; mettersi nei panni dell’amministratore diocesano che ogni anno fa miracoli per trovare i fondi necessari a far funzionale quel giorniello di ospedale; aver sentito un medico africano dire, quando gli ho portato dei giovani neo circoncisi con emorraggia inarrestabile, «benedetta (non era proprio questa la sua espressione!) gente, pagano per farsi rovinare e poi noi, qui, dobbiamo ricucirli gratis!».
10. Wamba è al centro di un’area vasta come Lombardia e Piemonte messi insieme, con una popolazione di poco più di 200.000 persone, in gran parte nomadi, che nelle case come le nostre non si trovano a proprio agio. Korogocho è un piccolo spazio densissimamente popolato, dove le distanze sono irrisorie.
11. Potrei andare avanti con molte altre differenze, ma non è corretto contrapporre Wamba a Korogocho. Sono realtà diverse e, come tali, hanno suscitato risposte molto diverse, dove i missionari che vi hanno prestato servizio hanno pagato di persona. Il rischio è quello di lasciarsi ingannare dalle apparenze. Se ci toerete, pur senza perdere il vostro senso critico, provate a guardarci dentro con occhi nuovi.
Gigi Anataloni